Diventano definitive le condanne del procedimento "Cent'anni di storia", celebrato contro presunti elementi di spicco delle cosche Piromalli e Molè, da sempre egemoni nel territorio di Gioia Tauro. Regge anche al vaglio della Suprema Corte l'indagne portata avanti dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma (nella foto). La Cassazione ha dunque confermato la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria che aveva condannato a trent'anni di reclusione Giuseppe Piromalli, detto "facciazza", riconoscendo la continuazione tra una serie di condanne definitive rimediate dall'uomo, ritenuto un elemento di grandissimo rilievo del clan, nel corso degli anni. La continuazione con altre condanne passate in giudicato era stata riconosciuta anche per Domenico Molè, che ha ebbe un aumento di pena sull'ergastolo di tre anni di isolamento diurno. Aumento di due anni di isolamento sull'ergastolo per un altro soggetto molto in vista nel clan, Girolamo Molè (classe 1961), per cui la Corte ha riconosciuto la continuazione.
Per il resto, i giudici di secondo grado avevano confermato quanto deciso, il 28 ottobre 2010, dai giudici del Collegio di Palmi (Accurso presidente, Spedale e Ciollaro giudici) che avevano condannato Antonio e Natale Alvaro a nove anni di reclusione ciascuno. Pietro D'Ardes, gestore della società cooperativa "Lavoro" di Roma a undici anni di reclusione; confermata la condanna a nove anni e sei mesi anche per l'avvocato Giuseppe Mancini che avrebbe coadiuvato D'Ardes e poi omissis, a cinque anni. Confermata la condanna a quattro anni e otto mesi di reclusione per Giuseppe Arena, che sarebbe stato il braccio operativo della cosca Molè.
Tutte condanne che sono state infine ratificate dalla Corte di Cassazione.
In appello era stata confermata l'assoluzione per l'ex sindaco Giorgio Dal Torrione (difeso dagli avvocati Umberto Abate e Domenico Alvaro), che, in passato, conobbe anche il carcere. Sulla scorta delle indagini sul suo conto, peraltro, al termine dell'iter burocratico, il Consiglio dei Ministri decise per lo scioglimento del Consiglio Comunale di Gioia Tauro, che sarebbe stato condizionato dallo strapotere delle cosche del luogo.
L'indagine, coordinata dal pubblico ministero della Dda, Roberto Di Palma, andò a investigare sulle infiltrazioni delle famiglie Piromalli e Molè all'interno del porto di Gioia Tauro. Le condanne, infatti, andarono a colpire, soprattutto, i cosiddetti "colletti bianchi": Pietro D'Ardes, infatti, è un uomo venuto da Roma per acquisire rilevanti attività economiche, costituite dal complesso aziendale della società cooperativa in liquidazione "All Services". Giuseppe Mancini è un avvocato: avrebbe avuto un ruolo decisivo proprio nella vicenda "All Services". Assai significativa anche la posizione di omissis, per cui è stata confermata la condanna per corruzione: liquidatore della "All Services", nominato dal governo, avrebbe agevolato D'Ardes e Mancini ad accaparrarsi la società. Un'azienda su cui avrebbero poi messo le mani gli uomini della cosca Alvaro.
Un'indagine condotta mentre i meccanismi di infiltrazione sarebbero stati ancora in atto e non "a giochi fatti". Il territorio della Piana, peraltro, è, da sempre, contraddistinto da storiche alleanze che, però, negli ultimi anni (l'omicidio di Rocco Molè del febbraio 2008 ne sarebbe la testimonianza) si sarebbero spezzate: Girolamo Molè ne è tanto consapevole che, sin dalle prime avvisaglie dello strapotere accumulato dai Piromalli, della corrispondente perdita di posizioni da parte dei suoi uomini e del conseguente determinarsi di un clima di tensione e conflittualità tra le famiglie da sempre alleate, già il 27 settembre 2007, nel corso di un colloquio mette in guardia il suo interlocutore, il rampollo della famiglia, il nipote Domenico Stanganelli, richiamandolo a stare "al suo posto", per non distruggere quel potere mafioso frutto di oltre cento anni di storia: "qua ci sono 100 anni di storia che non la puoi guastare, ecco ...tu ci sono 100 anni di storia che non la puoi guastare tu ...".