di Claudio Cordova - Il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato a 3 anni e 6 mesi per favoreggiamento alla cosca Pesce e Bellocco di Rosarno il perito trascrittore Roberto Crocitta. L'uomo era stato arrestato nel gennaio 2013: secondo le indagini del sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Musarò, Crocitta, in qualità di perito nominato dalle difese avrebbe modificato alcune intercettazioni in favore delle potenti cosche della Piana di Gioia Tauro, Pesce, Bellocco e Gallico al fine di aiutare i presunti affiliati a ottenere una scarcerazione nella fase investigativa. Per un ulteriore capo d'accusa di favoreggiamento nei confronti della cosca Gallico, il Tribunale ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell'imputato per intervenuta ritrattazione avvenuta nel corso dell'interrogatorio cui Crocitta è stato sottoposto nel corso del dibattimento. Per Crocitta, inoltre, è stata anche disposta l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
Sarà un colloquio in carcere tra il boss Vincenzo Pesce e il figlio Savino a incastrare il perito. Proprio con riferimento alla possibilità di ottenere un provvedimento di scarcerazione per il fratello Francesco Pesce, Savino Pesce racconta al padre di aver ritirato presso la Procura della Repubblica una copia del cd, contenente il colloquio audio-video del 10.11.06, in cui il giovane Francesco Pesce avrebbe, tramite la frase "li prendevamo tutti e due in una volta..." dimostrato la propria volontà di attaccare i fratelli Vincenzo e Francesco Ascone, con cui, negli anni, erano sorti diversi attriti. Una frase che Crocitta, nella perizia disposta dalla difesa renderà con un "li prendevano tutti e due in una volta...".
Una discrasia che, evidentemente, avrebbe potuto scagionare l'indagato.
E nel colloquio col padre Vincenzo, Savino Pesce si tradirà e, di fatto, consegnerà Crocitta alla galera. Il giovane, infatti, abbassando notevolmente il tono della voce e aiutandosi anche con la gestualità, aggiunge che dall'ascolto del file audio (cioè mediante la strumentazione nella disponibilità del consulente) era emerso che il fratello Francesco, cl. 87, aveva effettivamente pronunciato le frasi contenute nella trascrizione della P.G. ("realmente le ha dette però... realmente le ha dette.... "). Il padre, l'esperto Vincenzo Pesce, stopperà immediatamente il figlio, dicendo "non le ha dette..."; contestualmente sgranava gli occhi e guardava verso l'alto, per fargli capire che potevano esserci microspie e, di conseguenza, per indurlo a ripetere quello che aveva detto lui, cioè "non le ha dette...".
Una pronuncia significativa, quella emessa dal Tribunale presieduto da Andrea Esposito, perché riconosce l'aggravante mafiosa prevista dall'articolo 7 della legge 203 del 1991. Una pronuncia che premia la pervicacia del pm Musarò, anche a fronte di diverse pressioni esterne. Subito dopo l'arresto di Crocitta, infatti, la Camera Penale di Palmi (spesso silente anche su gravi fatti riguardanti gli avvocati di quel Foro) attaccherà l'allora procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Michele Prestipino, che presentando l'indagine della Dda aveva sottolineato come diverse intercettazioni spesso "cambiassero" all'ascolto di consulenti e periti e non più delle forze di Polizia Giudiziaria: "Mi auguro che questo arresto possa servire come motivo di riflessione per chi opera all'interno del processo. Mi auguro che serva come monito per tutti" aveva detto Prestipino. Affermazioni, quelle del magistrato, che avevano scatenato l'ira dei penalisti di Palmi, che rilasciarono una dura nota stampa: "Prestipino lancia un monito a consulenti e periti che osano contestare le trascrizioni della polizia giudiziaria nei processi di mafia. Notizie poco incoraggianti dal fronte caldo della libertà dell'ufficio difensivo nei procedimenti di criminalità organizzata. Si tratta dell'ulteriore conferma dell'attacco gravissimo in corso alle prerogative della difesa, attuato con la pretestuosa elusione delle garanzie di libertà previste dal codice, così da consentire l'irruzione dell'investigazione penale nell'ambito del rapporto tra l'avvocato difensore, i suoi ausiliari e il cittadino imputato. La vicenda del consulente incarcerato e messo alla gogna, inserita nel disegno del Pm moralizzatore – concludeva la nota - è l'ennesimo segnale di una deriva pericolosa per la democrazia del processo e la qualità dei diritti individuali di ogni cittadino".
Adesso, però, le dichiarazioni di Prestipino risuonano nell'aria, alla luce della condanna in primo grado di Crocitta per favoreggiamento a una delle cosche storiche della provincia di Reggio Calabria.