Processo "Meta": chiesti quasi 400 anni per il gotha della 'ndrangheta reggina

destefanogiuseppedi Claudio Cordova - "Abbiamo ricostruito la struttura visibile della 'ndrangheta cittadina: questo processo deve essere un punto di partenza, non siamo alla meta, ma alla metà". Parla per diverse ore il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. Fa ipotesi, le smonta, poi le rimonta, infine invoca quasi 400 anni di carcere nei confronti del gotha della 'ndrangheta cittadina, alla sbarra nel processo "Meta". Sebbene i capi d'imputazione prendano in esame solo una porzione limitata della storia criminale cittadina a partire dal 2000 in poi, nella propria requisitoria Lombardo analizza circa cinquant'anni di storia criminale. Gli anni che, a suo dire, porteranno alle nuove logiche, alle nuove gerarchie, stabilite da Peppe De Stefano, il "Crimine" investito del compito di governare e coordinare le cosche cittadine.

LE RICHIESTE

E sono durissime le richieste di condanna che il pm Lombardo ha invocato al termine del proprio intervento. Circa 400 anni di carcere per i diciotto soggetti alla sbarra: 30 anni per Pasquale Condello, 30 anni per Giuseppe De Stefano, 25 anni ciascuno per Giovanni Tegano e Pasquale Libri. Richieste di pena esemplari per il gotha della 'ndrangheta, ma richieste durissime anche per gli imputati "minori": 30 anni per Cosimo Alvaro, il boss di Sinopoli giunto in città per controllare i locali della movida, 30 anni per Domenico Condello. detto "Gingomma", 30 anni per Antonino Imerti (cugino del "Nano Feroce"), 28 anni per Domenico Passalacqua, 16 anni ciascuno per Stefano Vitale e Natale Buda, 30 anni ciascuno per Umberto Creazzo, Pasquale Bertuca e Giovanni Rugolino, 7 anni per Antonio Giustra, 8 anni per Luciano Chirico, 6 anni per Carmelo Barbieri, 10 anni per Antonino Crisalli, 8 anni per Rocco Palermo.

"LA 'NDRANGHETA E' UNA COSA SERIA"

La lunga analisi portata all'attenzione del Collegio presieduto da Silvana Grasso serve a Lombardo per delineare il cambiamento che la criminalità organizzata calabrese avrebbe assunto nel corso degli anni: "La 'ndrangheta è una cosa seria e coma tale va trattata – afferma Lombardo – al suo interno non tutti hanno gli stessi ruoli, altrimenti sarebbe morta e sepolta da tempo". Il suo racconto sembra, per molti versi un romanzo.

Un romanzo criminale.

Una storia che affonda le proprie radici molti decenni fa, ancor prima della seconda guerra di mafia che, dal 1985 al 1991 lascerà sull'asfalto circa 700 morti ammazzati. In realtà, per Lombardo, un'importanza non da poco l'avrebbe rivestito il primo conflitto tra le cosche. Quel conflitto che, negli anni '70, porterà all'eliminazione fisica dei vecchi boss come 'Ntoni Macrì e Mico Tripodo, spianando la strada al "nuovo che avanza", i De Stefano: "E' in quella guerra che la 'ndrangheta cambia e crea le basi per le relazioni esterne, che detta la linea per la propria evoluzione".

Ma quel progetto ora, a detta di Lombardo, sarebbe attuabile: "Abbiamo di fronte una 'ndrangheta finanziaria, in contatto con le banche, i temi di interesse si sono allargati, quindi deve cambiare anche il sistema".

"Sistema".

Una parola che il pm Lombardo usa spesso, dicendo "no", all'apparente esercizio dell'azione penale: "Bisogna scoprire le caratteristiche del sistema unitario mafioso"

GUERRA DI DISTRAZIONE DI MASSA

La parte più suggestiva, quella sugli "invisibili", arriva solo nelle battute finali della lunga requisitoria del pm Lombardo. Tuttavia, nel corso del proprio intervento, il rappresentante dell'accusa si lascerà andare a una suggestiva ipotesi, non oggetto del procedimento. Quella secondo cui la seconda guerra di mafia di Reggio Calabria, possa essere stato un drammatico passaggio nella storia della città causato da forze oscure e, al momento, ignote: "E' un passaggio inevitabile che ha cancellato lo status quo ante, non solo sotto il profilo mafioso".

Una grossa parte dei motivi per i quali le cosche reggine si uccideranno per circa sei anni, dal 1985 al 1991, è ancora oscura: "In quel periodo non era necessaria una guerra, la morte di Nino Imerti poteva creare un meccanismo di autodistruzione" afferma il pm Lombardo.

"Qualcuno", quindi, poteva essere interessato affinché si creassero nuovi equilibri, nuove gerarchie per la città di Reggio Calabria: "La 'ndrangheta è un esercito regolare, con vari gradi, oppure si tratta di truppe irregolari, come la legione straniera che combatte per conto di altri? La 'ndrangheta è libera di scegliere strategie o deve eseguire ordini altrui? E' libera di individuare e sanzionare i propri nemici o le decisioni sono di altri? Chi è quindi più responsabile? Chi ha messo in atto le condotte criminose, come gli odierni imputati, oppure chi li ha trasformati in strumenti per strategie occulte?".

Un romanzo criminale. E un "grande manovratore" di cui personaggi di enorme livello, come Peppe De Stefano, Giovanni Tegano e Pasquale Condello sarebbero solo dei burattini: "Chi alimentava falsità e tragedie in quel periodo è simile a chi lo fa oggi, ma io non mi faccio impressionare: oggi abbiamo ricostruito solo "metà", ma io ho il dovere morale di non interrompere la ricerca" afferma ancora il magistrato. Sì, perché, a suo dire, "quando la meta si avvicina si innesca il contropotere privato, per abbattere il rischio che le indagini guardino sotto la cute e allora si minaccia, si tenta di corrompere, si isola e di delegittima".

Lancia messaggi, ma parla di "messaggi", il pm Lombardo. I messaggi di Peppe De Stefano, nel corso del proprio interrogatorio, ma anche quelli di Pasquale Condello, nelle ore successive all'arresto: "Se qualcuno ha qualcosa da dire, lo dica". Reggio Calabria, quindi, sarebbe stata vittima della "manina" (così la chiama Lombardo) che ha scatenato la "distrazione di massa" di un'intera città: "In quegli anni si dovevano coprire determinate verità spaventando la popolazione, per impedire le ricostruzioni investigative scomode e puntare sulla mano armata". Un'idea che, secondo quanto riferito da Lombardo, era già stata paventata dal pentito Filippo Barreca: "E' una verità fasulla raccontata alla gente".

OLTRE "OLIMPIA"

Il pm Lombardo è convinto di poter arrivare dove in passato si è fallito. Nel corso del proprio intervento, infatti, ribadirà il concetto già espresso alcuni giorni fa, nella prima parte della requisitoria: "Non esiste la 'ndrangheta orizzontale, non è mai esistita". Alcune famiglie, dunque, sarebbero sovraordinate rispetto alle altre: è questo il tema principale dell'indagine "Meta", che porta alla sbarra i capi delle cosche De Stefano, Tegano, Libri e Condello, unite in un potente direttorio per gestire il giro delle tangenti. E' il metodo voluto da Peppe De Stefano, in cui "tutti devono pagare". Un dato che il pm Lombardo ricava tanto dalle conversazioni captate all'interno dell'ufficio di Ugo Marino, imprenditore imparentato con i Condello, quanto dai discorsi in libertà di Angelo Chirico, soggetto ritenuto vicino agli ambienti criminali: "E' una strategia voluta da De Stefano per stabilizzare gli equilibri criminali – afferma il pm Lombardo – è l'automatismo della logica del profitto". Un'idea, quella venuta in mente a De Stefano, che avrebbe avuto quindi il merito di rendere maggiori (e più certi) gli introiti, ma, soprattutto, di rendere sommerso il fenomeno estorsivo, uno di quelli che, più di tutti, attira l'attenzione investigativa.

Eccola la 'ndrangheta finanziaria: "Peppe De Stefano ha cambiato tutte le regole" dicono alcune persone intercettate nel procedimento. I De Stefano, quindi, sarebbero il "perno", la "fonte": parole diverse – contenute negli atti di indagine – per esprimere lo stesso concetto.

In passato, quindi, nonostante i vari spunti forniti dalle indagini (tra le altre quella, preziosissima, denominata "Armonia") l'idea di 'ndrangheta unitaria non passerà. Per questo "Crimine" è efficace e il merito di riattualizzare le dinamiche mafiose viene riconosciuto anche a Lombardo, che con quell'indagine non è mai stato tenero: "E' una verità processuale di assoluto rilievo, ma la ricerca non è ancora conclusa: servono risposte sempre più ampie e incisive". Tuttavia, non mancano i distinguo: "Una cosa è il "Crimine" del locale temporaneo che si crea a Polsi, una cosa è il locale a cui viene dato il "Crimine", un'altra cosa è il soggetto a capo del locale con il Crimine" afferma il rappresentante del'accusa. Per Lombardo, però, c'è un'unica certezza: "Il Crimine a Reggio Calabria è Archi, così come sulla ionica è San Luca e sulla tirrenica Rosarno".

Il pm Lombardo è perentorio: "La 'ndrangheta è unitaria, ma tutti hanno la consapevolezza di non essere parificabili". Del resto, ragiona il magistrato, "solo se veicolata in forma unitaria la componente criminale può essere più efficace nel rapporto con l'altra componente".

La componente istituzionale.

Comunque sia, il pm antimafia è convinto anche di superare il concetto di "Cosa Nuova", che fallirà con l'indagine "Olimpia": "In quell'occasione mancherà la prova tranquillizzante per i giudici". Ma, per Lombardo, la prova "tranquillizzante" sarebbe il collaboratore di giustizia Antonino Fiume, uno dei testimone chiave del procedimento.

I DE STEFANO

Fiume, infatti, viene "ripescato" da Lombardo dopo sei anni dalla scelta di collaborare, datata 2002. E Nino Fiume ne dirà di cose, sia in sede d'indagine, sia in aula. E' lui, infatti, che svela la carica di "Crimine" che sarebbe stata assegnata a Peppe De Stefano, tra il 2000 e il 2001: "Fiume avrà un rapporto di grande vicinanza e confidenza con il "predestinato" Peppe De Stefano, non mente, anzi, ricorda molto bene" dice Lombardo.

L'uomo, attualmente in carcere al regime del 41bis, avrebbe ricevuto la carica da Pasquale Condello, il "Supremo", proprio in virtù delle proprie capacità e della propria discendenza, essendo figlio di don Paolino De Stefano, uno dei boss più carismatici e lungimiranti della storia della 'ndrangheta: "Quando Paolo e Giorgio De Stefano passeggiavano in via Montenapoleone a Milano la 'ndrangheta non era ancora un problema, ma loro erano avanti".

La storica famiglia di Archi, dunque, sarebbe quella che, più di ogni altra, sarebbe stata capace di modernizzare la 'ndrangheta: "Sono più capaci – dice Lombardo – hanno capito le evoluzioni già negli anni '70, quando hanno creato e sfruttato relazioni". L'analisi storica di Lombardo, dunque, torna assai indietro nel tempo: "E' inutile banalizzare i passaggi storici, perché i riferimenti ai rapporti con l'eversione nera sono reali: da Concutelli a Freda".

Insomma, a detta di Lombardo è questo il dato da cui (ri)partire per capire i motivi per cui il grado di "Crimine" sarebbe stato restituito ai De Stefano, dopo il lungo interregno di Pasquale Condello: "Senza i De Stefano tutto il resto non sarebbe stato" dice Lombardo.

Ma i fratelli De Stefano – Paolo, Giorgio e Giovanni – faranno una brutta fine, e questo Peppe De Stefano lo ricorda bene: "Lui ha avuto i morti in famiglia – afferma il pm Lombardo – per questo non è un monarca assoluto". Da qui, dunque, il ruolo dei grandi capi: Pasquale Condello, quale boss di livello superiore, Giovanni Tegano, quale "uomo di pace", attento alla salvaguardia degli equilibri, e Pasquale Libri, che in nome e per conto del fratello Mico Libri, manterrà il ruolo di custode delle regole, all'indomani della pax mafiosa del 1991.

I De Stefano, però, sarebbero un'altra cosa: "La 'ndrangheta che comanda, che governa e che decide ha un solo cognome: De Stefano" dice Lombardo. Nel corso del proprio intervento, Lombardo farà infatti riferimento ai contrasti interni al clan (in particolare con Orazio De Stefano, zio di Peppe), ma anche alle figure di Paolo Rosario De Stefano (già Caponera), nonché a Dimitri De Stefano, fratello minore di Peppe. Quel cognome, De Stefano, sarebbe stato un marchio di qualità per la 'ndrangheta. Un cognome capace di incutere terrore al solo proferire: "Quando chiedo dei De Stefano al collaboratore Mesiano lui mi dice: dottore, ma allora lei mi vuole morto".

GLI "INVISIBILI"

Grande scalpore aveva suscitato, alcune settimane fa, la scelta del pm Lombardo di modificare il capo di imputazione per i quattro boss alla sbarra: "La nostra 'ndrangheta è quella che conta non quella delle chiacchiere e che riempie le statistiche" dice rivolgendosi al proprio processo. In quella nuova accusa si faceva esplicito riferimento alla struttura "visibile" della 'ndrangheta e a una componente "invisibile", capace di interagire con le cosche e di condizionarne l'operato: "La 'ndrangheta di Reggio Calabria è più evoluta e più intelligente, è capace di penetrare altri contesti, per cui si procede separatamente: ma l'altra "metà" (è un termine che Lombardo usa spesso, ndi) non può essere portata a giudizio solo con le dichiarazioni di uno o due collaboratori. Noi però dobbiamo capire in che direzione andare".

L'organizzazione criminale più potente al mondo, la 'ndrangheta: "E' un fenomeno da colpire con estrema durezza, perché sta erodendo spazi che vanno recuperati e gestiti diversamente. Non bisogna avere cappio ideologico e politico". Il Tribunale, a suo dire, avrebbe quindi tutti gli strumenti per arrivare alla condanne, anche grazie al lavoro del Ros del Colonnello Valerio Giardina e del Capitano Gerardo Lardieri: "Il pm unisce i puntini disegnati da altri: questo ho detto ai bambini di San Luca per spiegare il nostro lavoro, di mettere insieme i pezzi per tracciare una figura che abbia riconoscibilità esterna".

Le figure degli "invisibili": "Nessuno mi convincerà mai che la 'ndrangheta finisce al Capo Crimine, verità storica e verità processuale possono coincidere o, comunque, discostarsi di poco". Insomma, a Lombardo non bastano più i lavori sulla "base", si deve puntare al bersaglio grosso: "La verità o è tale o non è verità: questo processo deve essere il punto di partenza di nuovi processi per individuare l'oligarchia criminale perché la 'ndrangheta è socia di minoranza di un socio di riferimento".

Ed ecco che ritorna il romanzo criminale: "La 'ndrangheta ha la forma dell'acqua, ma dobbiamo sforzarci di capire chi ha modificato il recipiente all'interno del quale è contenuta, rendendolo un vaso enorme" afferma il pm. La costante è quella della "ricerca della verità", di cui Lombardo si propone come il campione: "La strada della ricerca è lunga, tortuosa, scivolosa e in salita: ma le difficoltà che incontriamo sono difficoltà procurate da chi modella il vaso". Nuovamente il "grande manovratore" dei "sistemi criminali". Ma adesso è possibile fare di più: "I ruoli della 'ndrangheta sono frutto di un percorso lungo, che andava interrotto dopo i primi segnali, ma ora è arrivato il momento di cambiare cura per una corretta diagnosi: abbiamo gli strumenti di conoscenza che in passato non avevamo".

Quello di cui Lombardo è certo, comunque, è che vi sia molto altro: "La 'ndrangheta non finisce qui, la 'ndrangheta che decide ha l'abito da cerimonia e frequenta determinate cerchie". Che, però, non sono oggetto di questo procedimento...