di Claudio Cordova - La dura lotta degli avvocati si infrange contro un muro: il Collegio presieduto da Silvana Grasso. La modifica del capo d'imputazione operata dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo nell'ambito del procedimento "Meta" scatena la reazione dei legali che, in punta di diritto, provano a far valere le proprie ragioni. Tentativi frustrati dai dinieghi del Collegio, che difende la scelta del rappresentante dell'accusa: "Non è una richiesta di modifica, come scrivono i giornali, è una modifica e basta" si affretta a precisare Lombardo, rivendicando il proprio ruolo.
Nel corso dell'udienza del 10 febbraio scorso, il sostituto procuratore della Dda modificherà l'imputazione principale, quella che, al capo A della rubrica, contesta il reato di associazione mafiosa al gotha della 'ndrangheta reggina: da Giuseppe De Stefano a Pasquale Condello, passando per Giovanni Tegano e Pasquale Libri, fino ad arrivare a Domenico Condello, detto "Gingomma". Un capo d'imputazione che non è più strutturato in termini "classici", ma personalizzato secondo le intime convinzioni del pm della Dda "alla luce – dice – di quanto è emerso nel corso della lunga istruttoria". E così la nuova accusa su De Stefano & co. parla di struttura "visibile" e di "invisibili", allo stato in parte ignoti, ma anche di "sistemi criminali".
Peppe De Stefano, dunque, sarebbe il promotore del direttorio, il vertice operativo, per aver ricevuto da Pasquale Condello il grado di "Crimine" che negli anni scorsi era stato del padre, don Paolino De Stefano. A sua volta Condello, il "Supremo", avrebbe supportato, insieme a Giovanni Tegano, la posizione di Peppe De Stefano, ponendosi comunque al vertice della scala gerarchica "visibile". A svolgere invece il ruolo di raccordo tra le cosche e i commercianti taglieggiati dalle richieste estorsive sarebbero stati i fratelli Domenico e Demetrio Condello. Defilato, ma parimenti importante, il ruolo di Pasquale Libri, che avrebbe ereditato dal fratello Domenico, morto alcuni anni fa, il ruolo di custode delle nuove regole di 'ndrangheta, siglate dopo la seconda guerra di mafia.
Una scelta, quella del pm Lombardo, dalla grande eco mediatica, cui però le difese proveranno a ribattere con alcune contromisure. Inizierà l'avvocato Vincenzo Dascola (sostituto processuale dell'avvocato Francesco Calabrese) che, in difesa di Pasquale Condello e Giovanni Tegano, chiederà la nuova escussione del Colonnello dei Carabinieri, Valerio Giardina, con riferimento ai legami politici della 'ndrangheta reggina, ma anche le nuove deposizioni dei pentiti Roberto Moio e Nino Fiume, con riferimento all'esistenza di una struttura "visibile" (composta dai capi storici dei clan) e una struttura "invisibile", di cui farebbero parte, evidentemente, anche soggetti istituzionali o comunque della cosiddetta "zona grigia", composta anche da "colletti bianchi", quali professionisti, imprenditori e pezzi dello Stato. "Sugli aspetti politici – dirà il legale – i collaboratori sono stati fermati dal pubblico ministero". Marcello Manna, difensore proprio di Giuseppe De Stefano, l'uomo che avrebbe ricevuto il grado di "Crimine", parlerà invece di "patologia processuale".
Il Tribunale di Silvana Grasso, però, darà ragione alle argomentazioni del pm Lombardo, che dirà: "Si tratta di argomentazioni inammissibili, perché la modifica del capo d'imputazione è dovuta all'istruttoria dibattimentale svolta in aula e non muta il fatto, ovvero l'accusa di associazione mafiosa, ma ne muta solamente la formulazione". E' quasi un'anticipazione della requisitoria, quella svolta dal pm Lombardo che giustifica la propria decisione ricordando le dichiarazioni di Moio, che parlerà di "ndrangheta dell'apparenza e 'ndrangheta della sostanza", nonché quelle di Nino Fiume, che farà riferimento ai "riservati" di Peppe De Stefano. "Contro gli invisibili si procede separatamente, per questo ho impedito che venissero fatti i nomi dei politici" dirà il pm, alimentando la suspence su quello che forse potrà avvenire in futuro.
Ma, in attesa del futuro, al processo "Meta", uno dei più importanti tra quelli che si celebrano nel distretto reggino, servono prove "visibili". Il Tribunale accoglie i rilievi di Lombardo, respingendo le argomentazioni delle difese (oltre alle "nuove" testimonianze era stato richiesto l'accesso al rito abbreviato per Domenico Condello) parlerà di "implicita presenza di elementi occulti nella 'ndrangheta".
Un diniego, quello del Collegio, che porterà gli avvocati alle nuove opposizioni: quelle di legittimità costituzionale. In particolare, assai argomentato è stato l'intervento dell'avvocato Marco Panella, in difesa di Peppe De Stefano. Il legale ha parlato di "lesione del diritto di difesa", in quanto il dato relativo ai "riservati" citato da Fiume fosse nella disponibilità del pm Lombardo già in sede di indagine: "In più ora si dice che De Stefano abbia ricevuto il grado di "Crimine" da Pasquale Condello, mentre prima si sosteneva che fossero stati i capi dei clan a investirlo del ruolo".
Argomentazioni rintuzzate dal pm Lombardo: "E' stata semplicemente adeguata l'imputazione a quello che è emerso dall'istruttoria dibattimentale. Scegliendo il rito ordinario tutti si sono esposti al rischio di un adeguamento dell'imputazione". Argomentazioni che, anche in questo caso, il Collegio di Silvana Grasso sposerà, ritenendo non rilevanti le ragioni delle difese.
Il processo alla 'ndrangheta "visibile" va avanti e, anzi, volge alla fase della discussione. Un domani, forse, toccherà anche agli "invisibili".