di Claudio Cordova - Il "bottino" raccolto dagli uomini della Guardia di Finanza è di tutto rispetto: tre milioni e mezzo di euro. I soggetti calabresi coinvolti nell'indagine avevano un considerevole nucleo di interessi a Roma. Per questo le Fiamme Gialle hanno scelto un nome esplicito, "Caput Mundi", per indicare l'insieme dei propri accertamenti. Ancora una volta, infatti, le indagini dimostrano come non solo la Lombardia, il Piemonte, la Liguria, siano le nuove "terre di conquista" dei calabresi, ma che anche la Capitale resti sempre un territorio molto appetibile e affascinante per una serie di importanti manovre finanziarie.
I giudici Kate Tassone, Alessandra Borselli e Anna Carla Mastelli, della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria definiscono il 55enne Francesco Frisina, originario di Palmi, comune della Piana di Gioia Tauro, come un soggetto che, almeno a partire dal 2009, avrebbe intrattenuto "plurimi, frequenti e sistematici rapporti di frequentazione e di affari con soggetti a vario titolo legati alla criminalità organizzata". Soggetti di elevata caratura criminale, come Vincenzo Adami, cugino del boss di Sinopoli, Vincenzo Alvaro, ma anche Antonio Crea, ritenuto organico alla storica famiglia di Rizziconi.
Non solo queste le motivazioni che hanno indotto il Collegio ad accogliere la richiesta della Procura di Reggio Calabria riguardante il sequestro di beni nei confronti dello stesso Frisina, ma anche del 28enne Alessandro Mazzullo di Oppido Mamertina.
Il 50% delle quote della Macc 4 S.r.l., con sede a Roma con oggetto sociale "acquisto, vendita e gestione di bar, ristoranti, pizzerie, rosticcerie, ecc.", il 34% della Sapac S.r.l., con sede a Palmi e attiva nel settore dei discount alimentari e supermercati e poi il 50% della ditta Colonna Antonina, con sede a Roma e attiva come bar e ristorante. E poi una serie di immobili e villini (anche di grandezza considerevole) dislocati ubicati a Roma, in via Boccea.
I militari della Guardia di Finanza avrebbero accertato una consistente sperequazione tra i redditi guadagnati da Frisina (e dalla moglie Maria Antonia Saccà), che tra il 1999 e il 2009 si sarebbero aggirati sulle settemila euro all'anno, e l'effettiva disponibilità dei coniugi, che, nello stesso periodo, come specificato dalle carte firmate dai giudici Tassone, Borselli e Mastelli, avrebbero anche acquistato un'abitazione di circa dieci vani nella capitale.
Da qui il sequestro delle quote della Macc 4, che, sebbene fossero intestate alla Saccà, sarebbero state gestita in prima persona da Ciccio Frisina. Le altre due società, invece, sia la Sapac che la Colonna Antonina, sono state costituite nel 2009 e nel 2004, anni in cui i coniugi dichiareranno redditi inferiori a ogni soglia di sopravvivenza.
Insomma, frequentazioni ambigue, per Frisina, ma anche dichiarazioni dei redditi sospette, soprattutto se confrontate con il reale tenore di vita.
Un discorso analogo a quello fatto dai giudici nei confronti di Alessandro Mazzullo, figlio di Giuseppe Mazzullo, arrestato nel 2002 per appartenenza alla cosca Gallico di Palmi, ma anche nipote (per parte di madre) dello stesso Ciccio Frisina. Oltre a una serie di controlli subiti insieme a pregiudicati, già da un'informativa del 2005 si trarrebbe che Mazzullo, insieme ad altri soggetti, sarebbe stato un personaggio dedito a estorsioni per conto dei Gallico. Gli inquirenti credono anche che abbia partecipato al conflitto a fuoco in cui perse la vita l'amico Giuseppe Galimi, classe 1986. Ulteriori dati, emergono nell'indagine "Cosa mia", curata dai pm Roberto Di Palma e Giovanni Musarò, dove saranno documentati dei colloqui del 2006 nel carcere di Secondigliano, in cui il boss Giuseppe Gallico, conversando con i parenti, farebbe esplicito riferimento a Mazzullo come rampante affiliato alla cosca. Convinzione che, nell'ottica degli inquirenti, verrà avvalorata da una successiva conversazione captata nel 2010 tra lo stesso Frisina e un tale Bruno Barone, in cui quest'ultimo direbbe di Mazzullo: "A sedici anni aveva una testa di merda. Ora ha capito che il lavoro è quello che paga e la 'ndrangheta è quello che lo rovina!".
Anche a Mazzullo i militari della Guardia di Finanza hanno sequestrato, su ordine della Sezione Misure di Prevenzione, quote della Macc 4, nonché due immobili a Roma (tra cui un villino in via Boccea). Nonostante a partire dal 2004 abbia dichiarato un reddito medio al di sotto della soglia di sopravvivenza, Mazzullo avrebbe fatto acquisti e investimenti di grande caratura, riuscendo anche a ottenere dalla Banca delle Marche un mutuo da 350mila euro.
I giudici hanno invece negato il sequestro preventivo di beni nei confronti del 45enne Carmine Saccà, originario di Taurianova, imparentato tanto con la potente cosca Alvaro di Sinopoli, tanto con i Rugolo di Oppido Mamertina, avendo sposato Grazia Rugolo, figlia di Francesco Rugolo, ritenuto un esponente di primo piano della famiglia federata ai Mammoliti. Su Saccà, coinvolto nell'operazione "Tallone d'Achille", non pesarono troppo le dichiarazioni del testimone di giustizia Gaetano Saffioti, imprenditore che aveva riferito di essere stato avvicinato da Saccà affinché facesse svolgere i lavori a un'altra ditta, nonostante la vittoria di un appalto: "Il Saccà era cognato di Ciccio Frisina di Palmi, nonché degli Alvaro di Sinopoli" dirà Saffioti. Ma Saccà verrà assolto dal reato di estorsione. Nonostante Saccà, dal momento del suo trasferimento a Roma abbia accumulato patrimoni e ricchezze che gli stessi giudici definiscono "allarmanti e sospette", nonostante per la Procura i rapporti di conoscenza, parentela e affari tra l'uomo e gli Alvaro non siano mai stati effettivamente valorizzati dal giudice terzo, per l'uomo, in virtù delle sentenze assolutorie, non sarà possibile applicare alcuna misura di sequestro dei beni.