A seguito del processo svoltosi lo scorso 4 febbraio avanti la 1^ sezione penale della Corte di Cassazione, esce definitamente di scena Vincenzo Gullì, coinvolto nel procedimento "Nuovo Potere", contro la 'ndrangheta di Roccaforte del Greco.
È stata infatti confermata integralmente la sentenza di assoluzione che, a gennaio del 2013, la Corte di appello di Reggio Calabria (presidente Gaeta, Costabile e Bandiera a latere) aveva emesso in proposito.
La vicenda processuale riguardante Gullì è stata particolarmente complessa.
Egli infatti è stato accusato di associazione mafiosa, porto e detenzione illecita di armi, ricettazione e tentato omicidio in danno di Teodoro Spanò (colpito da numerose fucilate mentre transitava sulla strada provinciale che da Melito PS si inerpica verso Roccaforte ).
Per tali reati Gullì ( a seguito della sparatoria i carabinieri inseguirono i Killers che si trovavano a bordo di una moto di grossa cilindrata ma non riuscirono a bloccarli; sul casco trovato successivamente sul luogo del delitto era stato riscontrato il DNA proprio di Gullì) è stato condannato in primo grado alla pena di 18 anni (12 per la scelta del rito).
In secondo grado i difensori di Gullì, avv. Pietro Catanoso e avv. Ettore Aversano (quest'ultimo nel frattempo era subentrato nel collegio di difesa proprio in grado di appello) avevano sostenuto, con articolate e complesse arringhe, la tesi dell'estraneità del loro assistito in relazione a tutti i capi di imputazione, ed avevano richiesto l'integrale riforma della sentenza di primo grado.
La Corte di Appello in aderenza alle richieste difensive avanzate dagli avvocati Aversano e Catanoso, avevano assolto Gullì da tutti i capi di imputazione.
Avverso tale assoluzione il Procuratore Generale aveva proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, investita della vicenda processuale, sentito il PG e i difensori, ha statuito confermando la sentenza di appello, così aderendo alla tesi sostenuta dai penalisti Avv Ettore Aversano (nella foto) e Avv Pietro Catanoso i quali anche in Cassazione avevano rappresentato l'estraneità del loro assistito in relazione ai gravi capi di imputazione ascrittigli.