"La famiglia Pesce era pienamente consapevole di essere oggetto di indagine penale". Anche alla luce di contatti con le forze dell'ordine, lo storico clan di Rosarno avrebbe avuto contezza delle investigazioni di forze dell'ordine e magistratura. E' quanto emerge dalle motivazioni della sentenza "All Inside", con cui alcuni mesi fa sono stati condannati numerosi boss e affiliati. La sentenza redatta dal giudice Concettina Epifanio (oltre 1600 pagine) passa ai raggi x tutto il materiale probatorio portato avanti dal sostituto procuratore della Dda, Alessandra Cerreti. Accertamenti, quelli del pm antimafia con delega sulle indagini per la Piana di Gioia Tauro, che si sono avvalse anche delle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia, Giuseppina Pesce, considerata attendibile dal Tribunale: la collaboratrice ha dichiarato che, ben prima degli arresti dell'aprile 2010 (prima tappa delle varie indagini "All Inside"), la famiglia Pesce era a conoscenza dell'esistenza di un procedimento penale a carico di molti dei suoi componenti: nell'estate dell'anno prima, infatti, Marcello Pesce – cugino di Giuseppina – aveva mandato a dire ai parenti di stare attenti a come parlavano al telefono, dato che le utenze telefoniche della famiglia erano sottoposte a intercettazione. Qualche mese prima degli arresti, infatti, un altro personaggio di rilievo, Vincenzo Pesce, avrebbe affermato di essere consapevole dell'imminenza di provvedimenti cautelari che avrebbero coinvolto numerosi membri della famiglia, tra cui molte donne, addirittura quaranta.
L'indagine "All Inside", infatti, avrà proprio la caratteristica di aver svelato il ruolo non da comprimarie delle donne di 'ndrangheta, attive come "postine", ma anche con mansioni di maggiore spessore all'interno della famiglia mafiosa.
I Pesce, dunque, avrebbero avuto contezza di essere sotto la lente d'ingrandimento degli inquirenti. L'imputata ha riferito di aver saputo dal fratello Francesco che la cosca possedeva un rilevatore di microspie. Negli anni, infatti, boss e affiliati avevano rinvenuto diverse cimici, in vari luoghi. Un comportamento guardingo che, a detta della collaboratrice, si spiegherebbe con "la consapevolezza di essere una famiglia che viene monitorata dalla legge e anche dal fatto che hanno qualcosa da nascondere".
E qualcosa da nascondere avrebbe avuto soprattutto Francesco Pesce, Ciccio Testuni, astro nascente del clan. In famiglia, la giovane Giuseppina avrebbe appreso diversi segreti del cugino: avrebbe per esempio appreso che era in contatti con un esponente delle forze dell'ordine, tale Frisina, comandante della stazione dei Carabinieri di Rosarno a partire dal 2003-2004, e che, in forza di tale amicizia, lo stesso Francesco sarebbe riuscito a sottrarsi a perquisizioni e catture.
A tal proposito, la collaboratrice ha raccontato un episodio raccontatole dalla nonna: già nel 2005, Ciccio Testuni, avendo evidentemente intuito dove si nascondeva Salvatore Pesce (padre di Giuseppina in quel periodo latitante) avrebbe preconizzato che lo stesso sarebbe stato presto arrestato. Cosa che, in effetti, avvenne pochi giorni dopo l'accaduto: i Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale, in occasione di una perquisizione, ritroveranno, celato sotto il pavimento dell'abitazione il bunker in cui Salvatore Pesce si nascondeva da qualche mese.
E quella perquisizione, arrivata a pochi giorni dalla "profezia" di Francesco Pesce, sarà definita da Giuseppina "mirata".