di Claudio Cordova - I nomi dei magistrati Alberto Cisterna e Franco Mollace sono solo i più altisonanti tra quelli fatti dal collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice. Il verbale illustrativo (quello che, per legge, va compilato al termine dei 180 giorni a disposizione di ogni pentito per dire ciò che è a sua conoscenza), è, in realtà, uno zibaldone di nomi, fatti, circostanze, in cui affiorano personalità di membri delle istituzioni, professionisti e imprenditori.
Storie, quelle raccontate dal "Nano", cristallizzate nell'atto con cui l'uomo ha concluso il proprio percorso di collaborazione. Un atto allegato alla corposa documentazione inserita nel fascicolo catanzarese del procedimento sugli attentati alla magistratura reggina del 2010. Oltre a Cisterna e Mollace, dunque, Nino Lo Giudice tira in ballo tutta una serie di personaggi "esterni" alla famiglia e ai compiti operativi, riguardanti le estorsioni e la grande disponibilità di armi, ma che, comunque, avrebbero fatto, in un modo o nell'altro gli interessi della cosca.
A cominciare dall'avvocato Lorenzo Gatto, legale di fiducia di Nino Lo Giudice fino al momento della collaborazione. Stando al racconto del "Nano", con il legale sarebbe nata un'amicizia intorno al 2000, quando l'allora boss della cosca venne arrestato per aver trascurato degli obblighi relativi alle misure di prevenzione. Gatto, che i membri della famiglia Lo Giudice chiamavano "Mastrolindo", sarebbe uno dei soggetti impiegati per portare a Nino Lo Giudice, all'epoca ancora libero, lettere provenienti dal fratello Luciano detenuto e viceversa. Tanti i fatti narrati da Lo Giudice, alcuni dei quali difficili da riscontrare: il "Nano", infatti, racconta anche di aver saputo da Giovanni Chilà che Pasquale Condello, il "Supremo", avrebbe voluto far uccidere Gatto e che solo l'intervento risolutore del boss Mico Libri, oggi defunto, avrebbe bloccato la decisione. Ma, come al solito, i fatti più intricati riguardano la figura di Luciano Lo Giudice, l'uomo, in carcere dall'ottobre 2009, ritenuto l'anima imprenditoriale della cosca. Stando ai ricordi di Nino Lo Giudice, l'avvocato Gatto sarebbe anche stato sentito in Procura per alcune registrazioni delle telecamere a circuito chiuso dello stabile di Luciano Lo Giudice, che avrebbero immortalato, all'interno della cornetteria "Peccati di Gola", una visita dell'allora funzionario della Squadra Mobile, Renato Panvino, recatosi da Lo Giudice per scusarsi di un comportamento poco rispettoso tenuto qualche giorno prima in occasione di un accesso al bar di Luciano da lui stesso e da agenti della Questura. Immagini che però, a detta del "Nano", non sarebbero mai state nella disponibilità dell'avvocato Gatto. Ma Lo Giudice racconta anche una serie di circostanze che avrebbe appreso dalla conoscenza, durata per circa dieci anni, con l'avvocato Gatto: questi, in particolare, avrebbe registrato di nascosto l'avvocato Giulia Dieni al fine di convincerla a ritrattare alcune dichiarazioni riguardanti la vicenda della rapina al portavalori della Sicurtransport in cui perse la vita la guardia giurata Luigi Rende. Circostanze che, nel procedimento d'appello, coinvolsero, a vario titolo, lo stesso avvocato Gatto e il giudice Franco Neri, assistito dello stesso Gatto nei processi disciplinari a suo carico. Sempre tramite l'avvocato Gatto, Lo Giudice avrebbe incontrato un Carabiniere, Francesco Spanò, appartenente ai servizi segreti di Reggio Calabria. Ma la vicenda più particolare, da verificare al pari delle altre, riguarda il progetto che il "Nano", insieme a Florinda Giordano, donna legata sentimentalmente a Luciano Lo Giudice, avrebbe avuto di incaricare un investigatore privato, tale Oscar di Santa Caterina, affinché indagasse sul magistrato Beatrice Ronchi, che da sempre ha coordinato le indagini su Luciano Lo Giudice. Un nome, quello di Oscar del rione Santa Caterina, che sarebbe stato fornito dallo stesso Gatto che però poi non si sarebbe prestato al conferimento dell'incarico.
E se i fatti contestati da Nino Lo Giudice all'avvocato Gatto riguardano gli ambiti più disparati, diverso sarebbe stato il ruolo di un altro ex legale della cosca, quel Giovanni Pellicanò che, per un determinato periodo di tempo, curò la difesa di Luciano Lo Giudice. Per conto di quest'ultimo, Pellicanò, oltre a svolgere il classico ruolo del "postino" per le comunicazioni da e verso il carcere, avrebbe messo in piedi una serie di attività finanziarie, guadagnandoci anche un'autovettura, poi accantonata per paura di procedimenti giudiziari.
Ma uno dei personaggi più noti della "rete" su cui avrebbe potuto contare Luciano Lo Giudice è il Capitano dei Carabinieri, Saverio Spadaro Tracuzzi, "l'uomo di Dubai" (così era definito dalla cosca), attualmente in carcere con l'accusa di collusione con la 'ndrangheta. Oltre agli atti raccolti, negli ultimi anni, dalla Dda di Reggio Calabria, su Spadaro Tracuzzi, infatti, cadono anche le accuse del boss pentito Nino Lo Giudice, che lo incolpa di aver rivelato al fratello Luciano una serie di atti coperti da segreto, compresi diversi verbali di collaboratori di giustizia. Una "collaborazione", quella con Luciano Lo Giudice, dalla quale Spadaro Tracuzzi avrebbe ricavato una serie di regalie: viaggi pagati, abiti firmati e l'esclusivo utilizzo di autovetture di lusso, tra cui una Porsche.
Il trait d'union con il mondo delle istituzioni, sarebbe, invece, l'imprenditore Antonino Spanò, detto "Calipari" per la sua somiglianza con il funzionario del Sismi, rimasto ucciso nel blitz per la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Spanò, titolare (fittizio, secondo i magistrati) del cantiere navale nella zona di Calamizzi, sarebbe stato in contatto, oltre che con il Capitano Spadaro Tracuzzi, anche con i giudici Alberto Cisterna, Franco Neri e Franco Mollace. Secondo il racconto di Nino Lo Giudice, sarebbe stato proprio Spanò a interessarsi con i magistrati Cisterna e Mollace circa l'opportunità di nominare come difensore di fiducia di Luciano Lo Giudice l'avvocato Umberto Abate al posto dell'avvocato Lorenzo Gatto, mal visto, a suo dire, dai magistrati della Procura di Reggio Calabria.
Sul fronte imprenditoriale, infine, il "Nano" ricorda la vicinanza della sua famiglia ai gioiellieri Caterini, storici commercianti cittadini. I Lo Giudice, a dire dell'ex boss, sarebbero stati i "protettori" dei Caterini, anche con riferimento ad alcune beghe che avrebbero coinvolto addirittura Pasquale Condello, il "Supremo". Lo stesso Roberto Caterini, peraltro, ricorderà con orgoglio l'amicizia con i Lo Giudice, chiamato a deporre, alcuni mesi fa, nel procedimento a carico di Luciano Lo Giudice, accusato di usura.
Magistrati, avvocati, membri delle forze dell'ordine e imprenditori. In due sole parole, "colletti bianchi" che avrebbero permesso alla cosca Lo Giudice di arricchirsi ed espandersi, nonostante la rinuncia a un vero e proprio territorio di competenza, operata diversi anni fa.