- di Alessia Candito - Nuove prove a carico, insurrezione dei legali e un rinvio alla prossima settimana per permettere al Tribunale di decidere in merito: è stata un'udienza quanto meno agitata quella celebrata ieri all'aula bunker di Reggio Calabria, nell'ambito del procedimento scaturito dalle inchieste Archi e Astrea, oggi riunificate in un unico procedimento. Il sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo ha infatti chiesto al Tribunale di depositare nuove prove a carico degli imputati che hanno scelto il rito abbreviato, fra i quali figurano i personaggi cardine delle inchieste che hanno messo in scacco la cosca Tegano e ne hanno svelato l'infiltrazione nella Multiservizi, la società mista che ha nel Comune di Reggio Calabria, il proprio socio di maggioranza. Accusati a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso e intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalità mafiose, sul banco degli imputati, per il rito alternativo, ci sono Giovanni Zumbo, il commercialista-talpa delle cosche, Pino Rechichi, ex direttore operativo della Multiservizi, ma indicato dal pentito Roberto Moio come membro dei gruppi di fuoco dei Tegano, Giorgio Benestare, Alberto Rito, Paolo Polimeni, Rosario Aricò, Emilio Firriolo, Giuseppe Tegano, Pasquale Utano, Pietro e Francesco Labate e Roberto Franco. Tutti uomini sui quali il collaboratore di giustizia Roberto Moio, killer e uomo di peso della cosca Tegano, ha fatto luce, svelando ai magistrati l'organigramma completo del clan. Rivelazioni che potrebbero complicare – e di molto – le posizioni di molti degli odierni imputati. "La gerarchia della cosca Tegano prevedeva come vertici Giovanni e Pasquale Tegano – si legge nel verbale di interrogatorio - sotto di loro vi era Giorgio Benestare ( detto Franco), poi Angelo Benestare: subito dopo vi eravamo io e Giovanni Pellicanò". Ed è una ricostruzione precisa quella del pentito Roberto Moio, che cuce addosso a ognuno degli imputati peso, responsabilità e compiti all'interno della cosca. Figura principale è quella di Giorgio Benestare, che per il collaboratore "nel 2010 all'interno della cosca aveva un ruolo apicale e aveva preso in mano le redini della famiglia". Il suo ruolo, racconta Moio, è "sempre stato collegato alla gestione degli appalti, per conto della cosca Tegano, come delegato di Giovanni Tegano". Nell'ultimo periodo avrebbe anche allargato il giro di attività, perché – ha riferito Moio, "tramite i fratelli Lavilla di occupava di imporre i videogiochi negli esercizi commerciali di Reggio Calabria". Un ruolo dunque, quello di Benestare, di fondamentale importanza per la cosca, in ragione del quale, lo stesso Moio avrebbe ricevuto ordini che sarebbe stato costretto a limitarsi ad eseguire. "Prima del mio arresto – si legge nelle carte – Franco Benestare, sicuramente nei primi giorni di settembre 2010, mi disse che i soldi relativi alla tangente che pagava la New Labor dovevo portarli alla moglie di Pasquale Tegano: quest'ultima mi disse che dovevamo dividere le somme di denaro legate alle attività presso la platea di lavaggio di Calamizzi, esattamente come avveniva per i soldi che versava Michele Suraci per il bingo di Archi. Dopo tale discorso, il concetto mi è stato ribadito da Franco Benestare, il quale parlò con me con l'atteggiamento di chi dava ordini all'interno della famiglia". Ma Moio non era l'unico soggetto alle dirette dipendenze di Benestare, che attorno a sé aveva una galassia di personaggi con caratura e compiti eterogenei, dal prestanome a quello che può essere considerato uno degli ambasciatori in politica del clan. Ruolo che, per sangue e inclinazione, il clan ha voluto affidare a Giuseppe Tegano "il quale si è sempre occupato di fare da intermediario fra i suoi fratelli e numerosi soggetti politici. Le richieste erano sempre dirette ad ottenere appoggio elettorale – si legge nel verbale di interrogatorio - Ciò è avvenuto fino al 2010, per averlo visto in prima persona avere contatti con politici del luogo". Per Moio, "il peso criminale di Giuseppe Tegano è sostanzialmente parificabile a quello dei fratelli Giovanni e Pasquale Tegano: ciò è dovuto anche al fatto che il suo potere è stato accresciuto dal rapporto di Parentela con Pasquale Utano". Proprio quest'ultimo – a detta del collaboratore – "ha sempre curato gli spostamenti di Giovanni e Pasquale Tegano, per la fiducia assoluta che mio zio aveva in lui". Un rapporto e un nome, quello della cosca, che Utano sfruttava per "imporre i suoi prodotti ai commercianti". Ma le rivelazioni di Moio non riguardano solo le presunte figure apicali del clan, ma chiunque orbitasse attorno alla consorteria. "Alberto Rito – ha rivelato il pentito è soggetto di fiducia di Benestare il quale gli affida il ruolo di messaggero per questioni di ndrangheta". Una circostanza di cui Moio avrebbe cognizione diretta perché "in alcune occasioni è venuto da me a portarmi i messaggi del Benestare". Insieme a quest'ultimo, Rito – che "si presentava come il nipote di Pasquale Tegano anche se con questi non avrebbe avuto alcun rapporto di parentela" – avrebbe commesso due omicidi, ha raccontato Moio, "quello di Condello Ciccio nella zona di Archi e quello del vigile urbano a San Giovannello". Fra i due, per il pentito, esisteva un rapporto fiduciario tale che "fu lui il favoreggiatore principale della latitanza di Franco Benestare". Ruolo strutturalmente diverso aveva invece secondo Moio, Paolo Polimeni, detto Lucifero, che "si occupava di polizze assicurative e si presentava come espressione della cosca Tegano". Di certo, ha ricordato il pentito interrogato dai magistrati della Dda reggina, " si occupava di truffe ai danni delle compagnie di assicurazione: in numerose occasioni Paolo Polimeni ha consentito di liquidare somme di denaro a favore di appartenenti alla cosca Tegano". A Rosario Aricò invece spettava il compito di "riscuotere le tangenti che versava Arcidiaco, titolare di una catena di supermercati. Vero e proprio prestanome della cosca era invece per il pentito Emilio Firriolo, referente nel campo dell'edilizia, che però si occupava anche di riscuotere "le tangenti dalle ditte operanti in tale settore".
Dichiarazioni precise, informazioni dettagliate, che sostanziano il castello accusatorio costruito dal pm Giuseppe Lombardo nelle indagini Archi e Astrea, che hanno messo a nudo quella che gli inquirenti considerano la colonna vertebrale del clan e i suoi affari. Dichiarazioni che probabilmente per questo i legali temono che siano messe agli atti come prova a carico.