di Claudio Cordova - Uno degli uomini uccisi sarebbe stato gettato in pasto ai maiali ancora vivo. Contestualmente, però, gli stessi mandanti avrebbero fatto affari in Calabria e fuori dai confini regionali. Efferati fatti di sangue, in Calabria, ma anche affari e soldi, nel Lazio. Eccola la sintesi dell'attività delle cosche di Oppido Mamertina, stroncate dai fermi disposti dalla Dda di Reggio Calabria con l'indagine "Erinni", condotta dai sostituti procuratori di Reggio Calabria Giovanni Musarò, Giulia Pantano e dal pm di Palmi, Sandro Dolce. Sono in tutto venti le persone coinvolte, tra cui anche un minorenne fermato dalla Procura competente, retta da Carlo Macrì. La scelta della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria di disporre il fermo degli indagati è stata dettata dall'acquisizione, durante l'attività d'indagine, di elementi specifici, concreti ed attuali in ordine alla sussistenza del pericolo di fuga, essendo state captate diverse conversazioni dalle quali è emerso che gli indagati avevano consapevolezza dell'esistenza di un'attività di indagine a loro carico, avevano la possibilità di procurarsi continue informazioni sullo stato dell'indagine e sull'eventuale emissione di provvedimenti restrittivi, stavano valutando se darsi o meno alla fuga.
Un dato che per gli inquirenti è confermato dal fatto che gli indagati – nella consapevolezza di essere sotto la lente degli investigatori – cercheranno di non mostrare le proprie conoscenze, continuando a comportarsi secondo le normali consuetudini: le acquisizioni investigative, infatti, arriveranno quasi esclusivamente tramite intercettazioni ambientali, in luoghi che gli indagati consideravano "sicuri" e "puliti".
Tra le persone fermate c'è anche un soggetto minorenne: "Il livello di età si abbassa anche a causa delle operazioni che tolgono dalla strada i soggetti più adulti – spiega il procuratore capo Federico Cafiero de Raho – e inoltre la partecipazione dei minori e la più cruenta e aggressiva".
Le indagini, nate nel 2011 per la cattura di alcuni latitanti della zona, e in particolare per le ricerche di Domenico Polimeni, arrestato nel 2012, andranno a ricostruire i vari fatti di sangue commessi negli ultimi anni a Oppido Mamertina e dintorni: associazione mafiosa, omicidi, sequestro di persona, armi, ma anche intestazione fittizia di beni, e ricettazione.
Diversi i fatti di sangue ricostruiti dalla Dda: dall'omicidio di Domenico Bonarrigo, (perpetrato il 3 marzo 2012), passando per quello di Vincenzo Ferraro (perpetrato il 13 marzo 2012) e poi la scomparsa di Francesco Raccosta e del cognato Carmine Putrino (scomparsi il 13 marzo 2012 ed uccisi nel tardo pomeriggio dello stesso giorno) e, infine, l'omicidio di Vincenzo Raccosta (il 10 maggio 2012).
"Non si tratta di una vera e propria faida, ma di una fibrillazione registrata all'interno della locale di Oppido Mamertina da parte di una cosca, quella Ferraro-Raccosta, immediatamente sopita da parte del gruppo 'ndranghetista egemone, quello facente capo ai Mazzagatti, intenzionato a non abdicare il proprio maggiore potere mafioso conquistato negli anni della guerra" dicono gli inquirenti.
Si inizierà con l'assassinio di Domenico Bonarrigo, ritenuto elemento di vertice del clan: l'uomo sarebbe stato ucciso da Francesco Raccosta, Vincenzo Ferraro e Vincenzo Raccosta.
Da qui la rappresaglia, durissima.
Vincenzo Ferraro verrà eliminato nella mattinata del 13 marzo 2012, in località Rocca, a soli 11 giorni dalla morte di Vincenzo Bonarrigo, perché ritenuto il "mandante" del suo omicidio. Dall'attività investigativa effettuata, è emerso che l'autore materiale dell'omicidio di Ferraro sarebbe stato Simone Pepe, coadiuvato da altro soggetto allo stato non identificato.
In relazione alla scomparsa di Francesco Raccosta e del cognato Carmine Plutino, dalla complessiva attività di indagine effettuata, é emerso che si sarebbe trattato di un di duplice omicidio e non di scomparsa da allontanamento volontario e che gli autori di quel crimine -che si connoterà per la spietatezza e massima efferatezza. E' il procuratore capo, Federico Cafiero de Raho a dare, non senza disagio, i particolari del delitto: Francesco Raccosta sarebbe andato in pasto ai maiali quando era ancora vivo.
L'omicidio di Raccosta e Putrino sarebbe stato perpetrato, in concorso morale e materiale tra loro, da Simone Pepe, Rocco Mazzagatti, Domenico Scarfone, Pasquale Rustico ed altri allo stato non identificati, con la "collaborazione" del capocosca dei Ferraro-Raccosta, Giuseppe Ferraro, che "consegnerà" i suoi uomini, fornendo preziose indicazioni per farli trovare dagli avversari, quale "condizione" per la cessazione delle ostilità con la 'ndrina dei Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo, scaturite dall'uccisione di Domenico Bonarrigo.
Ma la mattanza non si fermerà. L'ultimo omicidio, quello di Vincenzo Raccosta, sarebbe stato perpetrato da Simone Pepe, supportato dal cugino Valerio Pepe.
Gli accertamenti svolti dai Carabinieri, però, riusciranno a individuare vertici e organigramma delle cosche Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo e dei Ferraro-Raccosta, tutte facenti parte del locale di 'ndrangheta di Oppido Mamertina, di cui il padrone incontrastato sarebbe stato Rocco Mazzagatti. La sua figura emerge già in diverse altre indagini degli ultimi anni: sarà proprio lui ad andare a trovare a Bovalino il boss Peppe Pelle, come documenterà l'inchiesta "Reale". Il suo nome, peraltro, si fa anche nelle indagini "Crimine" e "Infinito", in cui Mazzagatti verrà indicato come soggetto di rilievo per la nomina del capo locale di Bresso, in provincia di Milano. L'uomo criticherà duramente la cosca Alvaro, colpevole di aver subito diversi sequestri negli ultimi anni, ma anche i clan del catanzarese e del crotonese: "Se loro fossero qui, non durerebbero neanche 15 giorni" dice facendo riferimento alla morsa della Dda reggina.
La cosca, dunque, ben presto varcherà i confini del paese della Piana di Gioia Tauro, soprattutto per far soldi. Le indagini, infatti, documenteranno gli interessi del clan nelle altre province, Catanzaro e Crotone su tutte, ma, soprattutto, nel Lazio, nella zona dei Castelli Romani. Grazie al supporto di Domenico Scarfone, referente per gli investimenti dell'organizzazione criminale su Roma, dove poteva contare su amicizie con avvocati e soggetti gravitanti nell'orbita delle aste giudiziarie e delle procedure fallimentari, le mire espansionistiche nel settore economico-finanziario della cosca Mazzagatti confluivano nel Lazio, con la finalità di trarre vantaggio dagli incanti pubblici, con l'aggiudicazione di beni che venivano intestati fittiziamente a terzi. L'esecuzione del fermo, infatti, coinvolgerà circa 300 Carabinieri, nelle province di Reggio Calabria, Roma, Catanzaro, Latina, Agrigento e Macerata.
Contestualmente all'esecuzione del provvedimento di fermo, i Carabinieri di Reggio Calabria, in collaborazione con quelli di Roma e Catanzaro, hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo in via d'urgenza emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, di 14 imprese (quote sociali, annesso patrimonio aziendale e conti correnti), 88 immobili, 12 beni mobili e 144 Rapporti Bancari e Prodotti Finanziari, per un valore complessivo di circa 70 milioni di Euro.