Stangata ai Serraino: oltre 100 anni di carcere in primo grado

lombardogiuseppe ildispacciodi Claudio Cordova - C'è un silenzio tombale quando, poco prima delle 23, il presidente del Tribunale, Silvana Grasso, entra in aula. E c'è un silenzio tombale quando legge le durissime condanne disposte. Una stangata. Il Tribunale presieduto da Silvana Grasso ha pesantemente punito i presunti affiliati alla cosca Serraino di Reggio Calabria, tutti imputati nel procedimento "Epilogo". Dopo alcune ore di camera di consiglio, il Collegio ha condannato tutti gli imputati, comminando pene per oltre 100 anni (126 per la precisione) anni di carcere e avvalorando l'impianto accusatorio portato avanti dal sostituto procuratore della Dda, Giuseppe Lombardo (nella foto).

Il Tribunale ha dunque condannato Alessandro Serraino - figlio del defunto boss Domenico Serraino – considerato il capo della cosca, a 18 anni di reclusione, Demetrio Serraino, ritenuto l'elemento di congiunzione tra il passato e il presente del clan, a 16 anni di reclusione, Francesco Tomasello (15 anni), Giovanni Siclari (13 anni), Antonio Alati (15 anni). Condannati anche i due imputati che avrebbero rappresentato il vertice delle giovani leve dei Serraino, Fabio Giardiniere, cognato di Alessandro Serraino, e Maurizio Cortese, il giovane che più di tutti ha condizionato l'andamento del dibattimento in questi mesi: per il primo, il Tribunale ha disposto la condanna più dura a 26 anni di carcere, mentre il secondo è stato condannato a 23 anni e 8 mesi anni di reclusione.

Si conclude così un lungo dibattimento, scaturito da un'operazione che nel settembre 2010 portò a 22 arresti da parte dei Carabinieri che andarono a colpire uno dei casati storici della 'ndrangheta reggina, la cosca Serraino. Il procedimento consta di una serie molto ampia di intercettazioni telefoniche e ambientali, di diversi accertamenti svolti dai militari dell'Arma, nonché delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Vittorio Fregona, Antonino Lo Giudice, Consolato Villani e Roberto Moio che verranno ascoltati nell'ambito del dibattimento per coloro i quali hanno scelto il rito ordinario.

Un dibattimento lungo, complesso e spigoloso.

Sullo sfondo, infatti, resteranno sempre i fatti del 2010, l'annus horribilis per la magistratura reggina, che verrà colpita più volte da attentati e intimidazioni, a cominciare dalla bomba alla Procura Generale del 3 gennaio. Per quell'episodio, infatti, verranno inizialmente sospettati i Serraino: in occasione della conferenza stampa per la comunicazione dell'operazione "Epilogo", a Reggio Calabria giungerà anche il procuratore di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, competente per i fatti che riguardano i magistrati reggini.

Poche settimane dopo, però, l'ex boss Antonino Lo Giudice deciderà di collaborare con la Dda di Reggio Calabria e si autoaccuserà di diversi attentati, tra cui la bomba in Procura Generale e quella al portone dell'abitazione del procuratore generale, Salvatore Di Landro. I fatti di inizio 2010, però, saranno sempre presenti nel corso del dibattimento, soprattutto per la strategia messa in campo dai legali di Maurizio Cortese, Giacomo Iaria e Luca Cianferoni: i due ingaggeranno una lotta senza esclusione di colpi, parlando chiaramente di una macchinazione nei confronti del proprio assistito, avanzando inoltre istanze di rimessione del processo a Catanzaro e di ricusazione del Collegio. Anche nel corso delle repliche e delle controrepliche, andate in scena prima della lunga camera di consiglio, segreti e depistaggi hanno fatto capolino, soprattutto con riferimento alla posizione di Cortese. Proprio Cortese sarà tra i protagonisti in aula: moltissime le circostanze (compreso oggi, prima della camera di consiglio) in cui il giovane renderà dichiarazioni spontanee, professandosi innocente, fornendo una sua versione ai fatti contestati, ma, soprattutto, paventando l'ipotesi di un complotto ai propri danni e invitando il Collegio a valutare con attenzione gli atti di Catanzaro.

Il processo, comunque, rimarrà a Reggio Calabria, resistendo alle spallate delle difese, ma anche al terremoto causato dalla scomparsa di Nino Lo Giudice e dai suoi memoriali in cui il collaboratore ritratterà ogni accusa.

A distanza di oltre tre anni dall'operazione, il primo grado del procedimento ordinario arriva dunque alla conclusione: a essere condannati sono soprattutto i personaggi che avrebbero animato la "rinascita" della cosca Serraino, dopo gli arresti e le scomparse dei capi storici.

A essere punito è un casato storico della 'ndrangheta, una famiglia della "'ndrangheta della sostanza", che il pm Lombardo – anche nelle repliche di oggi – ha contrapposto alla "'ndrangheta dell'apparenza". Oltre alle pene personali, il Tribunale ha anche disposto dei cospicui risarcimenti alle parti civili costituite: 200mila euro ciascuno al Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comune di Reggio Calabria e Regione Calabria e 500mila euro al Ministero dell'Interno.