di Claudio Cordova - Aveva rapporti con mezza 'ndrangheta. L'imprenditore Giacomo Santo Calabrò, uno degli elementi centrali dell'indagine "Araba Fenice", si sarebbe relazionato con persone di indiscusso spessore criminale nell'ambito della 'ndrangheta reggina. Tali rapporti spingeranno i giudici a parlare di "centro di interessi" attorno all'iniziativa imprenditoriale della famiglia Calabrò, la ditta Edilsud. Giacomo Santo Calabrò è il padre dell'ex collaboratore di giustizia Giuseppe Calabrò, responsabile dell'omicidio dei Carabinieri Fava e Garofalo, ma anche di Francesco Calabrò, scomparso nel 2006 e verosimilmente ritrovato a bordo di un'auto affondata nel porto di Reggio Calabria.
Tanti i personaggi discussi nel giro della Edilsud. A cominciare da Giuseppe Stefano Tito Liuzzo, ritenuto organico o comunque vicino alle famiglie Labate, Serraino e Rosmini. Ma le "relazioni d'affari" di Calabrò e Liuzzo si sarebbero allargate anche ad Antonino Lo Giudice (classe 1962), legato da rapporti di parentela con la cosca Lo Giudice, nonché con Vincenzo Latella, legato da rapporti di parentela proprio con la famiglia Latella, ma anche con Osvaldo Massara, affiliato ai Rosmini, Giovanni Ficara, uomo di rilievo dell'omonima famiglia, Bruno Trapani, affiliato alla cosca Fontana-Saraceno, Costantino Carmelo Billari, uomo dei Ficara, Salvatore Saraceno, affiliato ai Fontana-Saraceno. Tra i rapporti documentati, anche quello con Maria Cristina Tomaselli, moglie di quell'Antonino Chilà, favoreggiatore di Pasquale Condello, il "Supremo".
Tramite le conversazioni intercettate, si avrà quindi modo di comprendere e documentare uno spaccato della vita economica cittadina, "caratterizzato – a detta del Gip – dall'impossibilità di un regolare funzionamento del mercato dell'edilizia privata, ormai assuefatto a meccanismi di funzionamento basati sull'intimidazione mafiosa e sulla connivenza, tale da consentire il conseguimento di ingenti profitti tanto a favore delle cosche dominanti sul territorio che degli imprenditori "a disposizione" delle medesime".
La Edilsud, dunque, sarebbe stata un'azienda controllata dalla 'ndrangheta. I Calabrò, infatti, non sarebbero stati liberi di autodeterminarsi nelle proprie scelte aziendali, "in quanto consapevolmente indirizzati nell'individuazione delle maestranze a cui affidare tutti i lavori connessi e conseguenti all'attività edificatoria".
Il socio occulto sarebbe stato proprio Liuzzo: "Unico compito del Calabrò era quello di pagare, in altri termini di garantire il profitto, ingiusto, che l'infiltrazione nell'appalto privato relativo all'edificazione da lui curata doveva garantire". Da qui le difficoltà economiche e il ricorso al credito abusivo, esercitato da soggetti come Giovanni e Pasquale Bilardi, che avrebbero svolto le funzioni di intermediari di un altro soggetto, Antonino D'Agostino, coniugato con Graziella Chirico, figlia di Francesco Chirico, ritenuto affiliato alla potente cosca dei De Stefano. Queste le dichiarazioni rese molti anni fa dal collaboratore di giustizia Giacomo Lauro sulla famiglia Chirico: "E' vastissima numericamente e costituisce un'importante cosca di 'ndrangheta. La cosca Chirico è legata ai De Stefano". Un soggetto, D'Agostino, che solo alla fine dell'operazione di prestito di denaro interagirà direttamente con Antonino Calabrò.
Alla Edilsud, tuttavia, per la realizzazione dell'immobile di Ravagnese (sul terreno di don Rocco Musolino) arriveranno anche capitali esterni. E saranno quasi tutti di riferimento mafioso. Sono in particolare Giuseppe Stefano Tito Liuzzo e Antonino Lo Giudice i due soggetti più attenzionati dalla Guardia di Finanza. E sono ancora una volta le conversazioni intercettate a fornire il dato agli inquirenti. Il detenuto Giuseppe Calabrò verrà informato dal padre Giacomo Santo e dal fratello Antonino della partecipazione di Liuzzo nella costruzione dei fabbricati edificati dalla Edilsud mediante l'apporto di "qualche milione di euro". Un ingresso (occulto) nella società che risalirebbe almeno al 2008. Le tante conversazioni intercettate non lasceranno scampo a interpretazioni: Liuzzo non comparirà mai ufficialmente nei quadri societari della Edilusd, ma ne sarà sostanzialmente il dominus.
Analogo ruolo lo avrebbe svolto Antonino Lo Giudice, cugino omonimo dell'ex collaboratore di giustizia. In poco tempo, Lo Giudice avrebbe versato 180mila euro nelle casse della Edilsud: versamento ovviamente non formalizzato. Dalle intercettazioni emergerà come Lo Giudice fosse in possesso di alcuni assegni della Edilsud emessi dagli acquirenti come acconti. Lo Giudice, oltre a detenere gli assegni, aveva anche la piena disponibilità di alcuni appartamenti insistenti nel corpo della costruzione che la Edilsud stava portando avanti a Ravagnese: "Il Lo Giudice – scrivono i giudici sulla scorta degli accertamenti della Guardia di Finanza – non era nelle condizioni di disporre della somma invece "investita" per i fabbricati in corso di realizzazione, né tantomeno aveva la capacità finanziaria per acquistare gli appartamenti già realizzati e consegnati dalla Edilsud ai suoi congiunti negli anni scorsi". Da qui il convincimento degli inquirenti: "La sproporzione del patrimonio posseduto rispetto ai redditi lecitamente dichiarati trova spiegazione, quindi, nel verosimile attingimento di ulteriori e plurimi guadagni presso una fonte occulta e appare plausibile ritenere che il Lo Giudice Antonino sia il soggetto "pulito" della famiglia d'origine, che provvede a ripulire il denaro dell'omonima cosca, mediante investimenti immobiliari".