di Claudio Cordova - E' un clima da resa dei conti quello che si respira all'interno dell'aula bunker di Reggio Calabria. Nel processo che vede alla sbarra il clan Lo Giudice è il grande giorno: a sfilare in qualità di testimoni, nel corso di un'udienza durata circa nove ore, sono i due magistrati Alberto Cisterna e Franco Mollace, le due toghe che, a detta del pentito Nino Lo Giudice, sarebbero stati i referenti istituzionali del clan e, in particolare, di Luciano Lo Giudice, considerato l'anima imprenditoriale della famiglia.
MEZZOGIORNO DI FUOCO
Sono da poco passate le 12 quando ad accomodarsi al cospetto del Tribunale presieduto da Silvia Capone è Alberto Cisterna, l'ex procuratore aggiunto della DNA, trasferito al ruolo di giudice civile a Tivoli proprio dopo le esternazioni di Nino Lo Giudice, che lo porteranno all'indagine per corruzione in atti giudiziari (poi archiviata): "Ho conosciuto Luciano Lo Giudice presso il cantiere nautico di Spanò" esordisce Cisterna. Quello di Calamizzi sarà uno snodo centrale delle vicende: lì, infatti, Luciano Lo Giudice avrebbe avuto la possibilità di conoscere personaggi del calibro di Alberto Cisterna, Franco Mollace, ma anche un altro giudice, Francesco Neri, come emerso nelle udienze precedenti. Sarà però la conoscenza tra Luciano e Cisterna l'aspetto su cui gli inquirenti concentreranno le forze: un'ipotesi di corruzione, secondo la Dda, un rapporto collaborativi per la cattura del superlatitante Pasquale Condello, secondo Cisterna.
Arriva in aula Cisterna, proprio lui che dichiarerà più volte di essere stato processato in contumacia, in un processo in cui non avrà mai la possibilità di difendersi.
E l'ex numero due della DNA è partito proprio da lontano, dalla sinergia tra Procura Nazionale Antimafia e Servizi Segreti, sia con riferimento alla lotta al terrorismo, sia sul versante della cattura dei latitanti. Cisterna ripercorrerà i suoi primi anni romani (dal 2002 in poi), allorquando una serie di operazioni legheranno a doppio filo le indagini di mafia e gli 007. Dall'operazione "Bumma" al fallito attentato nella sede del Comune di Reggio Calabria, in uno dei momenti più difficili per l'allora sindaco Giuseppe Scopelliti: "La notizia dell'esplosivo a Palazzo San Giorgio verrà anticipata di una settimana" dirà l'ex vice di Piero Grasso.
Proprio nel rapporto tra DNA e Sismi si inquadrerebbe la figura di Luciano Lo Giudice, che Cisterna presenterà al Colonnello Michele Ferlito, proprio per arrivare alla cattura del "Supremo", latitante da diversi anni: "Non c'è cattura di un latitante che non abbia un contributo informativo, chi afferma il contrario ha il diritto di farlo, però...". Luciano Lo Giudice, dunque, avrebbe dovuto fornire indicazioni a Ferlito in ordine alla cattura di Condello: da qui un primo incontro a Fiumicino (cui parteciperà anche Antonino Spanò, l'imprenditore considerato il trait d'union tra Lo Giudice e le Istituzioni) e un secondo incontro proprio all'interno del cantiere navale.
Nonostante la possibilità di fornire indicazioni su uno degli uomini più carismatici che la 'ndrangheta abbia mai avuto, Pasquale Condello, Luciano Lo Giudice – a detta di Cisterna – non sarebbe stato collocato dalle forze di polizia all'interno di organizzazioni mafiose: "E' sempre stato molto rispettoso" dice Cisterna, escludendo ogni tipo di richiesta illecita da parte di Lo Giudice. "Chi verrebbe mai da me a millantare di avere informazioni su Pasquale Condello?" chiederà Cisterna, sollecitato sui motivi per i quali si darà effettivamente credito alle "soffiate" di Luciano Lo Giudice.
E se l'interrogatorio condotto dagli avvocati (tra gli altri Filippo Caccamo e Aldo Casalinuovo, per Lo Giudice, e Antonino Marra, per Spanò) fila liscio, il confronto diventa serrato, talvolta spigoloso, quando a prendere la parola sono il sostituto procuratore della Dda, Beatrice Ronchi, e il procuratore capo, Federico Cafiero de Raho, che ancora una volta si è schierato al fianco della collega: "Non dovevo parlare, avrei dovuto tacere davanti a chi si presentava accompagnato dalla prima pagina del Corriere della Sera" dice Cisterna, facendo riferimento all'interrogatorio del 17 giugno 2011, avvenuto in concomitanza con lo scoop di Giovanni Bianconi sull'indagine per corruzione in atti giudiziari.
Quello contro giornali e giornalisti "nemici" è un tema assai ricorrente nella lunga deposizione di Cisterna, che continuerà a contestare anche le modalità d'indagine portate avanti dal pm Ronchi: "Su di me sono state fatte indagini patrimoniali a partire dal 2001, nonché su tabulati appartenenti a un archivio illecito (si fa riferimento a Gioacchino Genchi, ndi), e poi cosa vuole che dica sulla sim fatta trovare da Nino Lo Giudice diversi mesi dopo l'arresto di Luciano Lo Giudice?". La tensione cresce e Cisterna contesta duramente i contenuti del decreto di archiviazione dell'accusa nei suoi confronti: un'indagine, quella per corruzione in atti giudiziari, da cui il magistrato uscirà indenne, ma che, stando alle carte del Gip Barbara Bennato, testimonierà i rapporti poco chiari con Lo Giudice. Cisterna va su tutte le furie quando si tira in ballo la circostanza secondo cui, i contatti sarebbero avvenuti anche attraverso i cellulari della scorta e dell'autista, evidentemente per eludere eventuali indagini: "Non mi sono mai fatto prestare il telefono da nessuno" tuonerà Cisterna.
Ma la vera notizia è la contrapposizione con Cafiero de Raho. Se il capo della Procura manterrà sempre il suo aplomb, Cisterna, evidentemente parte in causa e quindi colpito nel profondo, utilizzerà un tono assai accorato: "L'aiuto nei confronti del figlio di Luciano Lo Giudice l'ho dato e lo ridarei" dirà Cisterna, commentando l'interessamento per il figlio malato di Luciano. Anche con riferimento al controllo su strada subito da Lo Giudice (che contatterà il magistrato) Cisterna fornirà la sua interpretazione: "Una smargiassata". Con il contatto di collaborazione/confidenza instaurato con le Istituzioni, Lo Giudice si sarebbe dunque convinto di avere qualche tipo di rapporto privilegiato, ma Cisterna troncherà i rapporti dopo l'ennesima richiesta d'aiuto di Luciano in occasione di un controllo della Polizia Amministrativa all'interno del bar "Peccati di gola".
A Cisterna, però, verranno contestate anche le lettere che Luciano Lo Giudice scriverà dal carcere, nei mesi successivi all'arresto dell'ottobre 2009. Lettere che per la Dda rappresentano una vera e propria richiesta d'aiuto, ma per Cisterna potevano nascondere un intento di collaborazione che, tuttavia, non verrà mai acclarato. Anche con riferimento agli sms della moglie di Lo Giudice e all'incontro con la stessa, Cisterna sposterà le argomentazioni sul lato umano: "Incontrai la moglie di Luciano Lo Giudice, perché temevo per la vita del detenuto, dato che era fratello di un collaboratore di giustizia (Maurizio) e soggetto che aveva collaborato per la cattura di Condello".
Ma è proprio qui che si instaura la dialettica più dura tra Cafiero de Raho e Cisterna. Il capo della Procura solleciterà Cisterna sotto il profilo etico dei rapporti intrattenuti con un soggetto appartenente a una notoria famiglia di 'ndrangheta. Ma Cisterna si difenderà: "Luciano Lo Giudice è un soggetto di bassa cultura, può aver immaginato qualsiasi cosa, e dovessimo andare dietro alle convinzioni..."
(NON) LO CHIAMAVANO "DON CICCIO"
Un dato su cui le affermazioni di Alberto Cisterna e Franco Mollace entrerebbero in contraddizione è quello riguardante le modalità con cui i due si sarebbero interfacciati una volta appresa la volontà di Luciano Lo Giudice di fornire indicazioni sulla cattura di Condello. Cisterna affermerà di aver appreso la circostanza da Mollace e di aver portato il caso all'attenzione di Ferlito perché Luciano Lo Giudice non si fidava di nessuno su Reggio Calabria. Mollace, invece, dichiarerà di aver sempre mantenuto il massimo riserbo, anche con il collega Cisterna.
Per il resto, la deposizione del sostituto procuratore generale presso la Corte d'Appello di Reggio Calabria respinge nel merito ogni insinuazione sul rapporto con Luciano Lo Giudice, conosciuto – tanto per cambiare – proprio nel cantiere di Nino Spanò: "Una conoscenza avvenuta intorno al 2004 e rimasta del tutto occasionale" dice Mollace. Il magistrato rivendicherà anche la circostanza secondo cui non vi sarebbero contatti telefonici insieme a Luciano: "Non ho ricordo della sua voce al telefono" dice. Ma è qui che arriverebbe il colpo di scena: il pm Ronchi, infatti, paventerà l'ipotesi dell'esistenza di telefonate esterne al cosiddetto "archivio Genchi" (contestato anche da Mollace, così come da Cisterna), ma nella disponibilità della Procura di Catanzaro.
La circostanza, tuttavia, non verrà particolarmente approfondita.
A Cisterna e a Mollace, tuttavia, verranno contestate le dichiarazioni spontanee di Luciano Lo Giudice, che in dibattimento dichiarerà candidamente di non aver mai avuto bisogno di armi (c'è un capo di imputazione specifico a riguardo), ma che in caso di problemi avrebbe potuto contare su Cisterna e Mollace. Dichiarazioni evidentemente sconvenienti, che tuttavia Luciano rettificherà proprio prima dell'interrogatorio di Mollace: "Le mie parole sono state interpretate male" dirà.
Mollace, invece, negherà di aver mai conosciuto l'avvocato Giovanni Pellicanò, il legale di Luciano che – secondo alcune intercettazioni ambientali – sarebbe stato inviato a parlare proprio da Mollace per perorare la causa di Luciano, dopo l'arresto. Una circostanza negata con forza da Mollace: "Ho pochi amici a Reggio Calabria e poche le persone che frequento". E' soprattutto il procuratore capo Federico Cafiero de Raho a insistere sui rapporti. Ma Mollace negherà, quasi sempre con il sorriso sulle labbra: "Avrei denunciato, se avessi ricevuto richieste illecite". Mollace, tuttavia, risponderà a muso duro al procuratore capo, quando questi gli spiattellerà in faccia le conversazioni in cui verrebbe chiamato "don Ciccio" da Luciano Lo Giudice e dall'avvocato Pellicanò: "Io vengo chiamato dottor Mollace, non don Ciccio!" dirà con tono di voce fermo.
Difesa comune a Cisterna e Mollace, sarà però l'asserita convinzione di conoscere Luciano Lo Giudice come un soggetto assolutamente estraneo alla 'ndrangheta, benché i trascorsi giudiziari della sua famiglia parlino chiaro (il padre Giuseppe verrà assassinato nel 1990 ad Acilia). Tra la fine degli anni '90 e il 2000, però, entrambi riceveranno alcune informative in cui si parlerà espressamente della cosca Lo Giudice, facendo riferimento anche a Luciano. Addirittura, Mollace per un determinato periodo avrà anche un fascicolo sulla scrivania, in cui Luciano sarà indagato per associazione mafiosa: l'installazione della microspia a bordo dell'autovettura di Luciano, però, non avverrà mai.
L'ANTIPASTO
Prima dell'inizio della bagarre, toccherà all'ex dirigente della Squadra Mobile di Reggio Calabria e oggi capo del commissariato di Taormina, Renato Panvino, aprire le danze all'interno dell'aula bunker. Panvino riferirà soprattutto in merito alla figura del capitano dei Carabinieri, Saverio Spadaro Tracuzzi, accusato di corruzione aggravata dalle modalità mafiose: "Ho conosciuto Spadaro nel 2003 in occasione delle attività di riscontro alle dichiarazioni fornite dal collaboratore Paolo Iannò". Luciano Lo Giudice, invece, verrà conosciuto da Panvino in occasione dell'incendio subito dal cantiere di Nino Spanò, siamo nel 2004: "Si presentò come amico di Spanò, ma lo feci allontanare".
Luciano, tuttavia, sarebbe stato introdotto anche dallo stesso Spadaro Tracuzzi, che lo avrebbe presentato come sua "fonte confidenziale". Proprio da questo punto di partenza, la Squadra Mobile (in quel periodo interessata alla cattura di Pasquale Condello, poi arrestato dal Ros dei Carabinieri nel febbraio 2008) proverà a intensificare le operazioni per la cattura del "Supremo": "Nel 2005 eravamo vicinissimi ad arrestare Condello" dirà. Poi però l'attività andrà via via scemando, fino al passaggio di consegne con il Ros, che poi raggiungerà l'obiettivo. All'inizio del 2006, però, la Squadra Mobile tenterà di pescare il jolly, convocando alcuni soggetti che avrebbero potuto fornire indicazioni in merito. Tra questi anche Luciano Lo Giudice, cui verranno anche offerti dei soldi.
Luciano, però, si rifiuterà di collaborare.