Crolla l'impianto accusatorio contro Claudio La Camera. Si è chiuso ieri il processo di primo grado contro l'ex presidente del Museo della ndrangheta difeso dagli avvocati Carmelo Miceli e Antonio Mazzone, con una sostanziale demolizione delle tesi della Procura che aveva formulato 8 capi d'imputazione per circa un milione di euro e una richiesta di condanna di 1 anno e dieci mesi. La Corte si è pronunciata con l'assoluzione "perché il fatto non sussiste" per il capo principale d'imputazione secondo il quale il presidente avrebbe svolto attività "non conferenti" con l'antimafia.
L'ex presidente del Museo della 'ndrangheta - oggi Osservatorio sulla 'ndrangheta - Claudio La Camera, fu indagato, diversi anni fa, dalla Procura di Reggio Calabria per truffa aggravata ai danni dello Stato, falsità ideologica e appropriazione indebita per presunte irregolarità nella gestione dei finanziamenti pubblici ricevuti.
Secondo le indagini svolte dalla Guardia di Finanza, parte dei finanziamenti pubblici ricevuti dal Museo sarebbero stati utilizzati da La Camera per viaggi non autorizzati e spese non attinenti con l'attività della struttura, tra le quali la riparazione di un'automobile, l'acquisto di un i-pad e altri oggetti. A distanza di oltre sei anni arriva la sentenza di primo grado.
--banner--
Dichiarata inoltre la prescrizione di altri capi d'imputazione e una condanna di nove mesi (pena sospesa e non menzione) su contestazioni residuali prossime alla prescrizione. L'accusa aveva cambiato più volte imputazioni senza riuscire a dimostrare la distrazioni di fondi. È stato determinante l'imponente materiale probatorio presentato dalla difesa oltre che la corretta ricostruzione amministrativa dei periti di parte. Anche le parti civili sono state dichiarate decadute ed è stato revocato il provvedimento di sequestro di 217 mila euro.