Fine della corsa per Pietro "Ti Mangio" Labate, il super boss latitante da due anni

confquesturatimangiodi Benedetta Malara - "Pietro Labate non le manda a dire le cose, le fa". Per questo ieri, probabilmente, si trovava a bordo del suo scooter: stava andando ad incontrare qualcuno dei suoi affiliati. Ricercato e latitante dal 2011, Pietro "Ti mangio" Labate, superboss dell'omonima cosca, egemone nel quartiere reggino del Gebbione, era rimasto nel suo feudo, dove – come ha spiegato il questore Guido Longo – sapeva di avere protezione.

Da più di un anno gli uomini della squadra mobile, coordinati dal procuratore Federico Cafiero de Raho, dal capo della Polizia Gennaro Semeraro e dal pm Giuseppe Lombardo, stavano addosso a Labate. Da un paio di giorni, il cerchio si era stretto sempre di più, finchè nella tarda serata di ieri i militari sono passati all'azione e hanno bloccato Labate, nei pressi del Torrente Sant'Agata.

Labate indossava un casco, e accortosi della presenza dei poliziotti ha tentato la fuga, venendo però bloccato.

Da due anni in fuga dopo gli arresti dell'operazione "Archi", che avevano colpito la sua cosca e quella dei Tegano, Pietro Labate aveva scelto di restare nel suo quartiere, per controllare e gestire le attività del clan, da più di cent'anni presente sul territorio reggino e infiltrato specialmente nel tessuto economico della città, con il controllo di varie aziende e società tanto a livello di liquidità quanto di assunzioni "pilotate", come emerso dall'operazione "Gebbione" che ha portato alla luce il controllo della cosca sulle Officine O.M.E.C.A. e su molte attività nuove, create per riciclare il denaro proveniente dalle estorsioni e dall'imposizione di forniture di beni e servizi da parte di imprese controllate dai propri affiliati.

La posizione di Labate verrà aggravata anche dalle dichiarazioni del pentito Roberto Moio, che denuncerà anche il fratello di Labate, Francesco – già detenuto – e altri affiliati, tra cui Giovanni "Gio Gio" Caccamo e Silvio Candido, anche lui in carcere poiché ritenuto uomo di fiducia dei Labate all'interno della ditta "New Labor" di Reggio.

Condannato a vent'anni di reclusione in primo grado nel processo "Archi Astrea", a Labate vengono contestati diversi reati, tra cui associazione di tipo mafioso e armata per fini estorsivi, impedimento del libero esercizio di voto e gestione – grazie al controllo sul territorio – di un bacino di voti da offrire ad esponenti politici compiacenti.

Subito dopo l'arresto, le forze dell'ordine sono entrate nell'appartamento in cui viveva Labate, poco lontano dal luogo del suo arresto, e hanno sequestrato del materiale per proseguire le indagini.

"Questo è un ulteriore passo in avanti nella lotta alla ndrangheta" ha detto Cafiero de Raho. "Il controllo della criminalità si esegue soprattutto evitando che ci siano latitanti, perché la 'ndrangheta è capace più dello Stato di controllare il territorio. E l'arresto – ha aggiunto – operato proprio nel suo territorio, è un risultato eccellente".

Il procuratore ha evidenziato soprattutto la grande capacità di tutti gli uomini che hanno partecipato all'indagine nel non fare trapelare alcun dettaglio, rendendo così possibile la sorveglianza ravvicinata del boss, senza che lui nutrisse alcun sospetto. "Non abbiamo fatto il minimo errore – ha detto Semeraro – nonostante indossasse un casco lo abbiamo riconosciuto, e lo abbiamo bloccato prima che riuscisse a darsi alla fuga".

Pietro "Ti Mangio" Labate è ora rinchiuso nella Casa Circondariale di Reggio Calabria, mentre le indagini continuano per individuare la rete di fiancheggiatori che ha favorito la sua latitanza.

"La popolazione – ha concluso Cafiero de Raho – cominci a comprendere che la 'ndrangheta è un piombo che non può gravare sulla società civile".