di Claudio Cordova - Non sono i dodici anni richiesti dal sostituto procuratore della Dda, Antonio De Bernardo, ma di certo pesano parecchio gli otto anni inflitti dal Tribunale di Reggio Calabria all'imprenditore Pietro Siclari, condannato in primo grado in uno stralcio del processo "Entourage". Il Collegio presieduto da Olga Tarzia ha disposto due condanne e un'assoluzione: oltre a Siclari (difeso dagli avvocati Nico D'Ascola e Carlo Morace), è stato condannato anche Vincenzo Ranieri, che ha rimediato quattro anni e sei mesi di reclusione. Assolto invece Pasquale Buda (difeso dagli avvocati Umberto Abate e Francesco Calabrese) che comunque resta detenuto a causa di altre pendenze con la giustizia. Per i due l'accusa aveva chiesto la condanna a nove anni di reclusione ciascuno.
L'inchiesta portò alla ribalta un vero e proprio "cartello" di imprese in grado di ottenere l'appalto nei lavori pubblici banditi nella provincia di Reggio Calabria, predisponendo a tavolino le offerte, in modo da preordinare il nome della ditta vincitrice: tanti episodi di turbativa d'asta per lavori di importo medio di 300-400mila euro ciascuno. Nell'indagine fu coinvolto anche Siclari, imprenditore molto noto in città e considerato dagli inquirenti assai vicino ai clan. L'indagine, infatti, permise di far luce su una rapina consumata nell'agosto 2006 da almeno tre individui ai danni della ditta Siclari, a Cannavò, zona che, dal punto di vista criminale, fa da sempre riferimento alla cosca Libri. Il bottino della rapina in danno di Siclari fu di 75mila euro. Uno dei responsabili, Antonio Cutrì, venne anche arrestato nel corso dell'operazione. E proprio con riferimento alla posizione di Cutrì, Siclari, avrebbe messo in atto la propria condotta criminosa, che gli costa l'accusa di estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Dopo aver denunciato la rapina ai Carabinieri, Siclari non si sarebbe accontentato delle indagini avviate dai militari dell'Arma, ma avrebbe intrapreso delle verifiche personali, individuando in Antonio Cutrì uno dei responsabili, con il ruolo di basista, della rapina subita. Siclari allora avrebbe imposto al padre di Cutrì, suo dipendente da diversi anni, a pensionarsi, rinunciando a buona parte della propria liquidazione, come compensazione della rapina. Siclari avrebbe svolto le proprie indagini parallele e imposto il pensionamento forzato a Cutrì, sfruttando la forza intimidatoria di alcuni soggetti assai vicini alle cosche di Cannavò, Sinopoli e Platì.
Per Siclari, dunque, arriva la condanna in primo grado, unitamente a un'ammenda da 2500 euro e all'inibizione perpetua dai pubblici uffici. Alcune settimane fa, l'imprenditore era peraltro stato assolto nell'ambito del processo "Reggio Nord", in cui verrà coinvolto circa la presunta intestazione fittizia della discoteca Limoneto. Contestualmente alla sentenza (che dovrà essere motivata entro 90 giorni), il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica nei confronti di Giuseppe Alvaro, Maria Sorbo e Francesco Cutrì: i tre hanno deposto nel lungo dibattimento, ma, evidentemente, non hanno convinto il Collegio circa la veridicità delle affermazioni rese in aula.