Reggio, processo "Archi-Astrea": in aula i "vecchi" pentiti Riggio e Iero

reggiocalabria aulabunkerdi Claudio Cordova - A distanza di anni, tornano in aula i collaboratori di giustizia Giovanni Riggio e Paolo Iero. Lo fanno nel procedimento "Archi-Astrea", per riferire sulle dinamiche criminali che ruoterebbero attorno alle famiglie Tegano e Labate. I due, collaboratori di giustizia da diversi lustri, sono stati citati dal pubblico ministero della Dda, Giuseppe Lombardo, che porta avanti l'accusa sulle infiltrazioni dei Tegano nella società mista del Comune di Reggio Calabria, Multiservizi. Al termine dell'udienza, il Tribunale ha peraltro acquisito su input dell'avvocato Lorenzo Gatto – nonostante il parere contrario del pm Lombardo, che aveva paventato dubbi sull'autenticità – il memoriale del collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, di cui si sono perse le tracce da circa un mese.

Due killer di professione, Riggio e Iero. Il primo, affiliato alla cosca Latella, operante nella zona sud della città, si formerà, dal 1987 al 1992, al seguito di personaggi come Giovanni Puntorieri. Sono gli anni della seconda guerra di mafia, in cui Riggio – un ragazzino ai tempi – commette diversi omicidi per conto della 'ndrangheta.

Poi la decisione di collaborare, nel settembre del 1993.

Riggio riprende proprio le affermazioni rese nel corso di numerosi processi, ma si concentra soprattutto sui rapporti tra la propria famiglia di appartenenza e i clan di Archi: "Tra i Latella e i De Stefano c'era un legame solido" dice. Lessico ed eloquenza invidiabili, accento da "forestiero", Riggio, a distanza di 20 anni dal pentimento, si è rifatto una vita, ma ricorda bene gli anni da criminale, portando all'attenzione del pm Lombardo e del Collegio presieduto da Giuseppe Campagna, le logiche del tempo: "Il capo era Giovanni Tegano, si doveva chiedere a lui qualsiasi cosa, anche se ha sempre vissuto in clandestinità". Il collaboratore racconta di aver frequentato la casa dei Tegano, conoscendone sia i vertici, sia i gregari, tra cui l'attuale pentito, Roberto Moio, nipote acquisito di Giovanni Tegano. Riggio, quindi, vivrà per intero la mattanza reggina, che conterà circa 600 morti ammazzati, fino alla pace: "L'estate degli accordi è quella del 1991".

Ad agosto, infatti, verrà ucciso il giudice Antonino Scopelliti. Le cosche reggine smetteranno di sparare. Quell'omicidio potrebbe sancire la grande alleanza con le famiglie siciliane, peraltro già ben inserite nei contesti 'ndranghetisti. Riggio infatti racconterà dell'omicidio di Francesco Sottile, avvenuto nella zona di Pellaro, per un "favore" al boss catanese, Nitto Santapaola: "I De Stefano e i Tegano sono sempre stati legati a Santapaola". La supremazia, dunque, sarebbe sempre stata del rione Archi: "Il dominio su Reggio era di Paolo De Stefano" dice Riggio ricordando i tempi antecedenti all'uccisione del boss. Poi, dopo la guerra di mafia, la città sarebbe stata divisa "50 e 50" tra gli schieramenti.

Da un pentito all'altro, è il turno di Paolo Iero, uomo di livello prima all'interno della cosca Labate, poi con i Serraino e i Rosmini: "Ero santista, poi volevano darmi il Vangelo, ma lo rifiutai, chiedendo di darmi invece più soldi". Iero deciderà prima di avvalersi della facoltà di non rispondere, poi, trascorso un po' di tempo cambierà idea e renderà le dichiarazioni alle parti. Proprio con riferimento alle conoscenze della famiglia del Gebbione, Iero (collaboratore dal 1996) ricorderà le figure apicali: da Paolo Labate, passando per Michele, Santo e Pietro Labate. L'attenzione del pm Lombardo si concentrerà però su Silvio Giuseppe Candido, imputato nel procedimento. Iero lo descriverà come un affiliato, che avrebbe frequentato anche una bisca clandestina nei pressi del viale Aldo Moro, frequentata da diversi soggetti organici alle cosche: "Ma non solo, c'erano anche persone normali che venivano a giocare lì".