Agguato al boss "Mimmo u boi": chieste 5 condanne nel processo "De Bello Gallico"

fortugnofortunata600La Dda di Reggio Calabria ha chiesto 5 condanne nell'ambito del procedimento "De Bello Gallico", che ha come fulcro dell'accusa la ricostruzione della barbara uccisione di Fortunata Fortugno e il grave ferimento di Demetrio Logiudice, il boss detto "Mimmo u boi", in uno spazio adiacente al Torrente di Gallico, dove la coppia si era appartata a bordo di un fuoristrada.

Nel dettaglio, nel processo che si celebra con rito abbreviato sono stati chiesti 30 anni per Paolo Chindemi, 18 anni per Ettore Bilardi, 14 anni per Santo Pellegrino, 12 anni per Pietro Pellicanò, 10 anni per il collaboratore di giustizia Mario Chindemi.

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Proprio le dichiarazioni di Chindemi sono una parte importante del corpus su cui si fondano le convinzioni dei magistrati antimafia reggini. A uccidere la Fortugno e ferire Logiudice sarebbe stato dunque il giovane Paolo Chindemi. La coppia stava seduta sul sedile posteriore del fuoristrada dell'uomo, in una zona isolata prossima al torrente Gallico, quando sarebbe giunta un'autovettura dalla quale sarebbe sceso un uomo che esplodeva dai due ai quattro colpi di arma da fuoco. Un colpo attingeva mortalmente la donna alla testa e un altro feriva l'uomo alla spalla. Ancorché gravemente ferito, Logiudice riuscirà ugualmente a mettere in moto l'autovettura e ad allontanarsi repentinamente dal luogo dell'agguato mentre il killer esplodeva contro il mezzo altri colpi di arma da fuoco. La corsa disperata verso l'ospedale non riuscirà tuttavia a salvare la vita alla donna che giungeva cadavere al pronto soccorso.

Indagini serrate quelle della Squadra Mobile retta da Francesco Rattà, che inizialmente si scontra contro un muro di gomma. Né le dichiarazioni di Logiudice, né quelle di altre persone, né l'acquisizione dei tabulati telefonici, fornisce particolari indicazioni. Ed ecco l'intuizione: un'imponente attività di acquisizione delle immagini riprese da circa settanta impianti di video sorveglianza pubblica e privata presenti nei luoghi prossimi e meno prossimi a quello in cui era stato perpetrato l'efferato delitto.

L'accurata analisi dell'impressionante mole di immagini acquisite nei giorni immediatamente successivi al duplice delitto dagli impianti di video sorveglianza - per un totale di diverse centinaia di ore di filmati passati letteralmente sotto lente dagli inquirenti - e i riscontri ottenuti dai servizi di osservazione e controllo del territorio, avrebbero consentito agli investigatori della Sezione Omicidi della Squadra Mobile non solo di ricostruire le fasi dell'incontro delle vittime, ma anche di individuare in un'Audi A3 Sportback, in uso esclusivo al giovane Paolo Chindemi, l'autovettura utilizzata dal killer la sera del 16 marzo per compiere prima il sopralluogo e subito dopo l'agguato in cui Fortunata Fortugno fu colpita a morte e Demetrio Logiudice fu gravemente ferito. Più nello specifico, gli esiti della disamina certosina delle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza, permettevano di ricostruire - con riferimento ai movimenti dell'autovettura delle vittime e di quella del killer - la fase dell'appuntamento dei due amanti, la fase del sopralluogo, dell'agguato e della fuga dell'attentatore, nonché quella della corsa verso l'ospedale del soggetto ferito a bordo della macchina con la donna esanime. Molteplici attività tecniche di intercettazione ambientale locale e veicolare disposte dalla D.D.A. di Reggio Calabria consentivano agli investigatori della Squadra Mobile di raccogliere ulteriori e pregnanti elementi che, in combinazione con quelli già acquisiti dagli impianti di video sorveglianza con riferimento al mezzo utilizzato dal killer per compiere l'agguato, andavano a comporre un quadro indiziario grave, preciso e concordante a carico di Paolo Chindemi, quale esecutore materiale dell'efferato delitto. E' lo stesso giovane, intercettato, ad ammettere di aver commesso un omicidio, mentre lo zio gli consiglia di sbarazzarsi di una pistola.

Nel corso di una conversazione ambientale captata in macchina, gli indagati - fra i quali Paolo Chindemi - fanno riferimento alla circostanza che la donna si stava voltando per guardare indietro quando è stata colpita, al fatto che la stessa sia morta per colpa dell'uomo con cui era in macchina, al quale aveva sostanzialmente fatto da scudo, salvandogli la vita.

Vendetta personale e o vero e proprio omicidio di matrice mafiosa?

Gli investigatori propendono per la seconda ipotesi: Paolo Chindemi è figlio di Pasquale Chindemi, assassinato proprio a Gallico il 15 febbraio scorso. Un mese prima rispetto all'agguato nei confronti di "Mimmo u boi" e della sua amante.

La scia di sangue, dunque, si inquadrerebbe nel contesto criminale di Gallico, piuttosto effervescente negli ultimi mesi, anche per via di una serie di intimidazioni ad attività commerciali, ma non solo. Le conversazioni captate avrebbero dimostrato che lo scopo fondamentale della consorteria facente capo ai Chindemi era quello di affermare la propria leadership criminale, conquistando spazi sempre più ampi nel territorio di Gallico, anche con l'uso delle armi, pianificando azioni volte ad assumere il controllo delle attività estorsive in danno di imprenditori e commercianti del luogo e ad eliminare esponenti delle fazioni contrapposte. Le indagini avrebbero consentito di far luce anche su un atto intimidatorio posto in essere dal gruppo Chindemi, lo scorso 23 maggio, mediante l'esplosione di alcuni colpi di fucile contro le serrande di due garage di un condominio di cinque piani a Gallico.

Con l'inchiesta, gli investigatori sono convinti di aver scongiurato una sanguinosa guerra di 'ndrangheta nella frazione nord di Reggio Calabria. Le mire su Gallico erano serie e avrebbero potuto portare a ulteriori spargimenti di sangue. Nel gruppo dei Chindemi sarebbe stata forte la presenza di Ettore Corrado Bilardi, già condannato a lunghi anni di reclusione per omicidio, genero del boss storico della 'ndrangheta di Reggio Calabria don Mico (Domenico) Tripodo, assassinato nel 1977 all'interno del carcere di Poggioreale su mandato dei De Stefano, nonché cognato di Venanzio Tripodo, genero di Sebastiano Romeo, patriarca della storica famiglia di 'ndrangheta di San Luca (RC) intesa "I Stacchi". Gli appartenenti al gruppo Chindemi - attraverso l'opera di qualificata mediazione di Bilardi - hanno intessuto relazioni con esponenti di affermate cosche della 'ndrangheta operanti nei mandamenti tirrenico e ionico della provincia di Reggio Calabria.