di Claudio Cordova - "Ho riparato le barche di tutti, dal piccolo artigiano al grande onorevole, dal piccolo artigiano al grande imprenditore, dal piccolo artigiano al grande giornalista". Inizia così il racconto della propria carriera, Antonino Spanò, imputato nel procedimento contro la famiglia Lo Giudice di Reggio Calabria, essendo ritenuto il prestanome di Luciano Lo Giudice, nonché il trait d'union tra la famiglia e le Istituzioni.
Spanò ha deciso di rispondere alle domande del proprio legale di fiducia, l'avvocato Antonio Marra, nonché del pubblico ministero Beatrice Ronchi. Ha risposto per diverse ore, all'interno dell'aula bunker, ripercorrendo i suoi rapporti con Luciano, considerato l'anima imprenditoriale della famiglia originaria di Santa Caterina. E proprio per ragioni prettamente economiche nascerà il rapporto tra i due: Luciano – che avrebbe avuto una grossa disponibilità economica – avrebbe cambiato a Spanò i numerosi assegni postdatati che i clienti di volta in volta elargivano per il lavoro.
Un lavoro iniziato nella banchina del molo di ponente del porto di Reggio Calabria, rimessa di proprietà di Ernesto Rosmini, ritenuto elemento di spicco dell'omonima cosca, proseguita poi in un piccolo spazio a Pentimele e finita, quindi, nel cantiere di Calamizzi, quello che, secondo la Dda di Reggio Calabria, sarebbe stato solo apparentemente di Spanò, ma nella reale disponibilità di Luciano Lo Giudice.
Proprio all'interno della rimessa di Calamizzi avrebbero trovato ospitalità le imbarcazioni dei giudici Alberto Cisterna, Franco Mollace e Franco Neri, ma non di Enzo Macrì: "Non l'ho mai conosciuto" dice Spanò. Togati balzati alle cronache quando scoppierà l'affaire Lo Giudice, che porterà all'indagine (poi archiviata) sul conto di Cisterna. E sui rapporti con i magistrati, Spanò racconterà la propria versione dei fatti: Mollace avrebbe subito diversi furti sulla propria imbarcazione da cinque metri. Danneggiamenti che porteranno il magistrato a ricorrere a un'altra imbarcazione che – stando a quanto riferito da Spanò – per due o tre anni sarebbe stata "prestata" dal cantiere. Mollace, dunque, avrebbe frequentato il cantiere di Spanò: "Quando arrivava si sentiva, auto di scorta, sirene, una volta c'era pure l'elicottero". In un'occasione Spanò si sarebbe anche recato a Bianco (nella Locride) a bordo di un'imbarcazione guidata da Lo Giudice: "Io non ho la patente nautica" dirà imbarazzato in aula. Quel viaggio, però, a detta dell'imputato sarebbe stato effettuato come "favore" nei confronti del fratello del giudice Franco Mollace, Vincenzo, in quel periodo direttore dell'Arpacal. Spanò avrebbe poi recuperato dalle acque un gommone di proprietà di Cisterna, custodendolo fino al momento della vendita, avvenuta nel 2006. L'imprenditore ha tuttavia smentito la circostanza raccontata dal collaboratore di giustizia, Antonino Lo Giudice, riguardante un viaggio in Sicilia, effettuato insieme a Luciano Lo Giudice, per recuperare il natante di Cisterna: "Non ha mai avuto una barca in Sicilia, con Luciano abbiamo recuperato a Milazzo quella del dottore Neri".
In tanti, dunque, avrebbero affidato barche e gommoni a Spanò, sia membri delle Istituzioni, sia esponenti della malavita cittadina. Dai magistrati Cisterna, Mollace e Neri, ai carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi e Francesco Maisano, fino ai personaggi ritenuti organici o vicini alla 'ndrangheta, come Demetrio e Domenico Condello, ma anche Michele Labate e Giovanni Rogolino e gli imprenditori Pasquale Rappoccio (tramite il fratello) e Pietro Siclari. Trattamento analogo per tutti: la decisione di non censire l'imbarcazione, non registrandola sulla bolla di presenza.
Tuttavia, l'accusa contesta a Spanò di essere il tramite tra Luciano Lo Giudice e le Istituzioni. Da qui, dunque, il riferimento ad Alberto Cisterna: "Lui si impegnò molto per trovare una struttura adatta per le cure del figlio di Luciano Lo Giudice". Spanò avrebbe anche incontrato il magistrato (per anni viceprocuratore nazionale antimafia) a Fiumicino, pranzando insieme a un personaggio che gli verrà presentato come "avvocato che esercita a Padova", ma che solo dopo – a suo dire - scoprirà essere il Colonnello dei Servizi Segreti, Michele Ferlito. A Fiumicino sarebbe poi arrivato anche Luciano Lo Giudice, che si sarebbe allontanato a parlare con il sedicente avvocato. Per quell'occasione, dunque, il teatro degli incontri non sarà il cantiere di Calamizzi, che negli anni (2004 e 2009) subirà due danneggiamenti: una bomba e un incendio, che divamperà proprio dall'imbarcazione di Luciano Lo Giudice. E nonostante l'insistenza del pm Ronchi e del presidente del Collegio, Silvia Capone, Spanò non riuscirà a ricordare se l'incontro romano sia avvenuto prima o dopo della bomba del 2004.
Nel corso della propria deposizione, Spanò minimizzerà la conoscenza con l'attuale collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, scomparso nel nulla da qualche settimana dopo aver spedito un memoriale ritrattando tutte le accuse. Negli anni antecedenti alla collaborazione, Spanò avrebbe incontrato meno di dieci volte il "Nano", con il quale non vi sarebbero stati rapporti stretti, a differenza di quelli avuti con Luciano. Quel Luciano Lo Giudice che – a detta di Spanò – avrebbe millantato di essere il reale proprietario della rimessa navale. Quel Luciano Lo Giudice che nella prossima udienza – prevista per il 9 luglio – ha annunciato di voler rendere per diverse ore dichiarazioni spontanee.