di Claudio Cordova - "Io non appartengo a nessuna cosca, con questi parassiti della società non ho mai voluto avere niente a che fare, sono sempre stato un lavoratore". Luciano Lo Giudice nega con forza le affermazioni del collaboratore di giustizia Roberto Moio (nella foto), che, all'interno dell'aula bunker di Reggio Calabria, ha riferito dei presunti rapporti che i due avrebbero avuto: "Conoscevo Luciano di vista – ha detto Moio – l'ho sempre considerato un ragazzo intelligente, abbiamo preso qualche caffè insieme, anche se le nostre famiglie non erano in buoni rapporti durante la seconda guerra di mafia".
Moio, infatti, è il nipote acquisito del boss Giovanni Tegano e per circa trent'anni ha gravitato all'interno della potente cosca di Archi: "Ho conosciuto i pezzi più grossi della 'ndrangheta, non solo di Reggio Calabria" afferma con orgoglio il pentito. "Ho deciso di collaborare – spiega Moio – anche perché venti giorni prima che mi arrestassero (nell'ambito dell'operazione "Agathos", ndi), Franco Benestare mi disse che la famiglia voleva farmi fuori perché avevo cercato di fare arrestare Giovanni Tegano". Il racconto del collaboratore parte da lontano, dalla sua affiliazione alla 'ndrangheta, con i vari passaggi relativi alla mattanza che ha interessato Reggio Calabria tra il 1985 e il 1991: "All'inizio della guerra – ha ricordato il pentito – i Lo Giudice erano vicini ai De Stefano e a noi dei Tegano, poi si sono avvicinati ai Condello e, in particolare, al "Supremo", Pasquale Condello".
Una cosca, quella dei Lo Giudice che, a dire di Moio, avrebbe perso potere e prestigio dopo l'uccisione, avvenuta ad Acilia, nei pressi di Roma, del boss Peppe Lo Giudice, padre di Luciano e del collaboratore di giustizia, Nino. Ma con le sue parentele, con l'attività criminale della famiglia, Luciano dice con fermezza di non c'entrare nulla: "E' vero, nella mia famiglia ci sono stati dei problemi, ho perso mio padre, ma io ho sempre lavorato onestamente". Luciano Lo Giudice si difende e definisce "parassiti della società" gli appartenenti alla 'ndrangheta come Moio. Una difesa che Luciano Lo Giudice, come da routine ormai, affida alle dichiarazioni spontanee, come avvenuto circa un'ora prima, quando aveva risposto ai riscontri del perito Domenico Larizza, incaricato di far luce sui conti del bar-cornetteria "Peccati di gola" e su tutti gli altri affari di Lo Giudice. Ma Luciano, considerato l'anima imprenditoriale della cosca, si impegna, soprattutto, per rispondere alle accuse di Moio: "Tutti sapevano dello strozzinaggio di Luciano" aveva detto poco prima il pentito. Moio, infatti, aveva raccontato della circostanza in cui si sarebbe rivolto, tramite l'amico Pino Spadaro, a Luciano Lo Giudice per avere circa cinquemila euro che poi avrebbe dovuto restituire con un interesse di mille euro al mese: "La questione poi non andò in porto perché sia io che Luciano dovevamo partire".
A proposito di porti. Il punto su cui il collaboratore, sentito in videoconferenza in qualità di imputato di reato connesso, vacilla, è quando parla di Nino Spanò, l'imprenditore che, oltre a essere considerato un prestanome di Luciano Lo Giudice, avrebbe anche rappresentato il trait d'union con il mondo delle istituzioni, dalle forze dell'ordine ai magistrati. Moio, infatti, afferma, come peraltro sostenuto dal pubblico ministero Beatrice Ronchi, trasferita a Bologna, ma applicata alla Dda di Reggio per il dibattimento, che Spanò abbia gestito, negli anni, il cantiere navale di Calamizzi per conto di Luciano Lo Giudice. Niente di nuovo sotto il sole se non fosse che Moio afferma di essersi recato per due volte all'interno della Nautica Spanò: una volta, più recente, con il solito Pino Spadaro, la prima, invece, precedente, con Nino Fiume, l'ex killer dei De Stefano, oggi collaboratore di giustizia. La questione si complica, però, perché il pentito ha insistito sul tema nonostante le parti gli abbiano fatto notare che Fiume si consegnerà alla Polizia, pentendosi, nel febbraio 2002, mentre la Nautica Spanò inizierà l'attività solo nel 2003: "Fiume ebbe anche un alterco con Spanò – dirà con fermezza Moio – e d'altra parte Fiume mica è morto, potete sempre andare a chiederglielo..."