Affari, politica e “amici d’infanzia”. La deposizione di Cosimo Alvaro nel processo “Meta”

alvarocosimodi Claudio Cordova - Ridacchia, non ricorda, talvolta nega l'evidenza. Cosimo Alvaro è un vero e proprio personaggio e più volte con le sue risposte e con i suoi siparietti con il pm Lombardo strappa qualche sorriso all'aula. Il boss venuto da Sinopoli è – insieme a Giuseppe De Stefano (che deporrà venerdì prossimo) - l'unico tra gli imputati del procedimento "Meta" a decidere di rendere l'esame in aula. Cosimo Alvaro è il figlio del celebre boss Domenico Alvaro, che avrebbe avuto un ruolo decisivo nella pax mafiosa del 1991. Ma è anche l'uomo che – dopo la detenzione – avrebbe scelto Reggio Calabria come sede del soggiorno obbligato al fine di allacciare rapporti con il mondo imprenditoriale e politico: l'accusa contesta ad Alvaro i reati di intestazione fittizia di beni, estorsione e turbativa d'asta. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose. Sarebbe stato lui a essere il reale proprietario della casa di cura "Villa Speranza, a San Procopio, del locale "Pashà", nei pressi del museo dei Reggio Calabria, e del lido-discoteca "Calajunco", sul lungomare reggino. L'uomo si sarebbe schermato dietro personaggi come Natale Bueti, Giovanni Canale e Gianluca Cotroneo, ma anche Salvatore Mazzitelli, il "Barone" per evitare misure di prevenzione, visti i precedenti penali. E sarebbe anche il boss in contatto con l'allora consigliere comunale Michele Marcianò.

Ovviamente lui nega tutto.

Ammette (e non potrebbe fare diversamente) le conoscenze, ma rigetta l'ipotesi di alcunché di malavitoso. A cominciare dal proprio rapporto con il padre e – di conseguenza – con la 'ndrangheta: "Della 'ndrangheta ho sentito parlare, ma disconosco l'argomento. Ho vissuto molti anni fuori, come figlio non sono stato presente come avrei dovuto".

Tanti i contatti dell'uomo di Sinopoli. E in quasi tutti i casi, Alvaro li giustifica indicando i soggetti in questione come "amici d'infanzia". E' anche il caso di Salvatore Mazzitelli, l'uomo che avrebbe posseduto il lido-discoteca "Calajunco", solo formalmente. Tante le intercettazioni in cui Alvaro parlerà della gestione del lido e dei profitti che questo avrebbe potuto fruttare. Intercettazioni su cui l'imputato non è riuscito a rendere una versione alternativa rispetto a quella fornita dall'accusa.

Analogo caso riguarda i rapporti con l'allora consigliere comunale Michele Marcianò, che verrà pizzicato a casa di Alvaro a parlare di iscrizioni giovanili a Forza Italia, in modo tale da poter rastrellare un buon numero di consensi elettorali: "L'ho conosciuto molto tempo fa in discoteca" dice Alvaro. E se Marcianò, comunque, non verrà mai neppure indagato, nella casa di Alvaro (concessa gratuitamente dall'imprenditore Franco Labate) si parlerà di tesseramenti e uno dei giovani interpellati – Rocco Esposito - chiederà (in cambio del proprio tesseramento) una mano per il cugino, di professione architetto, che in quel periodo era senza lavoro. Il risultato? Circa venti giorni dopo i giovani professionisti Francesco Esposito e Francesco Ventra otterranno un lavoro dal Comune per circa 200mila euro. "Sono tutti i consiglieri comunali che se li sistemano" diranno i conversanti.

Nessuna risposta, dunque, per i rapporti con le Istituzioni o i progetti politici elaborati. Tra una risata e un'altra, Alvaro non riuscirà a dare un senso a frasi come "ora entriamo qui in politica", oppure "forza zio Peppino", in riferimento alla corsa a sindaco di Reggio Calabria nel 2007: "Non mi riferivo a chi sappiamo già..." dirà Alvaro senza fare nomi invano.

La testimonianza di Alvaro scivola via così. Venerdì prossimo toccherà a Peppe De Stefano rispondere alle domande delle parti. E in quel caso – c'è da giurarci – i toni saranno sicuramente più seri.