di Claudio Cordova - La "Cosa Nuova". E' vero che, negli anni '90, l'esistenza di una evoluzione della struttura di 'ndrangheta e mafia non aveva retto giudiziariamente, ma oggi, alla luce delle nuove acquisizioni, il concetto potrebbe tornare con diverso peso. A rilanciarlo, nel corso del processo "Gotha", è il collaboratore di giustizia Gaetano Costa. Messinese, ma affiliato alla 'ndrangheta: "Dagli anni '70, a Messina non c'era Cosa Nostra, ma c'era la 'ndrangheta" dice rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
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Con il maxiprocesso "Gotha", la Dda di Reggio Calabria ha portato a processo la masso-'ndrangheta reggina. La cupola massonica e riservata delle 'ndrine – sovraordinata a esse – che sarebbe stata retta dagli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano.
Proprio sui temi dei legami tra 'ndrangheta e massoneria e sulla "Cosa Nuova" viene chiamato a deporre Costa. Collaboratore dal 1994, tratteggia Messina (almeno fino agli anni della sua scelta di pentirsi) come una succursale della Calabria, in particolare delle famiglie Piromalli, De Stefano, Strangio, Giorgi e Gioffrè. Costa vive gli anni in cui la 'ndrangheta si modernizza attraverso la creazione della struttura segreta della "Santa", che permette il salto di qualità alle cosche: "Fino alla nascita della Santa c'era una forma di ripudio del potere, da lì invece nasce il legame con la politica e con la massoneria: si è imbastardito tutto". E, però, proprio grazie a questa evoluzione, Costa può raccontare di aver saputo che alcuni processi fossero stati in passato "aggiustati" dai Piromalli, anche in Cassazione.
Figlia di questa necessità di modernizzare la criminalità e riuscire a farla insinuare nei gangli del potere, sarebbe stata l'idea di formare la "Cosa Nuova", una sorta di organismo direttivo, posto al di sopra delle cosche, sorto nei mesi successivi alla fine della seconda guerra di mafia, formato dai rappresentanti delle più importanti famiglie, con attribuzioni riguardanti la cura dei rapporti con le altre organizzazioni mafiose storiche, una sorta di redistribuzione delle varie compartimentazioni della 'ndrangheta. L'idea della "Cosa Nuova" viene comunicata a Costa da Domenico Raso, uomo forte delle 'ndrine della Piana di Gioia Tauro, pochi mesi prima che Costa decida per il pentimento. Tutto sarebbe nato dalla regia dei Piromalli, dei Pesce, dei Bellocco, dei Mancuso di Limbadi e dei Muto di Cetraro, ma avrebbe dovuto coinvolgere anche la Sicilia e, in particolare, i Corleonesi di Totò Riina, in quel periodo egemoni dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio: "Era per contrastare il sequestro dei beni e per arginare il pentitismo, ma anche per stringere i rapporti tra mafia e 'ndrangheta" spiega Costa.
Il collaboratore si sofferma infine sul ruolo dell'avvocato Giorgio De Stefano, considerato la "mente" della famiglia: "In rapporti stretti con i Papalia e i Barbaro di Platì e con Mariano Agate di Mazara del Vallo e con Leoluca Bagarella".