Processo "Meta", Labate spiega (in parte) le chiacchiere sul "Modello Reggio"

reggiocalabria altodi Claudio Cordova - Ci sono tutti. C'è l'allora sindaco Giuseppe Scopelliti, c'è il fratello, Consolato Scopelliti, ma per tutti Tino. C'è il dirigente del Settore Lavori Pubblici, l'ingegnere Pasquale Crucitti, c'è il dirigente del Settore Progettazione ed Esecuzione, l'architetto Marcello Cammera. Molti dei personaggi principali tra quelli che, a vario titolo, hanno dato vita agli anni del "Modello Reggio".

Del resto, l'imprenditore Franco Labate nelle sue chiacchierate intercettate dai Carabinieri ha dato ampia prova di loquacità. E il pubblico ministero Giuseppe Lombardo lo ha citato come testimone nel procedimento "Meta" proprio per dare una spiegazione alle tante affermazioni in libertà che l'uomo si lascerà scappare nei colloqui con un imprenditore coinvolto nel processo, Domenico Barbieri. Discorsi in cui i due esprimeranno le proprie personali valutazioni sul presunto andazzo che avrebbe animato, in quegli anni, la gestione della Cosa Pubblica, con particolare riferimento agli appalti. Un "sistema" che, secondo il convincimento dei due, sarebbe stato caratterizzato da gare vinte per accordi, "spintarelle" o, peggio ancora, mazzette di denaro.

In aula Labate ripercorrerà con orgoglio la propria carriera da imprenditore, ricordando il periodo in cui la sua azienda arriverà ad avere un fatturato da sette miliardi l'anno, citando i propri fiori all'occhiello, dal Botteghelle al depuratore di Gallico. Quasi tutti appalti che Labate avrebbe ottenuto per chiamata diretta da parte dell'Amministrazione Comunale. Poi arriverà "Tangentopoli" e la musica cambierà, si passerà alle aste pubbliche, dalle quali, a suo dire, Labate uscirà sempre sconfitto.

I motivi?

Secondo l'imprenditore sarebbe esistito un cartello di ditte siciliane che si sarebbe messo d'accordo sui ribassi da presentare, in modo tale da indirizzare la vittoria del bando pubblico su questa o quell'altra ditta. Un "sistema" che, nei meccanismi, sarebbe andato avanti da anni, ancor prima del "Modello Reggio", cambiando solo i nomi degli interpreti. Labate, invece, a suo dire sarebbe stato fuori da certi giri, affermando di non aver "mai pagato mazzette" e di essere stato estromesso in quanto "personaggio scomodo".

Dopo aver tracciato un proprio profilo, Labate sarà incalzato dal pm Lombardo sulle conversazioni con Mimmo Barbieri. Conversazioni in cui si parlerà del presunto "sistema" degli appalti, che avrebbe visto il fratello del sindaco Giuseppe Scopelliti, Tino, come personaggio chiave nel giro degli appalti e nelle mazzette di denaro che, secondo i due conversanti, avrebbe intascato in determinati casi. Alle domande del pm Lombardo, però, Labate risponderà che quell'affermazione è da attribuire a Barbieri (che pronuncerà la frase), mentre lui si sarebbe limitato solo ad ascoltare. Labate, dunque, si lava le mani sulle presunte mazzette intascate da Tino Scopelliti, ma quello dei "regali" è un tema ricorrente nella deposizione dell'uomo, allorquando si farà riferimento a un "regalo" da 5mila euro che l'imprenditore Domenico Camera avrebbe fatto a tecnici comunali. Con l'attuale Governatore Scopelliti, peraltro, Labate ricorderà anche di avere un contenzioso in corso, da quando, cioè, nel corso di una conferenza stampa in cui l'ex sindaco rintuzzerà le pesanti dichiarazioni del Colonnello Valerio Giardina sull'esistenza di una lobby cittadina, Labate e Barbieri verranno definiti "due balordi". Ma non mancano le domande proprio sull'ex sindaco Scopelliti. Un personaggio politico su cui, secondo le chiacchiere intercettate di Labate e Barbieri, vi sarebbe stata la "sovrintendenza" di Nino Fiume, oggi collaboratore di giustizia, ma per anni braccio destro del boss Peppe De Stefano. Un tema su cui Labate svierà, allargando il tema del discorso: "Nei lavori del Parco Caserta io sono stato rigettato e si è visto chi ha stabilito la politica che dovesse occuparsene". I riferimenti ai De Stefano sono molteplici, anche con riferimento alla figura di Pino Scaramuzzino, il gestore del celeberrimo locale "Oasi Village". Secondo le conversazioni di Labate e Barbieri, la famiglia Scaramuzzino avrebbe acquistato l'Oasi con i soldi di Peppe De Stefano, anche se in aula Labate non ribadirà il concetto: "Ho visto Pino Scaramuzzino anche dietro la porta del sindaco" dirà Labate incalzato dalle domande del pm Lombardo.
Sulle domande specifiche, Labate spesso sposta l'attenzione su altro, ma sui discorsi "di contesto" è imbattibile. Come quando parla dei 12 miliardi di lire destinati alla manutenzione delle strade che, invece, per larga misura (8 miliardi) finiranno agli uffici tecnici, alle imprese e ai geometri. Il discorso si sposta anche su personaggi come Paolo Romeo e Giorgio De Stefano che nelle parole di Labate – secondo i giornali – avrebbero avuto un ruolo di primissimo piano nella vita politica cittadina: "Le malelingue dicevano che l'assessore ai Vigili Urbani, Amedeo Canale, era uomo di Paolo Romeo, ma io non ho mai verificato queste malelingue".

Gli avvocati non ci stanno, le affermazioni di Labate sarebbero tutte basate sul "si dice", ma la deposizione proseguirà, con i riferimenti che Labate farà circa il buon rapporto con l'ingegnere Crucitti, così come lo avrebbe avuto Barbieri. Discorso diverso, invece, per l'architetto Cammera, su cui Labate ci andrà giù pesante, sollevando dubbi anche sul concorso tramite cui il professionista sarebbe entrato al Comune.

Tante le personalità citate.

Uno spazio della deposizione è dedicato anche ai membri della famiglia Giglio, tutti parenti del giudice Enzo Giglio, condannato in primo grado a Milano per connivenza con la cosca Lampada. Labate affermerà di conoscere sia Enzo (riferendosi probabilmente al cugino omonimo del giudice, ndi), ma anche Mario, Carlo e Cesare Giglio. Tutti membri di una famiglia storica della città, che ricopriranno, negli anni, incarichi politici nella Pubblica Amministrazione. Incarichi di cui si sarebbe avvantaggiato – sempre a detta di Labate – l'imprenditore Bruno Minghetti, imparentato con i Giglio.

Prima di Labate aveva deposto l'imprenditore Giovanni Giglietta, che ha raccontato l'episodio di un danneggiamento subito a Villa San Giovanni, sfiorando la posizione dell'imputato Pasquale Bertuca. Da ultimo, invece, ha deposto l'imprenditore Emilio Frascati, coinvolto nell'estorsione per i lavori di ristrutturazione del negozio "After Fashion" di Ugo Marino: un episodio che, nell'ottica dell'accusa, sarebbe il segno dell'egemonia del clan De Stefano sulla città e la regola del "tutti devono pagare". Frascati ricorderà di aver ricevuto la visita di una persona sconosciuta, che, però, l'uomo dirotterà proprio su Ugo Marino. Per Frascati, però, le due risposte più gettonate saranno "non so" e "non ricordo".