di Claudio Cordova - "Questo non è un processo alle abitudini sessuali della vittima e parte offesa". Lo ha ripetuto più volte il pubblico ministero Francesco Ponzetta nella requisitoria – articolata nel corso di due udienze – svolta nell'ambito del procedimento "Ricatto", che vede alla sbarra il branco di Melito Porto Salvo accusato di violenza sessuale di gruppo plurima nei confronti di una ragazzina di 13 anni. Al cospetto del Tribunale presieduto da Silvia Capone, il rappresentante dell'accusa ha chiesto la condanna per tutti i giovani imputati. Nel dettaglio sono stati chiesti per Davide Schimizzi, 16 anni e sei mesi di carcere, per Giovanni Iamonte 15 anni, per Antonio Verduci 10 anni e 10 mesi, per Michele Nucera 12 anni (assoluzione per un capo di imputazione) per Daniele Benedetto 7 anni , ed infine per Lorenzo Tripodi 8 anni (assoluzione per alcuni capi di imputazione) per Pasquale Principato per 8 anni e per Domenico Mario Pitasi 3 anni e 2 mesi.
Nel corso della sua lunga requisitoria, il pm Ponzetta ha scandagliato i vari episodi contestati, ma, soprattutto, ha definito il contesto di Melito Porto Salvo. Un contesto fiaccato dall'omertà e dalla paura nei confronti della 'ndrangheta. Tra le persone coinvolte nell'inchiesta della Procura reggina c'è anche Giovanni Iamonte, figlio del boss melitese Remingo. Proprio sui rapporti torbidi tra la madre della vittima e Iamonte senior e junior, il rappresentante dell'accusa si è soffermato.
La regia del branco sarebbe stata affidata a Iamonte e a Davide Schimizzi. Entrambi infatti, non si sarebbero fatti alcuno scrupolo nell'abusare per quasi due anni di una giovane adolescente che all'epoca dei fatti aveva solo tredici anni. Schimizzi era il suo fidanzatino, o meglio la minore credeva che tra di loro potesse nascere qualcosa di bello, ma invece Schimizzi le avrebbe aperto la porta degli inferi dandola in pasto agli altri membri del branco. La giovane stava attraversando un momento molto difficile. I suoi genitori si stavano separando. Pensava di trovare in Schimizzi un punto di riferimento stabile e affettivo, ma poco dopo tempo il giovane diventerà uno dei sui presunti aguzzini che la porterà "a discendere negli inferi", così scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Proprio quella "discesa negli inferi" è stata descritta dal pmPonzetta. In aula vengono ripercorsi i vari incontri svolti nel territorio di Melito Porto Salvo e dintorni, ma anche i primi tentativi di ribellione. Il drammatico incontro tra il padre della vittima e Iamonte. Timidi tentativi, perché la denuncia ai carabinieri arriverà solo quattro mesi dopo l'acquisizione da parte della famiglia degli abusi. Prima, si cercherà di risolvere internamente la questione, anche incontrando la stessa famiglia Iamonte. Tipiche dinamiche da terra di 'ndrangheta: "Tutti si erano comportati come si dovevano comportare" dice in aula il pmPonzetta.
Poi la scelta di raccontare.
Dopo anni di vessazioni, la giovane si sfoga. Senza alcuna volontà di calunniare, sostiene il pm Ponzetta: "Sally (nome di fantasia, ndr) ci ha riferito fatti veri". Fatti tristi, espressione di un degrado morale, in cui nessuno può sentirsi senza colpe. Perché per esempio i segnali, per la famiglia, c'erano da tempo. Da tempo la giovane, seppur in maniera complessa e implicita, lanciava messaggi, elementi di disagio, richieste d'aiuto, anche attraverso atti di autolesionismo: "Disseminava tracce come Pollicino" dice in maniera efficace il pm Ponzetta. Una giovane problematica, Sally. Così come era problematico il contesto familiare in cui è cresciuta. Nel corso del dibattimento, le difese hanno insistito nel tratteggiare tali drammi familiari, nel sottolineare il modo – per certi versi deviato – in cui la giovane viveva la propria sessualità: "Ma – ribadisce il pm Ponzetta – questo non è un processo alla vittima, anche se a volte mi è sembrato di tornare indietro di alcuni decenni".
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Nel corso del lungo procedimento, rispondendo alle domande delle parti, Sally ha ripercorso le fasi – talune molto personali e dolorose – dei due anni in cui sarebbe stata stuprata dal gruppo del proprio fidanzatino dell'epoca, Davide Schimizzi, che la avrebbe poi elargita a un numero piuttosto variegato di amici. Vicende torbide, in molti casi imbarazzanti per Sally, oggi maggiorenne ma 13enne all'epoca dei fatti, che ha risposto dalle domande formulate dai giudici Adriana Trapani, Bruno Finocchiaro e Paolo Ramondino nel corso dell'incidente probatorio.
Il "ricatto" (da cui deriva il nome del procedimento) sarebbe consistito nel minacciare la giovane non solo di divulgare notizie e immagini compromettenti, ma anche di fare del male ai propri cari. Come accade al giovane Antonino Spanò, con cui – in un periodo di pausa dagli abusi – la ragazza proverà a intraprendere una relazione sentimentale. Spanò verrà pestato da alcuni membri del branco, proprio per essersi avvicinato alla ragazza: "Doveva imparare a stare al suo posto" spiega il pm Ponzetta. La presenza di Iamonte, rampollo del clan di 'ndrangheta che a Melito Porto Salvo controlla tutto, sarebbe stata da un certo momento in avanti oppressiva e ossessiva. La stessa giovane ha dichiarato di avere avuto paura del solo sguardo di Iamonte. In aula sarebbe peraltroemersa chiaramente la posizione subalterna della famiglia della vittima nei confronti del casato Iamonte. Da qui la difficoltà di sciogliere Sally dal giogo del branco.
E il messaggio lanciato è chiaro, secondo il pm Ponzetta: "Se va oltre il confine del recinto in cui sei stata messa, fai male alle persone a cui tieni". Le violenze del branco sarebbero state fisiche, ma, soprattutto, emotive. Alla giovane sarebbe stato impedito di avere una propria vita serena, oltre le mura dove si svolgevano gli abusi: "Non solo si sono appropriati e riappropriati della sua fisicità, ma le trasmettevano l'idea di sapere tutto su di lei".
Il tutto - ha sottolineato il pm Ponzetta - anche a causa di un clima di omertà generale a Melito Porto Salvo. Anche dopo l'emersione del fatto, poca sarà la solidarietà della popolazione. E il rappresentante dell'accusa ha anche sottolineato come in alcune intercettazioni si faccia riferimento alla solidarietà che il sindaco di Melito Porto Salvo, Giuseppe Meduri, avrebbe dato ad alcuni imputati.
Ora le dure richieste dell'accusa. Da adesso, il tentativo delle difese di salvare i giovani dalla condanna. Poi la sentenza, prevista a ridosso del Natale. E per Sally, il dono migliore non potrebbe essere che la fine di un incubo.