Processo "Mistero", il pentito Costa: "A Gioiosa comandavano gli Ursino"

costagiuseppe collaboratoredi Benedetta Malara - Secondo turno di deposizione per il collaboratore di giustizia Giuseppe Costa, detenuto in località protetta e condannato all'ergastolo per essere il mandante di una serie di omicidi contro la famiglia Commisso ai tempi della faida che insanguinò le strade della costa jonica reggina, alla fine degli anni '80.
Già qualche settimana fa, Costa era stato chiamato a deporre nell'ambito di un altro processo, insieme al fratello Tommaso, anch'egli detenuto, ed aveva fornito - rispondendo alle domande del procuratore generale Franco Mollace – un quadro preciso e definito di quelle che erano le consorterie mafiose dell'entroterra reggino già quarant'anni fa.

Oggi, alla sbarra, c'è Antonio Ursino, appartenente e boss dell'omonima cosca, imputato nell'ambito del processo "Mistero" insieme ad altri due soggetti, Ahmed Elbahrawy e Carlo Tramaglini – tra gli altri reati – anche per associazione a delinquere di stampo mafioso.
L'audizione di Costa è stata richiesta anche questa volta dal pg Mollace, che fa ripercorrere ancora una volta al collaboratore la storia della sua famiglia, un tempo affiliata alla cosca dei Commisso e poi – dopo l'uccisione di un altro fratello, Luciano – diventata famiglia "autonoma" apertamente in faida con la potente cosca di Siderno. Da qui inizierà una delle faide più sanguinose del territorio che finirà, a detta di Costa, con il suo arresto, avvenuto tre anni dopo.
A Siderno, dopo la scissione, da una parte i Costa costruirono la loro alleanza con i Curciarello, dall'altra i Commisso davano battaglia in accordo con i Cordì.


Ma a Gioiosa Jonica comandavano gli Ursino. "Quando viveva Vincenzo Ursino comandava lui – afferma Costa – quando è morto c'è stato Francesco Ursino e, infine, Antonio Ursino". E con gli Ursino ci sarebbero anche stati rapporti di parentela. Un fratello di Giuseppe, Pietro, "era cognato con Salvatore Ursino, aveva sposato una Lombardo, cugina con Ursino". E Antonio Ursino, a detta di Costa, sarebbe un autentico pezzo da novanta. Si parla di grandi di 'ndrangheta, e Costa afferma: "Penso che ce le ha tutte, da "picciotto" a "mamma" (minore e maggiore delle cariche, nda). Io invece ho il trequartino". Ursino, poi, avrebbe anche intrattenuto rapporti di amicizia con Antonio " 'Ntoni Gambazza" Pelle, di San Luca, e con il fratello di Giuseppe, Tommaso, e insieme alla sua famiglia sarebbe stato attivo nel traffico di droga. Costa, rispondendo ad un interrogatorio del sostituto procuratore della Dia, Antonio De Bernardo, riferirà di essere a conoscenza del fatto che Ursino non paghi le partite di droga ricevute. "Una voce che girava" dice oggi Costa all'avvocato difensore di Ursino. Come anche una voce, o poco più "perché lo sanno tutti", sarebbero le altre attività della famiglia Ursino: furti di bestiame, usura ed estorsioni ai danni dei commercianti. A nulla valgono le domande dell'avvocato difensore sulle fonti di Costa – vista la sua permanenza in carcere da oltre vent'anni –, perché "le estorsioni e l'usura sono sempre esistite".
Non sono voci, però, quelle sulla spartizione del territorio di Gioiosa: fino agli anni '70, secondo Costa, le due famiglie egemoni, Ursino e Ierinò, "erano una cosa sola. Ma dopo la morte degli anziani degli Ursino, so che Giuseppe Ierinò voleva comandare".


E anche loro, come tutta la 'ndrangheta calabrese, si erano radicati da molti anni al nord, "soprattutto a Milano, Torino, in Liguria. Ma la 'ndrangheta, ora, è un po' cambiata". E i cambiamenti, in effetti, sarebbero notevoli, anche se prevalentemente di genere "organizzativo". Costa racconta di una "Provincia", paragonata alla Cupola siciliana, che rappresenterebbe, appunto, tutte le consorterie di un determinato territorio. "Adesso se la vede il capo provincia – ha detto Costa – una 'ndrina di Roccella o Gioiosa o Locri o di un paese limitrofo deve dare voto ufficiale al capo provincia". Come appartenenti alla Provincia, Costa cita – tra gli altri – Giuseppe "U mastru" Commisso e Antonio Ursino. E proprio la presenza di Commisso all'interno della "nuova" struttura avrebbe impedito ai Costa di avvicinarsi, a causa della faida. "Non mi fidavo – ha detto Costa – perché quando eravamo in guerra i Commisso sono andati in tutti i locali della Calabria, iniziando da Gioia Tauro e da Rosarno, a dire che eravamo in guerra".


Tra gli amici dei Costa, anche la famiglia Aquino, stretta tramite Nicola Scali, cognato degli Ursino, per averne sposato una sorella. E tramite Scali, Costa avrebbe conosciuto anche la famiglia Ursino. Vincenzo Ursino, in particolare – secondo quanto raccontato da Costa – sarebbe stato presente all'affiliazione di Giuseppe Costa, avvenuta quando la sua famiglia era ancora con i Commisso.
Ancora, Costa menziona la famiglia Panajia, identificandola come appartenente agli Ursino, poiché uno di loro, Cosimo Salvatore, sarebbe stato genero di Totò Ursino. Anche Marcello Zavaglia, Luigi Ursino – fratello di Francesco e presunto detentore del ruolo di "santa", deceduto nel 2007 – sarebbero affiliati della cosca, insieme a Carmelo Bruzzese. Tutte affiliazioni e appartenenze che Costa dichiara di aver saputo già dagli anni '80, quando era latitante, e che poi gli sono state confermate da altri affiliati una vola arrestato. Sì, perché in carcere, quando due 'ndranghetisti si incontrano è consuetudine discutere di affari, alleanze e nuove affiliazioni. E così Costa, a metà degli anni '90, sarebbe stato informato dell'andamento della mafia locale dal boss Pelle, che egli stesso definisce il "capo crimine" dell'epoca. Saranno Pelle e Giuseppe Ierinò – a detta di Costa – il filo del telegrafo che gli permetterà di tenersi al corrente di ciò che succede fuori.