Peppe Pelle “Gambazza”, il boss di San Luca dai rapporti altolocati, snidato in un remoto casolare di Condofuri

arrestolatitantePelle060418confdi Mario Meliadò - Appena esce dalla Questura di Reggio Calabria, con l'ovvia attenzione da parte degli agenti della Polizia che lo accompagnano e che ne tutelano la totale sicurezza, la prima cosa che ti viene in mente è che Peppe Pelle, "Gambazza", ormai da anni il boss della potente 'ndrina di San Luca dopo aver afferrato il testimone dal padre Antonio, defunto 9 anni fa, non sembra proprio come te lo ricordavi. Ma sì, la vecchia foto diffusa ai tempi dell'operazione "Reale 3" e dell'autentica processione di politici e politicanti (...non è la stessa cosa...) che si recarono, nel tempo, direttamente a casa sua a Bovalino per chiedergli un sostanzioso appoggio elettorale.
No: volto scavato, folta barba incolta, aspetto emaciato, i suoi 57 anni oggi se li porta davvero maluccio, Pelle, evidentemente malato da oltre un biennio trascorso "alla macchia". E quando si gira verso il cronista ha quasi lo sguardo spento, l'ormai ex "primula rossa" della 'ndrangheta sanluchese, cognato dell'anziano boss di Platì Francesco Barbaro 'u castanu per averne sposato la figlia Marianna.

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Ex ricercato, sì, da un grappolo di ore. Perché nella notte è scattato il blitz («Nome? ...A quest'operazione non abbiamo dato un nome specifico, vista la caratura del latitante che abbiamo arrestato, il tredicesimo in questi ultimi tempi, non ce n'era davvero bisogno», avrebbe poi chiosato il capo della Squadra mobile Francesco Rattà) che, dopo due anni d'appostamenti e pedinamenti continui, durante i quali peraltro il mammasantissima s'è spostato spesso dal suo "covo" nel Basso Jonio reggino, e dopo due ore di percorso accidentato compiuto in molti tratti a fari abbassati o del tutto spenti dai fuoristrada, ha portato 50 agenti dell'unità distaccata di Siderno della Squadra mobile di Reggio Calabria e dello Sco (il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato) praticamente davanti all'uscio di quella, tra le due-tre case rurali abitate da pastori in contrada Pistaria di Condofuri, l'inaccessibile landa di vallata dell'Amendolea dove si rifugiava, assolutamente ben protetto. Al punto che, oggi, con lui è stato arrestato il pastore (con piccoli precedenti penali) Mario Romeo per favoreggiamento personale, e la posizione di altre persone che si trovavano insieme al superboss al momento dell'arresto è al vaglio degli investigatori. Al punto che, spiega ai giornalisti il questore Raffaele Grassi in conferenza stampa, «avremmo potuto dare il via all'operazione già due giorni fa, ma non l'abbiamo fatto perché ci siamo resi conto in tempo della presenza di diverse "sentinelle" nei dintorni».

Ma stavolta è andata molto diversamente: il dispositivo investigativo della Mobile studiato anche nelle scuole per la formazione delle forze dell'ordine non ha davvero lasciato scampo a Pelle, l'azione è stata coordinata alla perfezione dal procuratore distrettuale reggente Gaetano Paci, dall'aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pm della Dda reggina Francesco Tedesco. Avviato nottetempo, dopo tornati e sterrati aspromontani davvero terribili ha portato le jeep della Polizia a raggiungere il luogo dell'irruzione senza farsi notare, malgrado la zona del tutto isolata, alle primissime ore del mattino.
Il capobastone sanluchese era sveglio da poco, il blitz è stato fulmineo: «Ogni passo falso avrebbe potuto mandare in fumo due anni d'indagini», ha riassunto strepitosamente il vicecapo della Mobile Fabio Amore l'azione dei suoi uomini, tra agenti dell'unità distaccata della Mobile di stanza a Siderno e prima Sezione Catturandi. Nel giro di pochi secondi tutti i presenti erano immobilizzati, compreso Peppe Pelle, boss che non aveva armi con sé e s'è immediatamente arreso agli agenti, senza opporre resistenza di sorta. Va anche detto che gli altri presenti avevano delle armi, ma nelle loro abitazioni; armi risultate legalmente acquistate e detenute.

«È un'ulteriore bella giornata, nel corso di questa che per noi è una vera Guerra di Liberazione di alcuni territori dalla presenza oppressiva della criminalità organizzata. Siamo davanti a un'ulteriore riaffermazione della legalità e della presenza dello Stato», osserva Grassi. E Paci: «Senza utilizzare un'enfasi che pure sarebbe giustificata visto lo spessore criminale del latitante che abbiamo assicurato alla Giustizia, basterà citare le fredde parole con cui la Corte di Cassazione ha evidenziato che Giuseppe Pelle era parte integrante del "vertice decisionale e strategico della 'ndrangheta unitaria", non di una sua porzione su scala strettamente locale».

A dispetto delle sue apparenti condizioni complessive («Appare provato, ma non malato» ci ha tenuto a specificare il procuratore), in realtà Pelle rispetto a molti altri ricercati ha trascorso una latitanza "dorata": niente buche anguste scavate nel terreno o bunker improbabili ricavati in asfittici angoli di una stanzetta a casa di qualche favoreggiatore, ma 3-4 stanze molto funzionali, «se non fossimo intervenuti noi, il latitante sarebbe potuto rimanere lì anche dieci anni», mette in rilievo Amore. Anche se, chiosa lo stesso questore di Reggio Calabria, «possiamo dire tranquillamente che in questi due anni Pelle non è stato sempre lì».
Per snidare il ricercato, sono state necessarie «importanti risorse umane e tecnologiche – è stato uno dei passaggi più rilevanti del capo della Mobile Francesco Rattà, nel parlare coi cronisti –, 24 mesi durante i quali il nostro personale non ha potuto godere appieno del meritato riposo e, spesso, s'è ritrovato costretto anche a interrompere il tempo destinato a essere trascorso con i familiari. Un lavoro durissimo che però ha prodotto un blitz curato nei minimi dettagli». Un intervento la cui parte "militare", in realtà, è stata solo l' "ultimo miglio" ma che ha necessitato d'enorme attenzione sotto il profilo dell'alta investigazione, del meticoloso tracciamento di ogni piccolo spostamento della "primula rossa" di San Luca, della scrupolosa ricostruzione del suo perimetro relazionale.

Come esposto dal procuratore Paci – oltre a Grassi, Rattà e Amore, insieme a lui in conferenza stampa anche il responsabile del Nucleo centrale dello Sco Marco Garofalo –, Pelle dovrà adesso scontare 2 anni, 5 mesi e 20 giorni di pena residua per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ma su di lui pende comunque anche il mandato di cattura collegato all'operazione "Mandamento jonico" per tentata estorsione e illecita concorrenza con violenza e minaccia aggravate dal metodo mafioso: in pratica, Pelle e il suo clan avrebbero condizionato e tentato d'accaparrarsi sistematicamente tutti gli appalti pubblici a Siderno, Palizzi, Condofuri, Careri e altri centri della fascia orientale del Reggino. Il processo seguirà. «E questi sono i tipici reati-spia di chi sul territorio ha una presenza molto importante e vuole condizionarne l'economia. E Pelle aveva capacità operative e relazionali molto significative, visto il ruolo di molti suoi interlocutori in questa città, in Calabria e nell'àmbito del Paese», evidenzia il procuratore.

Già.
Ma stiamo pur sempre parlando di quel super-'ndranghetista che tantissimi politici (anche non "di rango") veneravano e tenevano in gran conto, al quale si rivolgevano in grande numero nel tentativo d'instaurare un efficiente voto di scambio, di strappare illecitamente un folto grappolo di suffragi in più (...spesso, finendo per esserne persino gabbati).
Avrà continuato, "Peppe Gambazza", a coltivare i suoi rapporti , da quel 12 aprile 2016 in cui sfuggì all'ordine di carcerazione della Procura generale presso la Corte d'appello di Reggio Calabria rendendosi irreperibile? Pastori, favoreggiatori e "sentinelle" a parte, sarà riuscito qualcuno a raggiungerlo e a parlarci, in quell'angolo di Condofuri? E lui chi ha sentito, chi ha visto in un biennio da latitante comunque caratterizzato da una «grande mobilità» e da parecchi spostamenti? «Questi sono aspetti specificamente oggetto di riscontri investigativi, non possiamo dire niente al riguardo», il procuratore Paci chiude l'argomento.
Per ora.