Omicidio Pelaia, assolti in Appello i cugini Giacobbe: in abbreviato erano stati condannati all'ergastolo

giacobbe alessandrodi Angela Panzera - Assolti dalla Corte d'Assise d'Appello Placido e Alessandro Giacobbe. I due erano accusati di aver ucciso Arcangelo Pelaia. I due cugini, difesi dai legali Guido Contestabile, Domenico Putrino e Domenico Infantino, erano stati condannati in abbreviato dal gup di Palmi, Giulio De Gregorio all'ergastolo all'esito del processo svoltosi con il rito abbreviato. La Corte, presieduta dal giudice Bruno Muscolo, li ha assolti "per non aver commesso il fatto".

Nei loro confronti il pg Domenico Galletta aveva invece chiesto, durante la propria requisitoria, la conferma della sentenza emessa in primo grado. Pelaia, secondo la ricostruzione effettuata dai Carabinieri, era stato raggiunto da 9 colpi d'arma da fuoco mentre era a bordo della sua autovettura; l'auto degli assassini avrebbe speronato l'utilitaria della vittima sparando in corsa. Per l'accusa il movente del delitto era la vendetta compiuta dalla famiglia Giacobbe, in risposta al duplice omicidio, commesso nel 2005, ai danni di Saverio e Leonardo Giacobbe.

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Il giorno dell'uccisione, tra l'altro non fu scelto in maniera casuale: l'ottavo anniversario dall'uccisione dei cugini Giacobbe e nel giorno di San Pietro, onomastico del padre di uno dei due cugini uccisi. In primo grado invece all'esito dell'altro processo svoltosi con il rito ordinario, la Corte d'Assise di Palmi ha condannato all'ergastolo Giovanni Polimeni, il presunto killer, e Marcello Giacobbe. Ventiduenni anni di reclusione invece, sono stati inflitti a Biagio Giacobbe.«Non corrono dubbi che l'omicidio di Arcangelo Pelaia corrisponda alla vendetta perpetrata a distanza di ben 8 anni, del duplice omicidio di Leonardo e Saverio Giacobbe il 1 luglio del 2005», così scriveva la Corte in sentenza. Per i giudici di primo grado, che sposarono l'impianto accusatorio sostenuto dal pm Enzo Bucarelli, ad architettare in ogni minimo dettaglio l'assassinio Pelaia sono stati i Giacobbe. Nelle indagini dei Carabinieri decine e decine furono intercettazioni telefoniche e ambientali, ma anche tantissimi i fotogrammi in cui gli imputati sono stati visti non solo effettuare i sopralluoghi per compiere l'agguato, ma anche nei pressi della piazza del Comune dove Pelaia morirà sotto una pioggia di proiettili che lo colpiranno al volto, al torace e alle braccia. Un delitto che doveva essere compiuto davanti a tutti: Pelaia doveva essere visto morire dal paese intero. Sulla posizione di Marcello Giacobbe i giudici in sentenza lo hanno scritto a chiare lettere: «non è casuale che l'omicidio sia stato "differito" al 2013: il 22 marzo del 2013 veniva rimesso in libertà Giacobbe Placido classe 67, fratello di Saverio, uno degli uccisi da Giuseppe Pelaia (fratello della vittima ndr) che all'epoca del delitto era detenuto in esecuzione della pena comminatagli per l'omicidio di Marcello Delfino. "Jerry" aveva coltivato per tutti gli anni della sua carcerazione, e sin dal momento in cui il fratello e il cugino erano stati uccisi, il disegno della vendetta, tanto è ero che era viva nella sua mente la memoria del fratello, al punto da aver affisso nell'ingresso della sua nuova abitazione la sua gigantografia e da ver salvato sullo screensaver del suo smartphone, appena comprato all'uscita dalla prigione, il volto del fratello. Ma Giacobbe Placido classe '67, non faceva neanche mistero del suo disegno omicidiario: lo aveva esternato sin dai tempi della sua detenzione, comunicandolo a codetenuti, i quali allora volta lo avevano fatto sapere al fratello della vittima designata. Da qui l'angoscia di Giuseppe Pelaia ed i ripetuti, ma vani avvertimenti al fratello, sia a voce sua per lettera, affinché andasse via da Gioia Tauro ora che la sua vita era minacciata dalla rimessione in libertà di Jerry». Adesso quindi cambia decisamente lo scenario processuale: i due cugini Giacobbe sono stati assolti dalla gravissima accusa di aver ordinato il delitto di Arcangelo Pelaia e questa decisione sicuramente influirà nel processo che vede alla sbarra gli altri membri della famiglia di Gioia Tauro.