di Claudio Cordova - Avevano deciso dove sarebbe sorto il termovalorizzatore, avevano deciso chi e come doveva lavorare nelle aziende impegnate nel ciclo dei rifiuti, avevano deciso il prezzo delle mazzette da pagare, erano parte del sistema che potrebbe aver contribuito ad avvelenare il territorio e i cittadini. Avevano deciso tutto. I Piromalli, potentissimo casato di 'ndrangheta di Gioia Tauro pienamente inseriti nel settore dello smaltimento dei rifiuti, in una regione, la Calabria, in eterna emergenza. Con la regia dell'avvocato Gioacchino Piromalli, uomo forte del clan, già condannato nel procedimento "Porto", ma anche con la connivenza di imprenditori come i fratelli Giuseppe, Domenico e Paolo Pisano, ma anche di uomini per anni all'interno delle istituzioni, come l'ex sindaco di Villa San Giovanni, Rocco Lavalle, e [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO], già Presidente del Consiglio d'Amministrazione di "Piana Ambiente S.p.A." nonché consulente esterno dell'ufficio legale del Commissario Straordinario per l'emergenza rifiuti in Calabria, uomo politico di riferimento del sodalizio mafioso dei Piromalli nell'opera di instradamento verso il termovalorizzatore di Gioia Tauro, attraverso l'impresa dei fratelli Giuseppe, Domenico e Paolo Pisano di Gioia Tauro. Tutti fermati al pari di Francesco Barreca.
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LE MANI SUL TERMOVALORIZZATORE E SULLA I.A.M.
L'operazione "Metauros", coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ed eseguita da Polizia e Carabinieri, porta al fermo di sette persone, accusate di appartenenza o vicinanza proprio alla cosca Piromalli: associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni i reati contestati dal procuratore Federico Cafiero De Raho, dall'aggiunto Gaetano Paci e dai sostituti Antonio De Bernardo e Giulia Pantano.
L'inchiesta "Metauros" svela l'interesse della famiglia Piromalli nel business dei rifiuti, accertando come la costruzione e la gestione dell'unico termovalorizzatore presente in Calabria, quello di Gioia Tauro, appunto, fosse nelle mani della 'ndrangheta: un controllo strategico, dunque, dato che l'impianto arriverebbe alla combustione di 40mila tonnellate di rifiuti solidi urbani in un anno: "La 'ndrangheta controlla qualunque settore" afferma il procuratore Cafiero De Raho.
La famiglia Piromalli avrebbe inoltre condizionato l'attività e la gestione del depuratore di Contrada Lamia, gestito dalla I.A.M. (Iniziative Ambientali Meridionali Spa), società che, secondo quanto emerso, sarebbe stata sottoposta al pagamento della "tassa ambientale" da parte della cosca, correlata al servizio dei trasporti dei rifiuti, detratta dai calcoli delle fatture. Un'indagine che parte da lontano: dall'intercettazione di metà 2009, in cui il boss Carmelo Bellocco, in Emilia Romagna, mette in correlazione Gioacchino Piromalli con l'inceneritore di Gioia Tauro e uno dei Pisano. Ma gli accertamenti si nutrono del contributo dei collaboratori di giustizia Salvatore Aiello, Antonio Russo, Pietro Mesiani Mazzacuva, Marcello Fondacaro, Arcangelo Furfaro, nonché delle dichiarazioni di due testimoni, Romolo Orlandini (ex funzionario di Termomeccanica) e di Claudio Candeloro Ficara, fratello del boss Giovanni Ficara e titolare di un impresa operante nel settore del trasporto dagli stabilimenti calabresi al termovalorizzatore. Tali dichiarazioni apriranno squarci di luce sull'appalto pubblico di costruzione e gestione dell'impianto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Contrada Cicerna a Gioia Tauro, attraverso la creazione di ditte ad hoc, intestate a soggetti di fiducia, come i fratelli Pisano: "Ciò che colpisce – afferma il procuratore aggiunto Gaetano Paci – è che la 'ndrangheta si muova, ancora una volta, in maniera unitaria". Rocco La Valle, Gioacchino Piromalli, [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO] e due dei fratelli Pisano rispondono anche di estorsione nei confronti di Termomeccanica e Veolia, in concorso con Giuseppe Commisso, "il mastro", uomo forte dello storico casato di Siderno.
I lavori del termovalorizzatore, iniziati nel luglio 2002, sono stati conclusi nel settembre 2004: sfruttando così l'eterna emergenza rifiuti del territorio calabrese, la 'ndrangheta mette le mani anche su questo tipo di affari. E così viene individuata l'operatività dei fratelli Pisano, che, con il loro progetto imprenditoriale ponderato dalle cosche locali, partecipano già ai lavori di edilizia nella fase di costruzione dell'impianto, svolgendo l'originaria attività di carpenteria e successivamente entrando nel ciclo dei rifiuti. Imprenditori di riferimento della famiglia Piromalli: la ditta DGP (acronimo che indica i nomi dei tre fratelli Pisano) iniziò un rapporto di collaborazione con la I.A.M., per acquisire commesse nel porto di Gioia Tauro, intrattenendo relazioni con la MCT. Un'infiltrazione operata anche tramite il metodo "tradizionale", quello delle tangenti: in questo caso emerge il ruolo dell'ex sindaco di Villa San Giovanni, Rocco La Valle, che sarebbe stato il collettore delle "mazzette", girate dalle aziende alla 'ndrangheta. A essere vessata anche la I.A.M.: la tangente veniva consegnata dall'amministratore delegato dell'azienda ai Piromalli, con il sistema dei "fondi neri", creati dalle imprese di trasporto. Le indagini, infatti, avrebbero documentato il passaggio di denaro dall'impresa di trasporto B.M. Service S.r.l. alla committente e il successivo passaggio dalla società gestore del depuratore ai referenti mafiosi del territorio, secondo il consueto meccanismo collaudato con l'estorsione ai danni di Termomeccanica e Veolia, che hanno gestito in fasi alterne il termovalorizzatore.
IL RISCHIO INQUINAMENTO
Ma tra gli aspetti più inquietanti, vi è la possibilità che il territorio sia stato gravemente inquinato dagli affari gestiti dalla 'ndrangheta, soprattutto con riferimento alla I.A.M., nel cui impianto di depurazione confluiscono, ogni giorno, i reflui fognari dei comuni di Anoia, Cinquefrondi, Cittanova, Feroleto della Chiesa, Melicucco, Polistena, San Giorgio Morgeto, Taurianova, Laureana di Borrello, Galatro, Gioia Tauro, Rosarno, Palmi, San Ferdinando e Rizziconi, per un indotto pari a circa 150mila abitanti. Gli amministratori e i gestori della I.A.M., al fine di risparmiare sui costi di smaltimento e di rientrare dal pagamento della tangente, si sarebbero disfatti di ingenti quantitativi di rifiuti in maniera illecita, attraverso il conferimento di fanghi di depurazione, provenienti da impianti di tipo biologico e industriale, per la produzione di compost per usi agronomici. Con il coinvolgimento degli impianti di compostaggio siciliani e delle ditte di trasporto reggine sarebbe stata così elusa la normativa in materia di fertilizzanti. Una deviazione del sistema di depurazione in cui sarebbero stati trasformati in fertilizzanti anche rifiuti industriali. Il timore è forte, sebbene gli inquirenti cerchino di non creare allarmismo: "Allo stato attuale – spiega il procuratore aggiunto Paci – crediamo di aver dimostrato un rapporto di causa-effetto tra estorsioni e l'occultamento dei rifiuti, non sull'incidenza patologica. Abbiamo comunque nominato un team di esperti, esterni alla regione, per investigare sulla natura e sulla qualità dei rifiuti".
Contestualmente, la Dda ha disposto il sequestro nei confronti di 19 società operanti nel settore dello smaltimento dei rifiuti, non solo in provincia di Reggio Calabria, ma anche a Catania, Siracusa e Trapani.