Fermi a Sant'Ilario dello Ionio (RC): la sofferta decisione dell'imprenditore taglieggiato

polizia autodi Claudio Cordova - All'inizio non avrebbe denunciato per paura di ritorsioni, ma si sarebbe limitato solo a piccoli o grandi riferimenti al taglieggiamento cui Giuseppe Belcastro e i suoi lo stavano sottoponendo. L'imprenditore di Sant'Ilario dello Ionio (che lasceremo anonimo per ovvi motivi) si deciderà poi a raccontare tutto alla Polizia, dopo gli accertamenti che Squadra Mobile e i Commissariati di Siderno e Bovalino, che, però, avevano già posto in essere tutte le attività investigative per incastrare Belcastro e gli altri presunti affiliati che avrebbero imposto all'imprenditore assunzioni fittizie, ma anche l'elargizione di somme di denaro:  "In tutte le occasioni, dai Carabinieri e dalla Polizia, non ho denunciato per paura di ritorsioni, per timore di offese alla mia incolumità e per quella dei miei familiari. Anche quando non ho voluto sottoscrivere il verbale nella prima occasione in cui sono stato al Commissariato di Bovalino ho scelto così perché ancora condizionato da questa paura; è stato soltanto a seguito delle recenti "imbasciate" portatemi da Musolino Domenico – a dire del quale Belcastro Giuseppe aveva intenzione di uccidermi – che mi sono deciso ad uscire da questa situazione sporgendo una formale denuncia".
Inizialmente, dunque, più che di denunce, si tratta di confidenze. Ma il percorso di maturazione dell'uomo è innescato anche dalle difficili, impossibili, condizioni economiche in cui sarebbe stato ridotto dalle continue richieste di Belcastro & Co: "Non ho avuto il coraggio di raccontare tutta la verità o di sottoscrivere verbali proprio perché non avevo ancora maturato dentro di me questa decisione; quindi, il motivo di questi racconti, era legato alla mia esigenza di cercare sfogo e conquistare il coraggio necessario a denunciare i fatti, cosa che è avvenuta soltanto il 27 dicembre u.s., quando, sentito in questo Commissariato, mi sono sentito pronto finalmente a denunciare, anche per la fiducia trasmessami dai poliziotti".
A fine dicembre, dunque, l'imprenditore fa il grande passo: "Subisco l'estorsione ad opera di Belcastro Giuseppe, detto Pepè, di Sant'Ilario, quello che è ritenuto il capo della 'ndrangheta locale; quello che materialmente riscuote i soldi è Musolino Domenico, detto Mimmo, il carrozziere di Sant'Ilario dello Ionio, padre di Rocco e di Leonardo. Tutto è cominciato poco dopo la scarcerazione di Belcastro, quando questi si presentò [...] insieme al Musolino dicendo di avere dei problemi economici e che aveva bisogno di aiuto, in pratica mi chiese dei soldi; io acconsentii ed il giorno seguente gli consegnai due assegni da 2500,00 euro cadauno senza l'indicazione del beneficiario; loro li presero ma il giorno dopo li riportarono a me chiedendomi di sostituirli con sei assegni da 900,00 euro cadauno, poiché sarebbe stato più facile riscuoterli".

Personaggio chiave sarebbe stato anche Domenico Musolino che, a detta dell'imprenditore, sarebbe stato colui il quale avrebbe raccolto le somme estorte da Belcastro: "I soldi, tutt'ora, li consegno quasi sempre in contanti a Mimmo Musolino, solitamente vado alla carrozzeria il giorno venti di ogni mese; quando non riesco a pagare e ritardo la consegna, Musolino mi minaccia dicendo che Belcastro  mi spara".

Ai poliziotti, l'imprenditore racconterà per filo e per segno dei periodi in cui avrebbe elargito somme ai parenti dei fermati, per lavori mai eseguiti. Tra questi anche Antonio Galizia, figlio di Belcastro. La goccia che fa traboccare il vaso è la richiesta di 60mila euro che Belcastro farà all'imprenditore, minacciandolo altrimenti di pesanti ritorsioni: "Ovviamente non potevo dire di no visto che Belcastro ribadiva di essere un uomo pericoloso, che fa quello che dice", che mi avrebbe sparato e cose del genere".

Poi la decisione di dire "no" e di affidarsi allo Stato.