Reggio, processo "Epilogo": avvocato chiede in aula scarcerazione per Maurizio Cortese

cortesemauriziodi Claudio Cordova - Una richiesta più che insolita quella avanzata dall'avvocato Luca Cianferoni che, in aula, nel corso del processo "Epilogo", ha chiesto la scarcerazione di uno degli imputati principali, quel Maurizio Cortese che avrebbe avuto il compito di "coordinare" le nuove leve della cosca Serraino, operante nei territori di San Sperato e Cardeto. Una richiesta, quella del legale, che si innesta al termine dell'esame del collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, sentito soprattutto per riscontrare le affermazioni di un altro pentito, Consolato Villani, che aveva pesantemente accusato Cortese: "Conosco Maurizio Cortese – ha detto Nino Lo Giudice – l'ho visto solo una volta, è stato detenuto insieme a mio fratello Luciano, che lo mandò a riscuotere dei soldi che aveva prestato a un fornaio di San Sperato". Di Maurizio Cortese, in realtà, Nino Lo Giudice avrebbe sentito parlare soprattutto da Consolato Villani: "Entrambi erano nel carcere minorile di Catanzaro – dice il "Nano" – so che Cortese aveva picchiato Villani, che molti anni dopo mi aveva chiesto di uccidere la sorella di Cortese, che mi sembra si chiami Roberta".

Un racconto che lascia perplessi un po' tutti, dagli avvocati di Cortese, Iaria e Cianferoni, al pubblico ministero Giuseppe Lombardo: l'alterco tra Cortese e Villani sarebbe avvenuto nei primi anni '90, mentre Villani avrebbe chiesto vendetta a Lo Giudice solo pochi anni fa. "Io non ho acconsentito alla richiesta di Villani – dice sicuro Lo Giudice – che c'entrano le mamme e le sorelle?". La contraddizione su cui muovono maggiormente le difese, però, è l'individuazione, da parte di Lo Giudice, di Cortese come elemento organico alla cosca Libri. Un'affermazione che il "Nano" ripropone in aula, prima con qualche specificazione ("Villani mi aveva detto che aveva un ruolo di vertice a San Sperato (zona di competenza dei Serraino) poi integrando definitivamente, riportando le parole di un affiliato ai Lo Giudice, quell'Antonio Cortese che avrebbe piazzato la bomba alla Procura Generale il 3 gennaio 2010: "Mi disse che Maurizio era affiliato ai Serraino" afferma Lo Giudice.

La figura di Antonio Cortese introduce l'argomento più spinoso, quello, appunto, dell'attentato alla Procura Generale, di cui saranno incolpati i Serraino, prima che Nino Lo Giudice si autoaccusi degli attentati, fatti per sollecitare i soggetti istituzionali vicini al fratello Luciano, arrestato sul finire del 2009: "Mi dispiaceva che erano finiti nelle indagini persone che non c'entravano nulla – dice il "Nano" – io mi sono accusato della bomba fin da subito". Un modo per dire "più di questo che avrei potuto fare?". Il racconto di Lo Giudice non sempre convince, ma l'ex boss insiste: "Antonio Cortese voleva mettere bombe nel nord Italia, per confondere le cose, ma io l'ho bloccato" rivela.

Da un Cortese all'altro. Al termine dell'udienza, il giovane ha chiesto la parola per delle dichiarazioni spontanee: "Avete potuto stabilire che le cose che ho detto io sono la verità, richiedo ancora il confronto con Consolato Villani, è evidentissimo che io non debba restare in custodia cautelare, ma affrontare il processo a piede libero". In mezzo, invece, la singolare richiesta dell'avvocato Cianferoni, secondo cui la deposizione di Nino Lo Giudice ha smentito, in toto, le affermazioni di Villani. Cianferoni ha invocato la libertà per il proprio assistito e chiesto alcune nuove deposizioni (quelle di Antonio Cortese e di Luciano Lo Giudice): "Conosco da anni Cortese e mi onoro di difenderlo".

Su tutte le richieste di Cianferoni, il Collegio presieduto da Silvana Grasso si è riservato.