di Angela Panzera - “Il Collegio rileva che la Prefettura ha fatto buon uso del potere intestato e ha condotto una valutazione apparentemente immune da vizi logici e-o da travisamenti di fatto”. È con queste parole che la sezione staccata di Reggio Calabria del Tar ha rigettato il ricorso avanzato dalla società “Aldebaran”, proprietaria dell’Oasi club, nota struttura balneare e ricettiva che nei mesi scorsi si era vista revocare tutte le autorizzazioni necessarie da parte del Comune reggino il quale era intervenuto dopo che la Prefettura aveva emesso un'informazione antimafia interdittiva, in considerazione della sussistenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazioni mafiose.
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Frustrate le speranze della famiglia Scaramuzzino, che aveva presentato il ricorso.
“Il ragionamento fatto proprio dalla Prefettura- è scritto nella sentenza emessa dal presieduto da Roberto Politi, con a latere Angela Fontana (estensore) e Filippo Maria Tropiano (referendario)- appare congruo e plausibile, avendo essa globalmente considerato tutti i predetti elementi, i quali valutati nel loro insieme lasciano prefigurare il pericolo di infiltrazione come paventato nel giudizio finale reso dall’Autorità. Va infatti ribadito- chiosa il Collegio- che ciò che rileva non è la prova sicura dell’avvenuto condizionamento, né la volontarietà dei contatti “sconvenienti” da parte dei titolari delle imprese ovvero l’imprescindibile presenza di condanne per “reati-spia”, bensì la probabilità che il condizionamento tenga luogo. Ora, il quadro complessivo come emergente dalla visione sinottica e contestuale di tutti i suddetti elementi, non può che portare alla prognosi negativa ritenuta dall’Autorità(…)Ed invero il Prefetto ha evidentemente valorizzato tutte le circostanze più sopra trascritte, le quali sostanziano un rilevante quadro indiziario che conduce agevolmente verso quel giudizio probabilistico, rispetto alla possibilità di condizionamento, che la giurisprudenza recente ha elevato a criterio – guida onde inferire il pericolo di insinuazione criminale.
Deve infatti essere ribadito che il giudizio negativo di pericolosità si è evidentemente incentrato non già su fatti atomisticamente intesi, bensì su di una visione “sinottica” e “di insieme” che vede i titolari della società ricorrente vicini ad un contesto socio-familiare ed inseriti in un humus socio-culturale assolutamente caratterizzato, tale da condurre a quel giudizio di pericolosità circa il probabile “contagio” che la Prefettura ha ragionevolmente fatto proprio”. Al momento quindi l’Oasi rimane chiusa ma con ogni probabilità la società ricorrerà al Consiglio di Stato. La Prefettura, nel proprio provvedimento, aveva infatti scritto a chiare lettere come “circostanze ed evidenze investigative delineano un quadro complessivo di elementi tali da far ritenere attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata nei confronti della società in argomento, in quanto i rapporti pregressi e attuali dello -omissis- con elementi riconducibili alla criminalità organizzata conferiscono elementi di riscontro del collegamento dell’imprenditore con ambienti e personaggi di provata connotazione mafiosa, verso i quali egli mostra dimestichezza e familiarità”. Un assunto sposato ieri in pieno dai giudici amministrativi i quali hanno scritto in sentenza che “il giudizio di pericolosità assunto dalla Prefettura è supportato da motivazione congrua e plausibile, non ravvisandosi nessuno dei vizi di legittimità denunciati in ricorso”. Stessa cosa vale infine, per l’operato del Comune reggino il quale, proprio a seguito della decisione assunta dal Palazzo del Governo aveva provveduto, come la legge prevede e impone, le relativi autorizzazioni.
“Quanto agli atti comunali,- scrive il Tar- con i quali sono state revocate le autorizzazioni illo tempore rilasciate in favore della deducente società, è solo sufficiente illuminarne la doverosità e consequenzialità rispetto all’interdittiva antimafia, tal che nessuna illegittimità derivata appare rilevabile.
Peraltro, come dedotto dalla difesa comunale, sul Comune di Reggio Calabria incombe pure l’obbligo di acquisizione della documentazione antimafia previsto dalla normativa di riferimento per i Comuni che nel quinquennio precedente abbiano subito lo scioglimento coatto per infiltrazione criminale”. Niente da fare. Al momento la movida reggina non usufruirà dell’Oasi di Pentimele.