Le parole di due pentiti inchiodano Rocco Trimboli

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 - di Alessia Candito - Rocco Marando, uno dei collaboratori di giustizia che ha messo gli inquirenti sulle tracce delle antenne piemontesi della ndrangheta, l'aveva detto già nei primi mesi del 2009. "Rocco Trimboli lo dovete cercare in Calabria". Una conferma per magistrati ed investigatori che sanno perfettamente che un boss di ndrangheta non si nasconde lontano dal suo territorio di appartenenza. Mai. Quando nel giugno scorso l'operazione Minotauro è scattata per ordine del Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, nella lista delle persone da fermare in Calabria c'era anche lui, ma insieme ai suoi fratelli Saverio e Natale, aveva già fatto perdere le proprie tracce. Tra le 151 persone arrestate fra Calabria, Piemonte, Lombardia, Emilia e Liguria, i Trimboli non c'erano. Da allora gli inquirenti non hanno smesso di cercarli, forti anche delle rivelazioni di Marando che con le sue dichiarazioni non solo ha messo gli investigatori sulle loro tracce, ma ha anche fornito ai magistrati elementi concreti sull'attività e il ruolo che i tre ricoprono fra la Calabria e il Piemonte. E la sua è una testimonianza che i pm tengono in considerazione anche in ragione dei retroscena delle storie di sangue che Rocco Marando è stato in grado di rivelaresvelato e della famiglia che ha alle spalle. "Marando - scrivono i magistrati torinesi nell'occ -appartiene ad un "locale" di 'ndrangheta e a una famiglia i cui membri, nell'ambito di faide interne, hanno commesso efferati delitti. Si pensi, a tal proposito – si legge nell'ordinanza –, alla faida che vide coinvolti la cosca Marando e gli esponenti della famiglia Stefanelli-Mancuso, all'omicidio dello stesso Pasquale Marando avvenuto per mano anche dei suoi cognati, i fratelli Trimboli, nonché ai propositi omicidiari espressi da Domenico Marando nella conversazione ambientale registrata l'8 novembre 2007 nella casa di reclusione di Roma Rebibbia. Le dichiarazioni del collaborante rilevano non solo in relazione al suo "locale" di riferimento, Volpiano, ma anche per comprendere le dinamiche che regolano la gestione delle armi in seno alla consorteria mafiosa considerata nel suo complesso". Marando dunque conosceva bene Rocco Trimboli e i suoi fratelli. Erano tutti e tre presenti il giorno in cui il giovane Marando, venne battezzato e formalmente affiliato al locale di Volpiano, in provincia di Torino che i Trimboli consideravano quasi una propria emanazione diretta. Dunque nulla di stano che quel giorno del lontano '89 ci fossero anche loro al "taglio della coda" - racconta Marando - di uno di quelli che i tre fratelli Trimboli, consideravano già "di famiglia". Rocco Trimboli per anni è stato il primo e più fidato luogotenente di Pasquale Marando, per anni insieme a lui ha tessuto le rotte del traffico di droga che dalla Colombia arriva in Europa. Un'alleanza cementata nel tempo – come di consueto - anche attraverso i legami familiari: Pasquale è il cognato dei tre fratelli Trimboli. Ma questo non impedirà loro di progettarne l'eliminazione e la scomparsa. Una verità storica, ma non ancora giudiziaria, che i magistrati conoscono ma non hanno – ancora – elementi per affermare. Sui dissidi interni che nel giro di pochi anni hanno portato alla "scomparsa" – si suppone per lupara bianca- di personaggi di primo piano come Pasquale Marando e Giuseppe Trimboli, i magistrati stanno ancora indagando. L'ipotesi più concreta sembra puntare tutta su una tragedia consumata all'interno dello stesso cla. Ma questo avverrà solo più tardi, il giorno dell'affiliazion del giovane Rocco, nel lontano '89, gli animi sembrano pacifici. "Ricordo" dice il pentito agli investigatori il primo aprile del 2009, "che avevano tutti un fare allegro ed erano sorridenti". I guai arriveranno dopo.
Ma Rocco Marando non è l'unico pentito della ndrangheta torinese ad aver fornito ai magistrati elementi preziosi per tarare la caratura criminale di Rocco Trimboli. Per Rocco Varacalli, il collaboratore che ha radiografato per gli inquirenti le strutture della ndrangheta in Piemonte, Rocco Trimboli è responsabile anche dell'omicidio di Pasquale De Marco, "u fanti" avvenuto a Corsico, nei pressi di Milano. A riferirlo a Varacalli, sarebbe stato un altro affiliato, Pietro Portalesi, con il quale il pentito aveva condiviso la cella nel carcere delle Vallette tra il 2009 e il 2010. Stando alle confidenze di Portalesi, De Marco avrebbe avuto una violenta lita con Trimboli, degenerata in rissa. "U fanti" avrebbe osato "disonorare" il boss, picchiandolo. E questa sarebbe stata poco dopo la ragione della sua condanna a morte.
Elementi pesanti che però potrebbero cadere se il Tribunale del Riesame decidesse di recepire i dubbi della Cassazione sulle dichiarazioni dei due pentiti. Solo quattro giorni fa la Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell'avvocato Francesco Lojacono, difensore di Rocco Trimboli ha annullato con rinvio il provvedimento del Tribunale del Riesame di Torino che confermava l'impianto accusatorio alla base del provvedimento restrittivo scaturito dall'inchiesta della Dda torinese "Minotauro". Un annullamento che potrebbe assumere particolare rilevanza perché ha ad oggetto l'attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che costituiscono il principale quadro indiziario posto alla base dell'intero procedimento penale, che conta oltre 180 indagati, e per il quale il 26 aprile prossimo a Torino è fissata l'Udienza preliminare.