Paolo Romeo a cena con il procuratore generale Salvatore Di Landro?

 

20170407 004530di Claudio Cordova e Angela Panzera -  Uno dei presunti capi della cupola massonica della 'ndrangheta a cena con l'allora procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro. Sono dichiarazioni molto forti quelle che ieri ha esternato in aula [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO], imputato nel maxiproxesso "Gotha" che si sta volgendo dinnanzi al gup reggino, Pasquale Lagana. L'imputato, accusato di far parte di una associazione massonica segreta che avrebbe "governato", criminalmente, la vita politica ed economica di Reggio Calabria, nel rispondere alle domande dell'esame poste dal pm antimafia Walter Ignazitto ha "tirato in ballo", Salvatore Di Landro, ex Procuratore Generale reggino e nel 2010 vittima di ben due atti intimidatori: il primo il tre gennaio quando una bomba fu fatta esplodere in Via Cimino, dinanzi la sede della Procura Generale, il secondo nell'agosto successivo quando un altro ordigno fu posizionato dinnanzi la sua abitazione privata.

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[OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO] infatti, nel tentativo di controbattere alle accuse formulante dalla Dda ieri avrebbe detto che gli incontri a cui ha preso parte non erano delle riunioni massoniche, come l'Antimafia ipotizza. Bensì erano delle "semplici" cene svolte a casa della giornalista Teresa Munari, anche lei imputata con la medesima accusa. "Nessun grembiulino massonico, ma solo grembiuli da cucina", avrebbe detto [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO] in aula. Ed ecco che l'imputato, per esprimere meglio il concetto che gli incontri sarebbero stati esclusivamente delle cene tra amici, ha affermato che ad alcune di queste cene partecipava l'ex Procuratore generale Di Landro. Parole, quelle di [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO], che non trovano alcun riscontro nelle carte dell'inchiesta e che sarebbero state riferite in aula ieri. Adesso toccherà alla Dda, guidata da Federico Cafiero De Raho, fare luce su quanto dichiarato dall'imputato. 

 Il maxiprocedimento, che vede alla sbarra la componente occulta della 'ndrangheta, adesso quindi registra un particolare "shocking" che al momento è tutto da verificare. 

Con l'inchiesta "Gotha" la Dda di Reggio Calabria ha alzato il tiro sui collegamenti istituzionali e paraistituzionali della criminalità organizzata: le inchieste "Sistema Reggio", "Fata Morgana", "Reghion" e "Mammasantissima" hanno colpito alla testa la 'ndrangheta. Tutti sapevano che i colpi di scena sarebbero stati tanti. In carcere sono finiti due tra i presunti capi della cupola segreta, gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, nonché politici come Alberto Sarra e il senatore Antonio Caridi, l'onnipotente dirigente comunale Marcello Cammera e, ancora, l'avvocato Antonio Marra, considerato elemento di collegamento tra la componente massonica e la 'ndrangheta militare e Dimitri De Stefano, figlio modaiolo di don Paolino. Indagati a piede libero, tra gli altri, l'ex presidente della Provincia, Giuseppe Raffa, il magistrato in pensione Luigi Tuccio, ma anche l'ex assessore comunale Amedeo Canale e l'ormai ex parroco del Santuario di Polsi, don Pino Strangio. 

Delicate inchieste che hanno svelato la cappa 'ndranghetista e massonica che da decenni controlla Reggio Calabria e soffoca la parte buona di essa. Tra i destinatari dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, anche l'ex sindaco di Villa San Giovanni, Antonio Messina, nonché il commercialista-spione, Giovanni Zumbo, già condannato come "talpa" delle cosche Pelle e Ficara e, ancora professionisti come Paola Colombini, Natale Saraceno, Maria Luisa Franchina e la giornalista Teresa Munari.

L'inchiesta "Sistema Reggio" ha fin qui provato la potenza dell'avvocato Giorgio De Stefano, capace – in forza del proprio carisma criminale – di dirimere le difficili controversie sull'apertura dell'ex bar Malavenda, ubicato nel quartiere Santa Caterina, da tempo equamente diviso tra lo schieramento destefaniano e quello condelliano: De Stefano avrebbe di fatto posto fine a una serie di attentati che avevano funestato quell'immobile, oggetto di appetiti di diverse cosche. L'indagine "Fata Morgana", invece, ha riaffermato il ruolo "baricentrico" (come è scritto nelle carte) dell'avvocato Paolo Romeo, forte della propria rete relazionale, mai negata dalla borghesia cittadina: in quell'inchiesta, i collegamenti con diversi politici locali, ma anche con la burocrazia dei palazzi del potere, al fine di fare incetta di finanziamenti pubblici. Strettamente collegata, l'indagine "Reghion" ha portato in manette per corruzione uno dei più fidati uomini di Romeo, il dirigente comunale Marcello Cammera, che per anni avrebbe spadroneggiato, nel settore dei lavori pubblici. Infine (ma solo per ora) l'inchiesta "Mammasantissima", che ha ricostruito storicamente quindici anni di politica reggina, individuando in Alberto Sarra e Antonio Caridi due degli strumenti di cui si sarebbe servita la cupola segreta della 'ndrangheta, comandata da Paolo Romeo. Inchieste per certi versi simili, almeno per il focus investigativo: colpire la cupola segreta sovraordinata persino agli stessi storici capimafia del direttorio della 'ndrangheta unitaria composto dalle cosche De Stefano, Tegano, Condello e Libri, la cui esistenza è stata cristallizzata dai processi "Crimine" e "Meta". Inchieste tra di esse assolutamente collegate, che si pongono in continuità l'una con l'altra. Retate di arresti che, in alcuni casi, sono state disposte dagli stessi Gip. Nel calderone è finita anche l'inchiesta "Alchemia", che ha svelato i collegamenti di alcune cosche della Piana di Gioia Tauro con lo stesso senatore Caridi.

Ora le dichiarazioni di [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO]: nessuna riunione massonica, ma cene tra amici con la giornalista Teresa Munari el'avvocato pregiudicato Paolo Romeo, considerato uno dei capi della masso-'ndrangheta. Tutti a tavola, insieme, secondo l'imputato [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO] all'allora procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro.