Truffa al Comune e animali maltrattati: l’inferno del canile di Mortara

sequestrocanilemortara500di Angela Panzera - Per il momento a finire agli arresti domiciliari è stata "solo" Irene Putortì, presidente dell'associazione "Aratea", aggiudicataria dell'appalto per la gestione del canile comunale di Reggio Calabria. Ma l'inchiesta coordinata dal pm Gianluca Gelso e Gerardo Dominijanni, e condotta dai Carabinieri forestali reggini, è destinata ad allargarsi. Ieri la notizia dell'arresto della donna, ma come riferito dagli stessi investigatori ci sono altri indagati. Per la Procura reggina infatti, è fondamentale stabilire ruoli e responsabilità di chi ha gestito, o meglio "mal-gestito" il canile reggino. La vicenda che adesso vede protagonista la Putortì non era sconosciuta alle cronache. La lunga battaglia condotta dall'associazione "Dacci una zampa" infatti, si è svolta sia attraverso le informazioni veicolate all'opinione pubblica che attraverso i vari esposti presentati non solo per le presunte irregolarità che l'associazione "Aratea" presentava, ma anche per le pessime condizioni in cui gli animali versavano. E adesso la Procura ha chiuso un primo round. Le accuse mosse alla Putortì sono gravissime, non solo sotto il profilo strettamente giuridico relativo all'assegnazione della gara d'appalto, ma anche dal punto di vista "personale", o meglio penale. La donna infatti, come non si sarebbe fatta alcuno scrupolo a maltrattare i cani, lasciandoli con poco cibo, sommersi dal letame (in un caso interrato illecitamente in un terreno ubicato nei pressi della struttura) e non curati dopo che l'epidemia di cimurro aveva travolto il canile, ma non avrebbe esitato anche ad obbligare il custode a lavorare oltre l'orario di lavoro stabilito dal contratto, o meglio a lavorare tutti i giorni persino la domenica senza battere ciglio. Se l'uomo apponeva il rifiuto, il licenziamento era dietro l'angolo. Ed ecco che per lei sono scattate le accuse di estorsione e violenza privata. Ma andiamo per ordine.

La gara d'appalto e i maltrattamenti agli animali

In qualità di Presidente dell'Associazione "Aratea" nella proposta tecnica di gestione del 19 agosto 2012 per la partecipazione alla gara di appalto indetta dal Comune di Reggio Calabria con determina n. 1546 del 26.06.2012 per la gestione del canile municipale di Mortara di Pellaro e nell'ulteriore integrazione del 25.7.2016 aggiudicata alla predetta associazione, la Putortì è accusato di aver attestato falsamente che l'associazione era dotata di specifiche competenze sulla protezione e cura degli animali indicando, nella propria offerta tecnica ed economica, specifiche figure professionali ed aziende che avrebbero dovuto fornire la propria collaborazione, circostanza rivelatasi falsa. In particolarenon sussistevano forme di collaborazione con persone ed organismi specializzati nel campo delle scienze sociali ed animali né tantomeno erano state stipulate convenzione e protocolli di intesa con i professionisti per l'erogazione dei predetti servizi. Il pm di Reggio Calabria, Gianluca Gelso, ha delegato i Carabinieri Forestali a svolgere le indagini sulla struttura, da tempo al centro di polemiche, anche su input degli animalisti. Putortì avrebbe vantato dei titoli non posseduti dall'associazione, indiceva in errore il comune di Reggio Calabria sulla sussistenza dei requisiti per poter, non solo partecipare al bando per la gestione del canile comunale di Mortara, ma anche per essere nominata aggiudicataria, e per questo che avrebbe procurato a sé un ingiusto profitto consistente nei contributi versati dal Comune per la gestione del canile ammontanti a circa € 19 mila euro con corrispondente danno per le casse dell'ente locale. Avrebbe fatto inoltre, risultare le propria competenza in settori quali la protezione e cura degli animali e dell'ambiente, in realtà insussistente. In mancanza delle prescritte autorizzazioni, effettuato attività di abbandono, deposito incontrollato e smaltimento di rifiuti, mediante l'interramento di feci dei cani misti a peli unitamente a materiale plastico di varia natura al di sotto dello strato di terra vegetale in una parte di terreno di circa 2,00 mq. adiacente il muro perimetrale della struttura, rifiuti speciali non pericolosi provenienti, tra l'altro, dai pozzetti di raccolta dei liquami. Avrebbe inoltre minacciato il custode della struttura a tenere presso l'alloggio in suo uso facente parte del canile, all'interno di un cesto, una considerevole quantità di farmaci, taluni ad uso umano ed altri ad uso animale, anche scaduti (quali ranitidina, zantac, spasmex, plasil ed altri) occultati in due buste di plastica con al di sopra dei panni sporchi; a somministrare razioni di cibo ai cani di proprietà dell'associazione "Dacci una zampa" in ciotole di plastica, inappropriate e pericolose (le quali venivano masticate e a volte ingerite mettendo a repentaglio la loro salute) e successivamente a dare la razione giornaliera di cibo soltanto per terra ed in box nella maggior parte dei casi sporchi di escrementi degli stessi cani.

I reati ai danni dei dipendenti

Tra le accuse spunta quella nei confronti del custode della struttura. «Con la minaccia di fargli perdere il posto di lavoro, si legge nelle carte dell'inchiesta, avrebbe costretto il custode a svolgere le mansioni di lavoro in orario pomeridiano e notturno, nonostante il contratto di lavoro prevedesse lo svolgimento delle attività lavorative dalle ore 9,00 alle ore 14,00 dal lunedì al venerdì e ad effettuare mansioni non rientranti nel contratto di custode, ossia la pulizia dei box e la somministrazione di cibo ai cani presenti nel canile procurando a sé l'ingiusto profitto derivante dalle differenze retributive e dai contributi non corrisposti al dipendente con pari danno per il predetto custode». Avrebbe ancora minacciato un dipendente dell'associazione "Aratea" con la mansione di operaio generico, a svolgere le mansioni di lavoro in orario notturno nelle giornate del lunedì, venerdì e sabato, in sostituzione del custode posto in congedo per malattia dalla fine del mese di ottobre 2016 e giornalmente dal lunedì alla domenica con orario dalle ore 7.45 alle 13.00 nonostante il contratto di lavoro prevedesse lo svolgimento delle attività lavorative dalle ore 9,00 alle ore 13,00 dal lunedì al venerdì procurando a sé l'ingiusto profitto derivante dalle differenze retributive e dai contributi non corrisposti al dipendente con pari danno per il predetto dipendente.

Ma, soprattutto, la donna sarebbe stata responsabile delle condizioni in cui erano custoditi i cani, produttive di gravi sofferenze e, senza necessità cagionavano lesioni e in taluni casi la morte – a seguito della diffusione del virus del cimurro - dei cani presenti nel canile di Mortara.

La Procura lo mette per i scritto: Irene Putortì in qualità di legale rappresentante dell'Associazione "Aratea" prendeva in gestione il canile rifugio di Mortara di Pellaro sprovvisto dei requisiti igienico sanitari necessari previsti dalla legge. Nel progetto per l'aggiudicazione della gara d'appalto però avrebbe indicato nella proposta tecnica della gestione una serie di figure professionali che erano "coinvolte" solo sulla carta mentre si trattava di professionisti che non avevano stipulato alcun contratto di collaborazione, partenariato, convenzioni o altro, senza la preventiva formazione dei volontari, e senza che alcuno di loro (salvo il custode, il legale e taluni volontari) fornisse un contributo e fosse occupato presso il canile di Mortara. Inoltre la Putortì avrebbe somministrato medicinali vietati consistenti in farmaci ad uso umano, direttamente o per il tramite di propri addetti (tenuti presso l'abitazione del custode), sottoponendoli a trattamenti che procuravano danni alla salute dei medesimi cani. Da questa serie di omissioni derivavano una serie di carenze del canile sanitario e rifugio e segnatamente, tra l'altro: numero di cani per ogni box superiore al numero prescritto in entrambi i canili (sanitario e rifugio); superficie a disposizione di ogni animale inferiore rispetto a quella minima di mq 8 (valori minimi riscontrati 3,5 mq e 5,3 mq rispettivamente per il canile rifugio e per quello sanitario); assenza, nel canile sanitario e nel canile rifugio, di un reparto di isolamento.

La storia

Il 26 giugno 2012 il Comune di Reggio Calabria bandiva una gara per l'appalto della gestione del canile rifugio e sanitario del canile di Mortara di Pellaro. Le domande presentate erano esclusivamente quelle di due associazioni, "Dacci una Zampa" che aveva gestito il canile sine titulo – mediante un'occupazione di fatto - dal periodo dal mese di ottobre 2014 fino al mese di aprile 2016 e la società "Aratea" di cui legale rappresentante è la dott.ssa Irene Putortì.

All'esito della gara, l'aggiudicazione definitiva è avvenuta a favore della società Aratea in quanto l'offerta è stata ritenuta economicamente più conveniente e perché l'associazione è stata ritenuta dotata di requisiti di professionalità necessari per poter gestire la struttura, anche perchè veniva indicata nella domanda di partecipazione l'esistenza di contratti di collaborazione e partnership con soggetti esterni, dotati di specifiche professionalità.

Sin dall'immediatezza veniva denunciata dai responsabili dell'associazione "Dacci Una Zampa", la circostanza per la quale – secondo la loro tesi - l'associazione Aratea non possedeva i requisiti per poter ottenere l'aggiudicazione di tale appalto in quanto la stessa operava in ambito socio assistenziale e non animalista, diversamente dalla loro associazione.

Tuttavia la vicenda in sede giurisdizionale si è conclusa con una sentenza del TAR di Reggio Calabria che ha giudicato legittima l'aggiudicazione dell'appalto a favore di Aratea, confermata di recente anche dal Consiglio di Stato.

Pertanto, il 26 aprile 2016, all'esito del giudizio amministrativo e dopo una travagliata vicenda legata ad alcune carenze strutturali che presentava il canile ed alla mancanza del certificato di agibilità, l'associazione Aratea si inseriva materialmente all'interno della struttura cominciando a gestire il canile.

I membri dell'associazione "Dacci una Zampa" presentavano ulteriori denunce nei confronti della rappresentante legale della società "Aratea" sostenendo nuovamente che tale appalto presentava dei profili di criticità poiché le figure professionali indicate nella proposta presentata dalla predetta aggiudicataria, in realtà erano estranee alla compagine associativa in quanto non avevano sottoscritto alcun contratto di partenariato e che, anche se vi avessero fatto parte, non avrebbero consentito comunque all'"Aratea"di essere nominata aggiudicataria.

Viceversa la Putortì ha denunciato di essere stata vittima, a partire dalla presa di possesso del canile, di numerose telefonate e messaggi (tramite post su facebook e whattsapp) di contenuto intimidatorio e di una costante e sfiancante campagna mediatica diffamatoria nei suoi confronti.

Le consulenze

La Procura quindi tra questa "guerra" di associazioni ci vuole vedere chiaro e affida una consulenza tecnica ad alcuni periti. I consulenti tecnici della Procura, nella consulenza contenuta nell'ordinanza di custodia, hanno evidenziato diverse carenze strutturali ed igienico sanitarie del canile di Mortara. Le risultanze dei periti sono fondamentali per l'accusa.

Il canile è realizzato all'interno di un'area tranquilla, poco verdeggiante e facilmente raggiungibile, in località Mortara di Pellaro. Il canile rifugio, avente parere sanitario favorevole dal Servizio Veterinario Area C dell'ASP di Reggio Calabria è gestito dall'Associazione "ARATEA".La struttura ha un allaccio idrico mentre è sprovvista di alcuna connessione alla rete fognante. Manca del tutto- chiosano i periti- un'area di sgambatura ed una parete arborea lungo tutto il perimetro del canile, non consentendo, pertanto, agli animali libera attività motoria in spazi adeguati.

Per i consulenti, degna di nota è l'assenza di alcun locale adibito ad infermeria/ambulatorio, di un armadietto chiudibile a chiave per la custodia di farmaci ed il relativo registro di carico/scarico degli stessi (sebbene per quest'ultimo l'Associazione ARATEA abbia presentato istanza di vidimazione da parte dell'ASP competente). Risultano, inoltre, assenti la cucina o area destinata alla preparazione e/o lavaggio delle ciotole, una cella frigorifera o adeguato congelatore per l'accantonamento delle carcasse degli animali morti[1], area attrezzata al lavaggio dei cani e di attrezzature minime (mediche, chirurgiche, diagnostiche di base) atte a garantire un primo grado di assistenza sanitaria. Manca, altresì, uno o più box per l'isolamento di animali affetti da patologie presumibilmente infettive.

Il canile sanitario, sebbene gestito dall'Area A e C dell'ASP di Reggio Calabria, non risulta essere in possesso di alcuna documentazione attestante l'avvenuta autorizzazione sanitaria e quant'altro ritenuto utile ai fini del comprovato adeguamento dello stesso canile alle disposizioni previste dalla normativa vigente. Sebbene siano presenti locali destinati agli uffici, all'ambulatorio e alla sala operatoria, questi risultano nella loro totalità non conformi ai requisiti previsti dalla normativa vigente. I consulenti rilevano che all'ispezione del 10 giugno 2016 era possibile constatare la mancanza di acqua calda, di impianto frigorifero/congelamento, la mancata chiusura a chiave dell'armadietto per i farmaci, l'assenza di un registro di carico/scarico delle scorte dei (pochi) farmaci ivi presenti, alcuni dei quali non destinati all'uso veterinario e/o scaduti. Inoltre, non sono state rinvenute le ricette in triplice copia obbligatorie per l'acquisto e la detenzione dei farmaci registrati anche o esclusivamente per specie destinate alla produzione di alimenti, né quelle relative all'uso in deroga di farmaci con autorizzazione all'immissione in commercio (AIC) per uso umano. Infine, la documentazione sanitaria dei singoli cani ospitati nel canile sanitario è risultata carente per le seguenti voci: data di ingresso, ubicazione (numero di stecca e box), avvertenze alimentari e/o caratteriali e alle eventuali profilassi vaccinali adottate.

Le condizioni complessive degli stessi sono state ritenute sufficienti, ed anche i casi maggiormente critici attenzionati dai consulenti. Tuttavia anche in tale ambito, venivano rilevate dei profilidi criticità nella gestione delle infezioni e malattie in genere degli animali. Alcuni passaggi della relazione di consulenza che evidenziano tali aspetti: "La totalità dei campioni fecali raccolti da box che ospitavano cuccioli è risultata positiva per una o più specie parassitarie. Sebbene, la frequenza e le specie parassitarie riscontrate nel corso dell'ispezione sono compatibili con la popolazione canina esaminata, l'elevata frequenza riscontrata nei cuccioli è indicativa di una carente azione di controllo e prevenzione delle parassitosi interne. A questo riguardo, è utile osservare che, dalle informazioni ricevute e dai documenti sanitari esibiti, non si evince l'adozione di efficaci e razionali misure di controllo e profilassi delle parassitosi interne sia per i soggetti adulti sia per quelli giovani".

Le criticità evidenziate troveranno piena conferma nei mesi successivi, in quanto per l'epidemia del cimurro si determinerà il decesso di numerosi cani (circa quindici), i quali, in taluni casi, avrebbero potuto sfuggire la morte se fossero state prese misure adeguate dal punto di vista igienico sanitario nei confronti degli animali malati e se gli stessi fossero stati isolati in locali idonei.

Tali carenze strutturali, come detto, derivano in parte da una situazione che la struttura presentava ab origine e che non avrebbe dovuto consentire il rilascio di pareri favorevoli da parte dei responsabili dott. Gurnari e dott. Giugni dell'area "C" dell'ASP di Reggio Calabria, ma da altra parte nella scarsa predisposizione di misure adeguate per contenere il virus – che nella maggior parte di casi ha determinato purtroppo la morte degli animali – da parte della legale rappresentante dell'associazione "Aratea". In tal senso i consulenti tecnici osservano: "Decisamente gravi, infine, sono apparse le condizioni dei tre cuccioli, verosimilmente ammalati di cimurro e "ricoverati" nei locali del canile rifugio. Anche per questi tre cuccioli l'assistenza sanitaria è apparsa limitata e tardiva rispetto al nostro arrivo; inoltre, come già esposto sopra, le condizioni generali di questi animali erano ulteriormente aggravate dalla totale inadeguatezza dei locali utilizzati per il loro ricovero".

Nelle more il Comune di Reggio Calabria emette una ordinanza del 9.11.2016 con diffida ad adempiere il 24.11.2016, con cui veniva disposta l'allontanamento coatto dei cani dell'associazione "Dacci una zampa" al fine di poter dare esecuzione ai lavori di adeguamenti disposti in conformità alle verifiche effettuate dai N.A.S. ponendo così, sotto tale profilo, un rimedio alla situazione non consona evidenziata dai consulenti tecnici.

Dunque, l'esito della consulenza tecnica fa emergere talune circostanze di rilievo: in primo luogo le condizioni strutturali ed igienico sanitarie del canile di Mortara si sono rilevate assolutamente carenti, e tale situazione deve ritenersi preesistente rispetto all'affidamento della gestione alla società "Aratea", non poteva essere rilasciato parere igienico sanitario favorevole motivo per cui i pareri favorevoli rilasciati dai responsabili dell'ASP devono ritenersi tali da integrare una fattispecie di "falso ideologico"; la gestione dell'emergenza sanitaria determinata dall'insorgenza del virus del cimurro all'interno del canile, è stata assolutamente inadeguata ed ha determinato il decesso di un numero elevato di cani, che si sarebbe potuto evitare se fossero state prese misure adeguate per contenere l'epidemia, isolando gli animali malati ed evitando che vi potessero essere contatti tra i cani infetti con i gli animali sani.

Le indagini avrebbero inoltre documentato le pressioni sul custode del canile e su un dipendente della Aratea.

Il giorno 29 ottobre 2016 veniva effettuata presso il canile di Mortara un'attività di perquisizione delegata che riguardava oltre la struttura del canile rifugio e sanitario, anche l'alloggio del custode.

L'esito di tale perquisizione era il rinvenimento di una serie di medicinali – sia ad uso umano che animale – all'interno di una cesta dell'alloggio del custode occultati sotto dei panni sporchi, mentre nel terreno di pertinenza del canile venivano trovati dei rifiuti non pericolosi, costituiti da buste in plastica contenenti feci misti a peli dei cani presenti in canile, nonché materiale plastico di varia natura, posti immediatamente al di sotto dello strato di terra vegetale.

Nel corso del controllo, nella parte adiacente il muro perimetrale della struttura, lato ovest, area costituita prevalentemente da terra vegetale ricoperta da apposito strato di erba da prato, si notava la presenza di una parte di terreno adiacente il muro perimetrale che risultava disomogenea alla restante, proprio perché vi si notava la recente movimentazione del terreno. Pertanto, dopo aver effettuato varie operazioni di movimentazione della terra vegetale ivi presente a mezzo di apposito badile, si è accertata la presenza di buste in plastica contenenti apparentemente feci misti a peli dei cani presenti in canile, nonché materiale plastico di varia natura, che erano posti immediatamente al di sotto dello strato di terra vegetale. La Putortì pertanto veniva denunciata per l'illecito smaltimento di rifiuti, nonché a seguito del ritrovamento di medicinali ad uso umano, ovvero medicinali scaduti che non potevano essere detenuti nella struttura, per ulteriori fattispecie penali. Tali condotte si vanno ad aggiungere ai reati già contestati, che conferirebbero ulteriormente le palesi inadempienze nella modalità di gestione della struttura derivanti, anche – si ribadisce - dall'originaria accettazione della stessa con le evidenti carenze strutturali ed accettando altresì la presenza di circa 140 cani di proprietà privata a fronte dei 38 posti previsti.

Le testimonianze

Per questo è stato interrogato dagli inquirenti il custode della struttura gestita dalla Putortì che rendeva dichiarazioni molto significative. Ecco cosa ha detto alla Procura: "Per espressa volontà e pressioni del mio datore di lavoro, Putortì Irene Maria Antonia, permango anche nelle ore pomeridiane dipendendo dalle esigenze operative del canile compreso il servizio notturno, abitando nell'alloggio messomi a disposizione pur non essendo regolato da alcun contratto di lavoro e quindi non retribuito. Specifico che nel periodo in cui il canile non era sottoposto a quarantena, effettuavo il servizio di pulizie anche nelle ore pomeridiane, sette giorni su sette, senza alcun eccessivo contributo". Il custode fornisce elementi agli inquirenti circa lo stato delle cose: "Riguardo alle cautele adottate per la diffusione del cimurro posso riferire che nel periodo iniziale sono state a mio avviso superficiali ed inadeguate, poiché i cani ai primi sintomi di malessere quando ancora non era stata diagnosticata venivano spostati nell'ufficio e nei locali prospicenti, quali bagni e spogliatoi. Tali cani venivano manipolati da tutti senza alcuna precauzione igienica. La stessa Putortì veniva più volte da me invitata ad usare calzari e camici di protezione ma tutto ciò veniva fatto soltanto ad epidemia ormai dilagante e dopo la morte di vari cani. Riguardo alla custodia dei farmaci riferisco che un determinato quantitativo mi veniva imposto, mio malgrado, dalla Putortì Irene Maria Antonia a detenerli occultati all'interno di un cesto di plastica presso il mio alloggio e che al bisogno mi invitava a consegnagli. Specifico che tali farmaci sono per natura destinati alla somministrazione sia veterinaria che umana. Sia io che gli altri volontari/operatori, siamo stati obbligati dalla Putortì Irene Maria Antonia per alcuni giorni a somministrare le razioni ai cani dell'associazione "Dacci una zampa" in ciotole di plastica, inappropriate che venivano masticate e a volte ingerite mettendo a repentaglio la loro salute. Successivamente, prendendo a pretesto un componente di dacci una zampa il quale faceva richiesta che sarebbe stato più opportuno mettere la razione di cibo a terra piuttosto che metterle nelle suddette ciotole, tra l'altro provenienti dai cani ospitati nel canile sanitario. Da quel momento e per vari mesi ai cani dell'associazione veniva somministrata la razione giornaliera soltanto per terra ed in box nella maggior parte dei casi sporchi di escrementi degli stessi cani, esclusivamente e palesemente per ritorsioni nei confronti dell'associazione rifiutandosi all'acquisto delle ciotole e provvedendo solo su sollecitazione dei veterinari dell'ASP e di alcuni volontari". Una vita di continue vessazioni, stando al racconto del custode: "Dichiaro che il mio rapporto di lavoro con l'associazione "Aratea" è sempre stato caratterizzato da continue pressioni psicologiche e richieste di servizi che andavano anche oltre sia le mie mansioni che per una reale etica riguardanti il benessere dei cani sempre velata dall'esibizione di un falso buonismo da parte della Putortì Irene Maria Antonia a cui sempre susseguivano pressioni con conseguenti possibili ritorsioni".

Il contenuto di tali dichiarazioni, che riscontra esattamente quanto rinvenuto a seguito di perquisizione locale presso il suo alloggio e presso i terreni di pertinenza del canile, consente di evincere taluni aspetti di rilievo significativo: In primo luogo il custode sarebbe stato vittima di continue pressioni da parte della presidente dell'associazione "Aratea", in quanto costretto a prestare la propria prestazione lavorativa al di fuori dell'orario di lavoro concordato e risultante nel contratto collettivo di lavoro. Le pressioni avrebbero riguardato anche la richiesta di somministrare ai cani dell'associazione "Dacci una zampa" il mangiare per terra e vicino ai propri escrementi, solo per ritorsione nei confronti dei rappresentanti di tale associazione che in questi mesi hanno tenuto condotte certamente "ostacolative" rispetto alla regolare gestione del canile. Inoltre secondo il custode del canile di Mortara, la gestione da parte della dott.ssa Putortì nel periodo di diffusione del virus del cimurro sarebbe stata assolutamente inadeguata. Tali dichiarazioni riscontrerebbero ulteriormente l'esito della consulenza tecnica disposta dall'Ufficio di Procura in cui venivano evidenziati elementi di assoluta inadeguatezza in merito alla predisposizione di cautele necessarie per contenere la diffusione del virus del cimurro che può essere letale per i cani i quali vi vengono in contatto, e che ha portato al decesso di un numero elevato di cani.

Inoltre ulteriore elemento di riscontro alle dichiarazioni rese dal custode è pervenuto dall'escussione di un volontario, in data 1 novembre 2016, il quale ha dichiarato che: " ...omissis..... l'inesperienza totale della gestione del canile comunale nel saper scegliere il tipo di alimento per i cani, in quanto sono stato presente nel suggerimento da parte del signor [OMISSIS] (Volontario) e del signor [OMISSIS] che spesso veniva come me a dare consigli alla dottoressa Putortì sulla gestione del canile insieme alla moglie del [OMISSIS], da questo ho potuto dedurre che la dottoressa Putortì non aveva le idee chiare in quanto le scelte sono state criticare da suddetti signori, ricordo che il cambiamento dell'alimentazione di un animale domestico porta a problematiche fisiologiche del cane ( dissenteria), inoltre posso testimoniare che nel verificarsi della presenza di vermi o dimagrimento molto evidente e documentato da parte dei volontari di dacci una zampa che avevano evidenziato alla dottoressa Putortì il problema ho notato, la difficoltà nel decidere la profilassi da seguire con i medici dell'ASP e con il Direttore Sanitario Franco Lunardo perché ritenevano di eseguire una profilassi diversa nel contempo gli animali stavano male. In merito a farmaci detenuti all'interno del canile rifugio posso dichiarare che sono a conoscenza della presenza di farmaci per uso animale e anche umano scaduti poiché era stato confermato la possibilità di utilizzo di tali farmaci anche scaduti che erano presenti all'interno del frigorifero dentro gli uffici del canile, e all'interno dello studio ASP sono venuto a conoscenza del ritrovamento da parte dei NAS di farmaci scaduti dati come donazione da una volontaria, tali farmaci era per la somministrazione ai cani da parte dell'ASP.... omissis... Io so che il cibo doveva essere somministrato due volte al giorno ma tale somministrazione veniva eseguita una sola volta mi riferisco al periodo da fine aprile ai primi di agosto, adesso attualmente disconosco la somministrazione in quanto come detto prima non frequento più il canile, posso confermare di avere assistito ad una constatazione da parte del Dott. Marroni dell'ASP che i cani dovevano mangiare due volte al giorno, tolettati, operazione mai eseguita e come da bando previsto lavati, soprattutto nel periodo estivo, operazione mai eseguita, che si dovevano utilizzare le ciotole di acciaio che erano state appena acquistate invece di tenerle chiuse in deposito, la dottoressa Putortì confermava di non voler utilizzare le ciotole nuove in quanto sprovvista di lavello in acciaio per il relativo lavaggio, mentre i cani venivano nutriti in ciotole in plastica (che venivano morse ed ingerite dagli stessi cani) con pericolo intestinali e avendo trovato anche pezzi di plastica nei pozzetti fognari, inoltre la stessa veniva invitata dal marito della Naccarato Candita tale Kevin in quanto aveva scoperto che i cani di dacci una zampa avevano ingerito residui di plastica delle suddette ciotole e preferiva che la somministrazione del mangime venisse distribuito a terra. A seguito di tale decisione lo stesso Kavin nei giorni seguenti si lamentava che i box che ospitavano i cani di dacci una zampa erano piene di escrementi degli stessi che di conseguenza si mischiavano agli stessi.... omissis .... ritengo che riguardo all'attuale cattiva gestione del canile municipale di Mortara, le responsabilità siano da attribuire all'amministrazione comunale in quanto ha dato in uso una struttura non completa e nello specifico l'assenza di zona di quarantena e di apparecchiature non funzionanti, quali il cancello carrabile, l'assenza di pompe delle vasche di raccolta dei liquami, il guasto della pompa del pozzo acqua, assenza di area sgambamento ed il malfunzionamento del sistema di abbeveraggio dei singoli box. Ritengo altresì responsabile l'ASP di RC per la totale mancanza di materiale medico ed attrezzature di laboratorio necessarie per la cura degli animali. Infine confermo, a mio avviso, l'assenza di esperienza nella gestione di un canile da parte della Dott.ssa Putortì Irene".

Inoltre, i fatti commessi ai danni del custode sarebbero stati reiterati da parte della Putortì anche nei confronti di un dipendente, che ha presentato una querela nei confronti della propria datrice di lavoro per reati di falso ed estorsione. Questi ha rappresentato che egli era stato assunto quale operaio generico alle dipendenze dell'associazione "Aratea"; di aver riscontrato che la lettera di licenziamento predisposta dal datore di lavoro recava una data diversa da quella effettiva. In particolare si era ammalato a partire dal 15 dicembre 2017 per dolori costali che lo avevano costretto a recarsi al pronto soccorso di Reggio Calabria, presso cui gli veniva fatta una prognosi di 30 gg. s.c. Nella giornata del 17 dicembre 2016 aveva richiesto di essere affiancato da altro personale per poter espletare le proprie incombenze lavorative, ma a fronte di tale richiesta ciò non solo gli veniva negato ma gli veniva notificata una lettera di licenziamento nella quale la data di notifica del preavviso era stata modificata al 15 novembre 2016, con retrodatazione di circa un mese. Ciò al fine, evidentemente, di non dover corrispondere la retribuzione per il periodo di legge del preavviso, tenuto anche conto che al dipendente era stata diagnosticata malattia per 30 giorni. Inoltre dalle stesse dichiarazioni rese dal dipendente è emerso che, analogamente a quanto avvenuto per il custode del canile, anch'egli fosse stato costretto dietro minaccia di licenziamento a svolgere un orario di lavoro diverso da quello effettivo con mansioni svolte anche il sabato e la domenica e, a partire dal mese di ottobre 2016 (in conseguenza della licenza per malattia del custode) anche in orario notturno nelle giornate del lunedì, venerdì e sabato in sostituzione del Leone. Tale denuncia rappresenterebbe ulteriore elemento di riscontro ad un modus operandi della titolare dell'associazione "Aratea" realizzato nei confronti dei propri dipendenti che, in stato di soggezione psicologica derivante dalla subordinazione scaturente dal rapporto di lavoro, erano costretti dietro minaccia di perdere il posto di lavoro, in taluni casi, a svolgere mansioni non previste dal contratto ed in altri, prestazioni lavorative al di là del normale orario di lavoro, pur non percependo alcuna retribuzione ulteriore oltre che, ovviamente, rinunciare ai relativi emolumenti contributivi.

Reato assai grave, infine, quello di truffa ai danni del Comune di Reggio Calabria. La Aratea vince il bando di gestione spuntandola sull'associazione "Dacci una zampa". Tra i principali requisiti tecnici richiesti dal bando vi era il possesso da parte dei partecipanti, dell'iscrizione all'albo provinciale delle associazioni di volontariato nell'apposita categoria "protezione degli animali e dell'ambiente", ovvero le stesse dovevano dimostrare idonea e comprovata esperienza nell'accudimento dei cani.

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Proprio su questi due aspetti, tra gli altri, l'associazione "Dacci una zampa" ha presentato apposito ricorso amministrativo proponendolo, in prima istanza dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria - e, in seguito all'esito negativo del ricorso, al Consiglio di Stato.

Appariva altresì evidente però che le rimostranze lamentate dall'associazione "Dacci una zampa" riconducevano ad un unico intento, cioè quello di dare attuazione a quanto previsto dal bando di aggiudicazione ossia che qualora l'associazione aggiudicataria si dimostrasse inadempiente agli obblighi di gestione previsti, subentrasse nella gestione l'associazione posizionatasi immediatamente dopo nell'ordine della graduatoria finale, cioè la predetta associazione "Dacci una zampa".

Tanto il TAR che il Consiglio di Stato hanno rigettato il ricorso sulla base della motivazione per cui l'associazione "Aratea", anche se iscritta in categoria diversa dell'albo provinciale (socio-assistenziale), nel proprio statuto presentava specifiche competenze sulla protezione e cura degli animali e dell'ambiente. Infatti, nella propria offerta tecnica ed economica la Putortì individuava specifiche figure professionali ed aziende partner che avrebbero dovuto fornire la propria collaborazione per fronteggiare le incombenze di cui la struttura avrebbe necessitato. Questo aspetto è stato considerato e valutato positivamente, tanto dalla commissione esaminatrice del bando di gara, quanto dai giudici amministrativi.

Si rendeva pertanto necessaria un'attività di indagine finalizzata a verificare quanto denunciato dai membri dell'associazione "Dacci una zampa" che lamentavano l'assenza dei requisiti richiesti dal bando da parte dell'associazione "Aratea" e la fittizietà dei rapporti di collaborazione indicati nella proposta di gestione con professionisti esterni. Collaborazioni poi risultate inesistenti. Pertanto, appare chiaro che la nota sopra menzionata - della quale la dott.ssa Putortì avrebbe beneficiato traendone un ingiusto vantaggio derivante dall'aggiudicazione del Bando pubblico di affidamento in gestione del canile di Mortara di Pellaro, producendone copia all'Ente Comunale -, risulta artefatta e dunque materialmente falsa. Secondo gli inquirenti, Putortì, al fine di aggiudicarsi il bando pubblico per la gestione del canile di Mortara ha dapprima dichiarato che una volta insediatasi avrebbe assunto specifiche figure professionali con specifiche competenze - requisito indispensabile per la partecipazione all'appalto e, a maggior ragione, per la relativa aggiudicazione -; nonché, riguardo alle collaborazioni di partnership con le aziende preposte la stessa ha prodotto falsa documentazione con l'unico intento di godere dei benefici previsti dal bando.

Da ultimo, le testimonianze di alcuni volontari avrebbero indotto gli inquirenti a ritenere sussistente la gravità degli indizi di colpevolezza in capo alla Presidente dell'associazione "Aratea", Irene Putortì, la quale, al fine di adempiere alle disposizioni previste dal bando pubblico di aggiudicazione della struttura, ha direttamente o per mezzo di altri modificato le date di sottoscrizione delle adesione all'associazione in qualità di volontari di almeno tre persone. Ciò al fine di poter dimostrare la loro partecipazione all'associazione in tali date e la loro presenza nell'elenco di volontari presenti al corso di formazione.

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