di Claudio Cordova e Angela Panzera - Proprio nei giorni in cui il giudice monocratico Valeria Fedele avrebbe dovuto pronunciare la sentenza nei suoi confronti nel processo che lo vede imputato per falso all'Università Mediterranea, il magistrato Alberto Cisterna deposita, a raffica, due istanze-fotocopia di ricusazione della stessa Fedele: le date sono quelle del 21 e del 23 gennaio, quando, cioè, il pubblico ministero Annamaria Frustaci ha già invocato 2 anni e 6 mesi di reclusione e, quindi, non resterebbe altro che difendersi e attendere il verdetto del giudice. Successivamente, peraltro, ne depositerà una terza, sui cui contenuti, ancora, non è dato sapere.
La vicenda è quella delle lezioni, presso l'Università Mediterranea, del magistrato, all'epoca dei fatti numero due della Direzione Nazionale Antimafia. Stando alle indagini, svolte dai pm Beatrice Ronchi (adesso in servizio presso la Dda di Bologna) e Annamaria Frustaci, nell'anno accademico 2009-2010; Cisterna, secondo la Procura reggina, avrebbe attestato falsamente nel registro didattico dell'Università di avere svolto regolarmente lezioni anche in alcuni periodi del 2009 e 2010 mentre in realtà si trovava fuori da Reggio Calabria. Per lo stesso reato di falso in atto pubblico è stata condannata in primo grado l'ex assistente di Cisterna, Grazia Gatto, punita con un anno e quattro mesi di reclusione. Condanna che la Gatto ha appellato con un procedimento che è in corso di trattazione dinnanzi alla Corte d'Appello reggina
Cisterna, da magistrato, avrebbe quindi dovuto attendere la sentenza del giudice, serenamente e nel rispetto del diritto. E invece le due istanze di ricusazione, istituto giuridico per cui una delle parti del processo, in determinati casi, può chiedere che il processo sia assegnato a un giudice diverso da quello prescelto: diritto in possesso dell'imputato Cisterna. Quella a essere insolita è la tempistica seguita dal magistrato: Cisterna, infatti, ha affrontato tutto il lungo dibattimento, in aula hanno sfilato testimoni, lui ha reso interrogatorio e, in diversi casi, dichiarazioni spontanee e una perizia calligrafica sui registri (proprio quelli che sarebbero stati falsificati) lo avrebbe visto soccombere.
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Nell'anno accademico 2009-2010 il magistrato avrebbe dovuto tenere lezioni universitarie, ma, in realtà si sarebbe trovato altrove. Una conclusione cui la Procura sarebbe arrivata ascoltando decine di studenti reggini, ma anche confrontando le celle telefoniche agganciate dal cellulare di Cisterna. Durante le indagini infatti, molti sono stati gli ex studenti della Mediterranea a riferire in Procura: alcuni hanno depositato degli appunti, altri addirittura le registrazioni delle lezioni. A tenerle sarebbe stata invece Grazia Gatto, aiutante di Cisterna in quegli anni: proprio Grazia Gatto, co-indagata di Cisterna, confermerà la circostanza in sede di incidente probatorio, ricordando come in diversi casi abbia provveduto lei a tenere le lezioni, nonostante sul registro risultasse la presenza di Cisterna. "Soggetto non idoneo e non qualificato per lo svolgimento dell'attività didattica ", la dottoressa Gatto, in possesso di una semplice laurea triennale conseguita all'estero e non riconosciuta come "cultore della materia" dal Consiglio di Facoltà. In alcuni casi, la Gatto avrebbe sostituito integralmente Cisterna (addirittura lontano da Reggio Calabria), in altri casi il magistrato avrebbe svolto solo una parte minima dell'attività didattica prevista. Nel registro, depositato presso l'Ufficio di Presidenza dell'Università, non si farà alcuna menzione di tutto ciò.
Circostanze affrontate in aula nel lungo dibattimento di fronte al giudice monocratico. Poi, a pochi giorni dalla sentenza, due istanze di ricusazione, molto simili nei contenuti.
A meno di una settimana dal trasferimento del giudice Valeria Fedele, già destinata ad altro incarico e applicata fino al 27 gennaio scorso per trattare l'ultimo caso rimasto nel proprio ruolo: quello, appunto, di Alberto Cisterna. Circostanza nota, sia all'imputato, sia ai suoi avvocati. Del caso viene però investita la Corte d'Appello: solo il 30 gennaio, gli avvocati di Cisterna, Giuseppe Milicia e Anna Larussa, depositano una nota con la quale si afferma che il giudice ricusato avrebbe rinviato il procedimento al 17 marzo "con assegnazione ad altro giudice della trattazione della vicenda, in ragione del sopraggiunto venir meno dell'applicazione della stessa" e si chiede, pertanto, che venga dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse alla ricusazione.
Tradotto in parole povere: il giudice Fedele non ha potuto emettere sentenza a causa delle istanze di ricusazione presentate da Cisterna e dai suoi difensori, si è vista scadere l'applicazione (circostanza nota a tutti) e quindi il procedimento finisce nelle mani di un altro giudice. Con un piccolo dettaglio: non trattandosi di processo di criminalità organizzata, l'imputato Cisterna ha il diritto di negare il consenso a dare per acquisite le risultanze processuali emerse in aula, ed in questo caso il processo dovrà ricominciare da zero.
Con la prescrizione che incombe.
La Corte d'Appello di Reggio Calabria ha comunque stroncato le due istanze con cui Cisterna ha dilatato i tempi del processo a suo carico. Ma vediamo quali erano, secondo il magistrato, le argomentazioni che avrebbero dovuto impedire al giudice Fedele di emettere una sentenza in nome del Popolo Italiano nei suoi confronti: il 20 dicembre 2016, al termine dell'udienza appena celebrata, Cisterna, rientrando all'interno dell'aula per riprendere l'ombrello che aveva dimenticato avrebbe colto un colloquio tra il giudice Fedele e il pm Frustaci nel quale il giudice avrebbe comunicato al rappresentante dell'accusa la propria disponibilità per le date del 20, 23 e 25 gennaio 2017, malgrado l'udienza fosse stata rinviata al 18 gennaio, senza altro tipo di indicazione. Un "accordo", di cui Cisterna avrebbe avuto le prove all'udienza del 18 gennaio, che veniva poi rinviata al 20 dello stesso mese, con disponibilità a celebrare il processo anche il 23 e il 25: secondo la tesi di Cisterna, che grida al complotto da anni, ossia da quando emergeranno i suoi presunti contatti con Luciano Lo Giudice, anima imprenditoriale dell'omonimo clan di 'ndrangheta, il comportamento del giudice sarebbe una violazione dei principi di leale collaborazione tra le parti. A ciò, Cisterna aggiunge che nell'udienza del 18 gennaio, il giudice Fedele avrebbe illegittimamente e immotivatamente rigettato alcune istanze istruttorie difensive, proprio per accelerare i tempi del giudizio.
Ma Cisterna profonde il massimo sforzo quando tira in ballo anche il marito della dottoressa Fedele, Luca Miceli, pubblico ministero antimafia a Reggio Calabria: l'ex numero due della Direzione Nazionale Antimafia, oggi giudice a Tivoli proprio dopo il trasferimento disciplinare per la vicenda Lo Giudice, ricorda che l'originario pm, Beatrice Ronchi, sia sottoposta (a Catanzaro e a seguito delle sue denunce) a procedimento penale con l'ipotesi di falsificazione degli atti che avevano giustificato la sua applicazione al processo per il falso all'Università, che il dottor Miceli sia stato l'estensore di una richiesta di archiviazione presentata in un altro procedimento sulla base di "una consulenza e la cui acquisizione agli atti era stata illegittimamente negata dal giudice". Il percorso mentale di Cisterna è arzigogolato: si appella al matrimonio tra i magistrati Miceli e Fedele, sebbene questo non sia mai sfociato in alcuna incompatibilità, argomentando che il pm Miceli è sostituto del procuratore Federico Cafiero De Raho, il quale avrebbe manifestato in più occasioni un particolare interesse, anche mediatico, alla risoluzione del procedimento in senso sfavorevole all'imputato Cisterna. Ma la sintesi non rende bene. Ecco le parole di Cisterna, secondo cui il matrimonio tra Miceli e Fedele configurerebbe "...una condivisione coniugale agli esiti della vicenda a carico del sottoscritto per le ricadute mediatiche che ad essa annettono la dottoressa Frustaci ed il procuratore della Repubblica, capo dell'Ufficio del marito del giudice ricusato". Perché si tratterebbe di condivisione di interessi? Non si riesce a trovarne una ragione. Miceli è giunto in riva allo Stretto anni fa e prima di entrare in Dda (dove indaga sulle cosche della fascia tirrenica) era in forza alla Procura ordinaria. La dottoressa Fedele è stata autorizzata dal Consiglio Superiore della Magistratura ad essere applicata a Reggio Calabria. Un'applicazione "extradistrettuale" che permette ai magistrati di lavorare temporaneamente in distretti considerati "disagiati" come è appunto quello di Reggio Calabria che detiene una sola sezione dibattimentale con i giudici che si contano sulle dita di una mano soprattutto per quanto concerne quelli che ricoprono la funzione monocratica. Basta leggere la relazione che proprio poche settimane fa ha stilato il presidente della Corte d'Appello Luciano Gerardis in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario reggino, per aver ben chiara la carenza dell'organico al Tribunale dello Stretto. Incompatibilità tra il lavoro della Fedele e quello del pm Miceli non ne sono state rilevate; è stato lo stesso organo di autogoverno della magistratura a dare l'ok per il trasferimento della Fedele in città. Anche perché il pm Miceli è da anni in Antimafia e non ha alcuna trattazione di processi dinnanzi al giudice monocratico, previsto per i processi "ordinari".
Al giudice Fedele viene persino contestato di essere rientrata in aula dopo una sospensione dell'udienza con lo schermo del cellulare ancora acceso: anche da questo Cisterna deriva una ingerenza del pm Miceli alla vicenda.
Senza, tuttavia, specificare a che pro.
Ma per Cisterna, il giudice avrebbe avuto atteggiamenti di palese parzialità, definendolo "totalmente coinvolto nelle ragioni strategiche che portano il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria ad attendersi un successo dell'accusa in una contesa in cui lo scrivente non ha mai dato corso che, invece il dottor De Raho ha purtroppo, con poca misura, reso palese innumerevoli volte in sede pubblica e non solo". Quali siano questi atteggiamenti del procuratore Cafiero De Raho, non è dato sapere. Ma su di lui i passaggi di Cisterna sono durissimi: l'ex numero 2 della DNA sostiene sostanzialmente un accanimento, giudiziario e mediatico nei suoi confronti e una presunta subordinazione indiretta del giudice Fedele ai "desiderata" di Cafiero De Raho, per via del matrimonio con il dottor Miceli, pm della Procura di Reggio Calabria. La stessa applicazione del pm Frustaci, trasferita a Catanzaro, sarebbe parte – secondo il teorema Cisterna – del disegno persecutorio attuato ai suoi danni. Ma l'applicazione nei processi in corso di svolgimento nella precedente sede di lavoro è ormai una prassi consolidata fra i magistrati e Cisterna, che indossa ancora la toga, dovrebbe saperlo bene.
Ma le complesse e avvincenti circostanze raccontate – spesso senza particolari pezze documentali – da Cisterna vengono stroncate dalla Corte d'Appello che parla di "ricostruzione dei fatti tanto complessa quanto inconsistente sul piano delle finalità cui intende pervenire, poiché si sviluppa attraverso una serie di elementi insindacabili in questa sede". Anche il presunto "accordo" sulle date di udienza viene liquidato dai giudici, come un mero passaggio organizzativo, come tanti se ne verificano ogni giorno nelle aule di giustizia. I giudici Massimo Gullino, Francesco Petrone e Cinzia Barillà parlano chiaramente di "illazioni e di congetture che non possono essere riempite di concretezza e tantomeno di fondatezza".
Il risultato è che Cisterna viene ammendato con 800 euro. Ma il processo a suo carico, probabilmente, è destinato a essere avvolto dalle nebbia. E a finire in prescrizione. A meno che l'ex numero 2 dell'Antimafia presti il consenso per la rinnovazione degli atti dinnanzi ad un altro giudice monocratico designato, oppure rinunci alla prescrizione e si lasci giudicare nel merito. Difendendosi così nel processo e non dal processo.