‘Ndrangheta da esportazione: il “brand” Piromalli fino agli Stati Uniti

operazioneprovvidenza500di Claudio Cordova - 'Ndrangheta imprenditrice e mimetica, che riesce a investire i soldi del traffico di droga in Calabria, in Lombardia, ma anche negli Stati Uniti. Non solo "lavando" denaro sporco, quindi, ma anche incrementando le casse dell'organizzazione: ecco gli affari della cosca Piromalli, casato storico della criminalità organizzata calabrese, colpita duramente dall'inchiesta "Provvidenza" con 33 fermi emessi dalla Dda di Reggio Calabria ed eseguiti dal Ros dei Carabinieri. Le persone coinvolte, tra esse anche sei donne, sono indagate per associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio ed altri reati, aggravati dalle finalità mafiose. L'intervento, che ha interessato la Calabria, la Lombardia e la Basilicata, ha previsto la contestuale esecuzione di un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore di circa 40 milioni di euro.

IL FIGLIO DI "FACCIAZZA"

Elemento centrale dell'inchiesta curata dalla Procura retta da Federico Cafiero De Raho, Antonio Piromalli, 44enne figlio di Pino Piromalli, detto "Facciazza". Proprio per volere del padre, Antonio Piromalli si era trasferito a Milano, nel tentativo di abbassare l'attenzione su di lui, non solo da parte delle forze dell'ordine, ma anche delle altre famiglie mafiose. Pino Piromalli "Facciazza", classe 1945, aveva infatti investito il figlio di pieni poteri, sebbene l'uomo avesse continuato a reggere le fila della cosca, prima dal 41bis dopo la condanna definitiva nel processo "Cent'anni di storia", e poi da uomo libero, con la scarcerazione avvenuta nel 2014. Una scelta strategica che, tuttavia, non è sfuggita al procuratore aggiunto Gaetano Paci e ai pm Matteo Centini e Luca Miceli. A Milano, Antonio Piromalli avrebbe "lavato" elevati introiti del clan, derivanti dal traffico di droga.

Sul fronte economico, è stata evidenziata la penetrazione della cosca nel tessuto economico e sociale dell'area gioiese e la sua capacità di esercitare un radicale controllo degli apparati imprenditoriali, con specifico riferimento al settore agro-alimentare. L'attività è riuscita inoltre a delineare il quadro degli interessi illeciti gestiti in ambito nazionale e transnazionale dal sodalizio indagato, verificando la disponibilità di ingenti risorse finanziarie reimpiegate in numerose iniziative imprenditoriali e commerciali nel nord-italia e negli Stati Uniti.

In Calabria, le basi operative dell'organizzazione sono state individuate a Gioia Tauro negli uffici della società edile di Pasquale Guerrisi, uomo di fiducia di Antonio Piromalli, e nel casolare di campagna Girolamo e Teodoro Mazzaferro, cugini di Giuseppe Piromalli "Facciazza", ove veniva documentata la costante presenza di esponenti apicali della 'ndrangheta reggina. In particolare, Girolamo Mazzaferro e Pasquale Guerrisi costituivano l'interfaccia calabrese di Antonio Piromalli, per conto del quale, in aderenza alle direttive che provenivano dal capoluogo lombardo, curavano il complesso degli affari illeciti della cosca, garantendone la leadership sull'intero mandamento tirrenico.

La cosca Piromalli, peraltro, aveva adottato ingegnosi metodi per tentare di sfuggire alle investigazioni, che sicuramente erano tenute, dato che le indagini documentano alcuni episodi in cui gli indagati avrebbero "bonificato" autovetture e ambienti in cui si discuteva dei traffici illeciti. I collegamenti con la propaggine milanese erano infatti assicurati da Francesco Cordi' e Francesco Sciacca, cognati di Piromalli, anche attraverso un sistema di comunicazioni basato sui "Pizzini", che Guerrisi aveva il compito di ricevere e instradare ai destinatari finali.

A GIOIA TAURO SI SPARA

A Girolamo Mazzaferro, esponente storico della cosca, era stato affidato il compito di dirimere i contrasti sorti tra gli affiliati alla cosca e costituire altresì un punto di riferimento per risolvere controversie o problematiche anche in ambito non prettamente criminale; gestire, unitamente al fratello Teodoro Mazzaferro, le operazioni immobiliari e di compravendita di terreni, in molti casi estorti con il ricorso all'intimidazione mafiosa o come contropartita per i prestiti erogati a tasso usurario; prendere decisioni per la conduzione delle attività illecite della cosca, con particolare riferimento al traffico di stupefacenti, pianificando altresì agguati o azioni intimidatorie nei confronti delle compagini criminali che andavano ad interferire sul controllo delle banchine e dei piazzali dello scalo portuale. Sul punto, le indagini hanno dato conto dei rapporti contrastati tra i Piromalli e Domenico Stanganelli, già organico alla cosca Molè, per il controllo di alcuni gruppi specializzati nella gestione e fuoriuscita delle partite di cocaina dal porto di Gioia Tauro. Il dissidio aveva fatto registrare due un attentati a colpi di arma da fuoco all'indirizzo di Gaetano Tomaselli e Giuseppe Antonio Trimboli, entrambi contigui alla cosca Piromalli e dipendenti della società Mct di Gioia Tauro, attiva nelle operazioni di transhipment all'interno dello scalo portuale.

Negli ultimi anni, infatti, Gioia Tauro è considerata una zona molto effervescente sotto il profilo criminale, da quando, cioè, la storica alleanza tra i Piromalli e i Molè si è incrinata: fatti che gli inquirenti incastrano a partire dal 2007, con l'omicidio, nel febbraio 2008, del boss Rocco Molè. In tale contesto, le indagini del Ros avrebbero accertato come i vertici dell'organizzazione, tra cui Girolamo Mazzaferro e Francesco Cordi', avessero costituito un gruppo di fuoco, pianificando l'omicidio di Michele Zito, braccio destro di Stanganelli, individuato quale esecutore materiale dell'azione intimidatoria. L'evento, ad ogni modo, veniva scongiurato grazie ad una serie di servizi predisposti sul territorio dalle forze di polizia e poi con l'arresto di Zito per traffico di droga.

GLI STATI UNITI

Ma la nuova frontiera dei Piromalli erano gli Stati Uniti.

Le indagini, anche con il contributo dell'Agenzia delle dogane, hanno inoltre messo in luce le infiltrazioni dell'organizzazione criminale in alcuni settori agroalimentari, sia in ambito regionale che nazionale, documentando anche i rapporti transnazionali strumentali allo sviluppo di tali importanti traffici commerciali. Antonio Piromalli, attraverso la società "p.p. Foods srl,", specializzata nell'operazioni di import-export di prodotti olivicoli ed ortofrutticoli, riusciva ad esercitare un controllo rilevante sulla produzione calabrese in tali settori. Nel comparto oleario, è emerso il prioritario interesse della cosca nell'attività di intermediazione nella vendita dei prodotti di alcune società calabresi, arrivando a controllare di fatto una buona parte della filiera produttiva e commerciale, stabilendo a monte i prezzi di vendita dell'olio, i quantitativi da esportare e le somme da incassare in base al prodotto venduto. E' stata inoltre individuata la rete di instradamento degli ingenti quantitativi di tali prodotti negli Stati Uniti, in relazione alla quale gli accertamenti dell'Agenzia delle dogane hanno fatto emergere l'esistenza di condotte illecite in ambito commerciale, fiscale e doganale, con presupposti evidenti di riciclaggio di denaro. Grazie alla cooperazione con l'FBI, è stata compiutamente delineata la struttura organizzativa estera incaricata della distribuzione, facente capo a Rosario Vizzari, imprenditore residente nel New Jersey, organico alla cosca ed a capo di un'articolata holding, costituita da società di stoccaggio e distribuzione merci, una delle quali con una sede operativa in provincia di Milano. Vizzari, grazie ad una salda rete di contatti tra Boston, Chicago e New York, è risultato in grado di curare l'introduzione di ingenti quantità di prodotti provenienti dalla lavorazione dell'olio di oliva da inserire nel circuito della grande distribuzione collegata alcuni ipermercati americani. In tale quadro, il collaterale organismo statunitense ha in corso una serie di approfondimenti volti ad individuare le operazioni di riciclaggio di denaro di provenienza illecita e riscontrare i delitti di frode in commercio e contraffazione alimentare. La cosca, infatti, smerciava negli Stati Uniti olio di sansa, spacciandolo però per olio d'oliva, così non solo truffando sotto il profilo economico, ma anche dal punto di vista alimentare e della salute.

GLI AFFARI MILANESI

E poi, ovviamente, gli affari a Milano, dove Antonio Piromalli si era trasferito. Per il tramite di società di riferimentop&p foods srl, è risultata l'esportazione di prodotti ortofrutticoli verso i mercati del nord Italia, controllando le aziende Ortopiazzola srl" e la Polignanese s.r.l., (sottoposte a sequestro) inserite nel mercato ortofrutticolo milanese, a cui assicurava, per il tramite del consorzio Copam Di Varapodio (RC), la fornitura dei prodotti, garantendo, con le note tecniche di intimidazione, prezzi di acquisto concorrenziali e il buon esito delle operazioni commerciali.

Interessi sempre in continua evoluzione, dato che, secondo quanto riferito dagli inquirenti, il sodalizio criminale progettava l'acquisto di una palestra, che avrebbe potuto fruttare un milione e mezzo di euro l'anno, e di una rivendita di auto.

Sul fronte patrimoniale, le indagini hanno accertato inoltre il reimpiego dei proventi illeciti in società di servizio operanti in Calabria e Basilicata, riconducibili agli affiliati Francesco Cordi' e Nicola Rucireta, documentando come la struttura criminale fosse riuscita ad inserirsi, in modo fraudolento, nella gestione dei servizi di pulizia e catering di alcune strutture turistiche riconducibili ad importanti società di settore. Inoltre, nel campo immobiliare sono stati individuati i prestanome del patrimonio occulto della cosca Piromalli ed è stata verificata la disponibilità in capo all'imprenditore Alessandro Pronesti' di numerose società di abbigliamento, collegate ai marchi francesi "Jennyfer" e "Celio", con punti vendita in alcuni centri commerciali della provincia di Milano e Udine.

LA POLITICA

L'indagine "Provvidenza" parte dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia della fascia tirrenica. Tali affermazioni si incastrano e si incrociano perfettamente con quanto raccolto dai pm Paci, Centini e Miceli. La cosca Piromalli, infatti, da sempre esercita il proprio completo controllo su Gioia Tauro, anche in forza di collegamenti con altre famiglie mafiose limitrofe. Nell'inchiesta, in tal senso, emerge la vicinanza con le cosche Alvaro di Sinopoli e con i Crea di Rizziconi. Peraltro, il procuratore capo, Federico Cafiero De Raho, ha parlato di "fermento" all'interno del clan in occasione delle ultime consultazioni comunali, del 2015. La cosca, in buona sostanza, sarebbe stata divisa circa i candidati da appoggiare: dissidi documentati in maniera frazionata dalle intercettazioni e che, tuttavia, le indagini non sarebbero riuscite a inquadrare compiutamente.

--banner--

IL CENTRO COMMERCIALE E IL "GIALLO" SUL BARONE MUSCO

Affari in Lombardia e negli Stati Uniti, ma la casa madre, ovviamente, restava la Calabria. Dalle indagini del Ros è emersa infine la partecipazione del vertice dell'organizzazione al progetto di realizzazione di un importante centro commerciale all'altezza dello svincolo gioiese dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, ove i lavori edili nel loro complesso sarebbero stati affidati a ditte locali. Su tale affare, i Piromalli puntavano molto, avendo coinvolto anche alcuni professionisti milanesi. Una struttura adiacente al centro commerciale "Annunziata", già sotto sequestro perché ritenuto nella disponibilità del clan, nonostante l'apparente titolarità dell'imprenditore Alfonso Annunziata. L'interesse su quei terreni potrebbe incastrarsi con un'altra oscura storia gioiese: quei territori, infatti, erano nella disponibilità del defunto barone Musco. E tra i fermati dell'inchiesta "Provvidenza" vi è anche quel Teodoro Mazzaferro, attualmente indagato dalla Procura di Palmi: una vicenda, quindi, che potrebbe ora subire importanti aggiornamenti investigativi.