L’omicidio di Tarik Kacha e la polveriera Catona-Arghillà

omicidiomarocchinocatonadi Claudio Cordova - Solo il tempo e le indagini potranno chiarire uno scenario che, fin qui, appare piuttosto caotico e nebuloso. L'omicidio del 34enne marocchino Tarik Kacha, trucidato il 29 dicembre nell'androne del palazzo dove viveva, a Catona, periferia nord di Reggio Calabria potrebbe nascondere motivazioni più grandi del "classico" regolamento di conti legato a piccoli traffici illeciti. Già le modalità dell'uccisione, al piano terra dello stabile di via Militare, hanno fin da subito attirato l'attenzione della Squadra Mobile di Reggio Calabria, intervenuta nel tardo pomeriggio del 29 dicembre, pochi minuti dopo il delitto: l'omicida ha atteso il rientro a casa del marocchino e lo ha freddato con alcuni colpi di pistola, dandosi poi alla fuga a bordo di un'automobile condotta presumibilmente da un complice.

Tarik Kacha non era un extracomunitario come l'opinione pubblica è abituata a intendere tale status.

A Catona, Tarik era conosciuto da tutti e perfettamente inserito nel contesto rionale: il padre dell'uomo, infatti ha vissuto per decenni in Calabria e lo stesso Tarik, sebbene fosse nato in Marocco, si era trasferito fin da bambino a Catona. E lì avrebbe intrecciato rapporti stretti con soggetti del luogo.

Il quartiere di Catona è, storicamente, una zona su cui si estende l'egemonia criminale della famiglia Rugolino.

Per diverso tempo, il marocchino Tarik aveva lavorato per l'attività commerciale di Mimmo Rugolino e, successivamente, acquistava il pane nel panificio della moglie di Rugolino, Maria Scarpelli, ubicato ad Arghillà, per poi rivenderlo "porta a porta". Da ultimo, però, Tarik aveva iniziato ad acquistare il pane a Salice, altra frazione nell'hinterland reggino. Il tenore di vita del marocchino, peraltro, non era quello di un venditore ambulante di pane: Tarik viveva in un dignitoso appartamento affittato all'interno di un altrettanto dignitoso stabile, possedeva almeno tre dispositivi elettronici, tra cellulari e tablet, ed era possessore di un'autovettura. Tutte circostanze che, unite alla vicinanza, almeno sotto il profilo commerciale, con membri della famiglia Rugolino, inducono gli investigatori a diverse riflessioni.

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Il caso non è ancora passato al vaglio della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ma le indagini si starebbero orientando su eventuali coinvolgimenti criminali che Tarik Kacha possa aver avuto negli equilibri della 'ndrangheta di Catona. Un territorio confinante con quello di Arghillà e che, da sempre, danza sugli equilibri da tenere necessariamente con la nutrita comunità rom: un vero e proprio "esercito", che nemmeno la 'ndrangheta può sottovalutare. Una comunità che, nonostante il "recente" trasferimento dopo la distruzione del ghetto dell'ex caserma Cantaffio, nel famigerato 208, non si è mai effettivamente integrata con la parte sana di Catona, ma che, invece, talvolta ha intrecciato il proprio percorso con quello degli ambienti criminali. E, in tal senso, da investigare vi sono anche eventuali rapporti che Tarik possa aver intrecciato con alcuni soggetti di etnia rom: chi conosce quel territorio, infatti, sa bene come all'interno di quella comunità vi sia qualche soggetto in forte ascesa sotto il profilo criminale. E il panificio con cui Tarik Kacha ha lavorato fino a poco tempo addietro è una delle poche attività commerciali residue nell'area principale di Arghillà.

Tanti, quindi, i contesti incontrati sulla propria strada da Tarik Kacha, prima di trovare la morte lo scorso 29 dicembre. E tante, allora, le vie che le indagini possono battere: e l'uccisione di Kacha potrebbe essere il grimaldello per scardinare un ambiente, quello di Catona-Arghillà, per molti versi chiuso ermeticamente e da tempo sottovalutato sotto il profilo investigativo.

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