"Sistema Reggio": la Cassazione conferma il carcere per l'avvocato Giorgio De Stefano

destefanogiorgio avvocato recente 500di Angela Panzera - "L'avvocato" resta in carcere. È stato rigettato nei giorni scorsi, dalla prima sezione della Cassazione il ricorso con cui i difensori di Giorgio De Stefano chiedevano l'annullamento dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell'ambito dell'inchiesta "Sistema Reggio". Già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, l'avvocato De Stefano è ritenuto la mente del clan arcoto. È cugino del boss Paolo De Stefano, assassinato agli albori della seconda guerra di 'ndrangheta a Reggio Calabria. Secondo le dichiarazioni di diversi pentiti, Giorgio De Stefano sarebbe un elemento di contatto tra la 'ndrangheta e mondi occulti, come quelli della massoneria. Il suo nome, insieme a quelli del terrorista nero Franco Freda e dell'avvocato Paolo Romeo spunta e rispunta praticamente fin dagli anni '70. Dopo molti anni l'avvocato è ritornato dietro le sbarre ossia nel marzo scorso con il blitz "sistema Reggio" dove in manette ci sarà anche suo nipote Dimitri De Stefano ritenuto il reggente del clan dopo la leadership del fratello Giuseppe da parecchio in cella.

--banner--

L'indagine "Sistema Reggio" trae origine da un grave attentato registrato la notte dell'11 febbraio 2014, quando un ordigno danneggerà il Bar Malavenda, noto esercizio commerciale del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria. Il bar era di proprietà della società "Villa Arangea Snc", riconducibile, come riferito dagli inquirenti, al pregiudicato Antonino Nicolò, collocato ai vertici della cosca Serraino. L'esplosione distruggeva la vetrina del bar, il banco pasticceria e diverse vetrate anche dei locali sovrastanti, adibiti ad ufficio, magazzino e laboratorio, nonché una minicar in sosta nelle adiacenze, di cui rivendicava la proprietà Roberto Franco, capo dell'omonima cosca operante a Santa Caterina. La mattina seguente, Alessandro Nicolò, figlio di Antonino, denunciava il danneggiamento. L'1 marzo 2014, lo stesso Nicolò denuncerà di aver rinvenuto un altro ordigno inesploso, collocato nello stesso punto dove era scoppiato il primo, analogo per fattezze strutturali a quello del precedente atto intimidatorio. Considerato che l'esercizio commerciale danneggiato era ubicato lungo la via Santa Caterina, territorio sul quale incidono, in egual misura, da un lato i fratelli Stillitano, Domenico e Mario Vincenzo, organici alla cosca Rosmini e quindi riconducibili al cartello della cosca Condello, e dall'altro proprio Roberto Franco capo dell'omonima cosca, notoriamente aderente al sodalizio facente capo alle famiglie De Stefano e Tegano, la Squadra Mobile retta da Francesco Rattà attiverà - con l'ausilio di video riprese - molteplici operazioni di intercettazione telefoniche ed ambientali delle conversazioni di soggetti ritenuti coinvolti nella vicenda. Dai primi accertamenti effettuati dagli investigatori della Squadra Mobile, coordinati dai pm Roberto Di Palma e Rosario Ferracane emergerà che i Malavenda, nell'ottobre 2013, avevano venduto l'esercizio commerciale alla società Villa Arangea di Alessandro Nicolò, figlio di Antonino Nicolò, detto "pasticcino", e di Anna Rosa Martino, moglie di Francesco Serraino, elemento di spicco dell'omonima cosca della 'ndrangheta reggina. L'acquisto del Bar Malavenda da parte dei Nicolò aveva fatto sorgere attriti "interni" con gli Stillitano, dal momento che l'acquisto dell'ex "Bar Malavenda" avrebbe inciso sugli interessi economici di questi ultimi, da sempre presenti a Santa Caterina, con il rischio di turbare gli equilibri mafiosi vigenti, ormai, da oltre un ventennio.

Le indagini dei pm Di Palma e Ferracane continuano a ritmo serrato e mostrano come i Nicolò avessero ceduto in locazione l'esercizio commerciale a Carmelo Salvatore Nucera, rappresentante di commercio nel settore dolciario. L'attività investigativa porterà quindi alla luce non solo le dinamiche criminali sottese al duplice attentato al Bar Malavenda ma anche, più in generale, il coinvolgimento, a vario titolo, nella vicenda, di esponenti di vertice di diverse cosche della ''ndrangheta reggina, riconducibili sia al cartello condelliano che a quello destefaniano. Nucera riferirà a Malavenda che per assicurare l'attività commerciale si era rivolto alle "Generali" ma poi, con l'intermediazione di un amico, era stato contattato dall'avvocato Giorgio De Stefano, sicché aveva ottenuto"da più parti la garanzia al mille per mille di alcune cose"tanto da rimarcare, da un lato, l'inconsistenza della minaccia degli Stillitano e, dall'altro, l'impegno diretto degli Araniti che, a loro volta, avevano manifestato un interesse personale nella nuova attività commerciale ("che resta fra noi, io avevo fatto l'assicurazione con le Generali...e poi mi ha chiamato Giorgio De Stefano, Giorgio De Stefano l'avvocato, tramite un amico per l'assicurazione...loro praticamente da più parti mi danno la garanzia al mille per mille di alcune cose, che lui (n.d.r. De Stefano Giorgio) dice che loro (n.d.r. gli Stillitano) non contano un cazzo...gli Araniti si sono presi l'impegno loro, i cosi...non ci sono problemi, non succede niente perché...l'hanno messa come se fosse una cosa che interessa a loro a livello personale."). Ma i De Stefano, come altre cosche, avrebbero preteso l'assunzione di personale ("e ora sicuramente, siccome mi ha chiamato coso, qualcuno me lo cerca pure lui e non gli posso dire di no, Giorgio De Stefano"), dal quale aveva ottenuto massima protezione per l'avvio dell'attività commerciale ("che si stiano tutti zitti ha detto"),nonché, a fronte delle titubanze espresse dall'incaricato delle Generali, la stipula dell'assicurazione con la filiale della Carigeg estita dalla figlia Diana Rita classe 1972("poi mi ha detto: "...vieni da me che te la faccio io l'assicurazione"...Giorgio De Stefano"). Ecco l'intervento dell'aristocrazia della 'ndrangheta, che risolve le questioni non a colpi di bombe, ma grazie alla diplomazia criminale che solo i vertici possono adottare. Nucera preciserà quindi che al "massimo" esponente delle gerarchie mafiose dei De Stefano era giunto grazie all'intermediazione di un amico che aveva preso contatti direttamente con l'avvocato ("Giorgio DE STEFANO, ha parlato un amico, non è che lo conoscevo direttamente..."). Dal suo referente Nucera aveva avuto assicurazione di poter avviare quindi l'attività senza alcuna remora ("deve aprire, di non preoccuparsi"), dal momento che Giorgio De Stefano, definito il "massimo" ("...Penso che quello è il massimo, no?...") rappresentante della cosca De Stefano avrebbe parlato dall'alto della sua autorevolezza mafiosa sicché, in conseguenza del suo diretto intervento[ "se parla lui (n.d.r. Giorgio De Stefano" ], gli Stillitano avrebbero dovuto necessariamente piegarsi, pena gravissime conseguenze, ("perché incominciando da quello gli mettono il muso nel culo...gli mettono il muso nel culo e non parlano più!").