È attesa per oggi la decisione dei gip di Reggio Calabria che dovranno decidere se convalidare o meno il fermo emesso dalla Dada per le persone fermate nel blitz dell'operazione "Sansone", condotta dai Carabinieri martedì scorso. L'inchiesta ha decimato la cosca Condello, egemone nella periferia nord reggina, ma anche quelli della 'ndrina Zito-Buda-Bertuca attiva a Villa San Giovanni. Ad eccezione di Pietro Bertuca, difeso dal legale Andrea Alvaro (in foto), che ieri è stato scarcerato dal gip di Palmi, oggi si avrà contezza del provvedimento dell'ufficio giudicante reggino. Tre sono stati i pm impegnati ossia Giuseppe Lombardo, Annamaria Frustaci e Walter Ignazzitto mentre sette sono stati i gip che si sono occupati di effettuare gli interrogatori e decideranno se convalidare o meno il fermo emesso dall'Antimafia guidata da Federico Cafiero De Rao.
Le persone coinvolte nell'inchiesta sono accusate a vario titolo, di associazione mafiosa, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni e da guerra, procurata inosservanza di pena, favoreggiamento personale, ma anche minaccia, danneggiamento e incendio, reati tutti aggravati dall'aver agevolato la 'ndrangheta. Smantellata anche la rete dei fiancheggiatori che hanno permesso al boss Domenico Condello, soprannominato "Micu u pacciu", di trascorrere una latitanza durata oltre 20 anni. Il suo arresto risale al 10 ottobre del 2012. La Dda avrebbe fatto luce inoltre, su almeno venti episodi estorsivi. Lavori piccoli, ma anche grandi opere pubbliche e private che in alcuni casi superavano il mezzo milione di euro, le cosche pretendevano che gli imprenditori si piegassero alle loro richieste. Ritornando agli interrogatori ieri, come era prevedibile, in molti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Pietro Bertuca ha invece risposto alle domande del gip di Palmi Massimo Minniti davanti al quale si è difeso con forza.
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Il gip quindi ha sposato la linea difensiva del legale Alvaro,e ha ritenuto non solo che non ci fossero le esigenze cautelare, ma anche gli indizi di colpevolezza raccolti dalla Dada che lo vedevano indagato anche di estorsione aggravata dall'avere agevolato la 'ndrangheta. «Non ci sono, ha scritto il gip nel provvedimento di scarcerazione, elementi indiziari dimostrativi circa il fatto che Pietro Bertuca(il quale avrebbe dovuto farsi da portatore della richiesta estorsiva all'imprenditore) si sia poi concretamente attivato nel senso e nella direzione di cui alle "istruzioni" date da Pasquale Bertuca alla sorella Felicia e al nipote Vincenzo Sottilaro. Non vi è prova alcuna che Pietro Bertuca si sia effettivamente fatto portatore di quella richiesta estorsiva svolgendo un ruolo di intermediario». Ma c'è di più il gip scrive senza indugi che dagli atti «vi è un dato di valenza contraria rispetto all'accusa sintomatico del fatto che Pietro Bertuca non si sia attivato (almeno sino al 21 marzo 2011 né comunque ci sono informazioni o dati successivi al riguardo)». Monitorando anche i successivi dialoghi avvenuti in carcere fra Pietro Bertuca, la sorella e il nipote per il gip «non c'è alcun altro ed ulteriore elemento investigativo ai richiamati due colloqui carcerari del 23 agosto del 2010 e del 21 marzo 2011 che consenta di ritenere, pur in termini indiziari, e comunque altamente probabilistici, che il Bertuca abbia successivamente all'ultimo colloquio posto in essere l'intermediazione richiestagli rendendosi effettivamente portatore della pretesa illecita di Pasquale Bertuca, della quale pure gli atti non offrono alcuna indicazione riguardo l'esito».