Uccise il cognato, sconto di pena in Appello per Tropeano

tropeano vincenzodi Angela Panzera - Sconto di pena in secondo grado per Vincenzo Tropeano, ritenuto responsabile dell'omicidio del cognato, Antonio Raso, commesso l'undici marzo del 2013 in contrada "Venarella" a Rizziconi. Ieri la Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria, Roberto Lucisano presidente con Maria Luisa Crucitti a latere, lo ha condannato ieri a 15 anni e 4 mesi di carcere. L'uomo, difeso dal legale Francesco Albanese, si era visto annullare l'otto aprile scorso dalla Cassazione la condanna a 30 anni di reclusione rimediata nel primo processo d'appello. Per la Suprema Corte, l'imputato non uccise il cognato per quel famoso "sputo" ricevuto. Ieri infatti, i giudici pur non concedendo le attenuanti generiche e applicando la recidiva, hanno comunque escluso l'aggravante dei futili motivi ed è per questo che l'imputato ha rimediato, all'esito dell'Appello bis un grande sconto di pena.

Anche per Antonio Raso, genero di Tropeano, difeso sempre dal legale Albanese, la Suprema Corte aveva annullato con rinvio l'accusa di porto d'armi e anche per lui ha rispedito indietro gli atti. All'esito del primo processo d'appello Raso rimediò 2 anni e 8 mesi di carcere per il reato di favoreggiamento. Ieri invece la Corte gli ha comminato 1 anno e 4 mesi, sospendendo la pena. Raso quindi non ha partecipato al delitto bensì avrebbe "soltanto" accompagnato Tropeano in contrada "Venarella" e subito dopo l'assassinio lo avrebbe riportato a casa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti Tropeano era da tempo in rotta con il cognato per una questione legata al pascolo delle sue bestie sul terreno della vittima.

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La vita di Francesco Raso, stando all'impianto accusatorio quindi, valeva un passaggio di pecore sul suo fondo agricolo. Per questo motivo suo cognato lo avrebbe ammazzato, con due colpi di pistola, alla fine dell'ennesima lite scoppiata per il passaggio di quegli animali dal suo pezzo di terra. Dopo l'omicidio, Tropeano si diede alla fuga; per un mese infatti i Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro si occuparono della sua latitanza fino a quando decise di costituirsi in caserma. Già con la sentenza della Cassazione per Tropeano il quadro accusatorio era cambiato notevolmente. Ad armare la sua mano non è stata la vergogna di aver «ricevuto pubblicamente uno spunto in faccia e nell'aver ricevuto anche un'ennesima minaccia a non far pascolare il proprio gregge in un determinato terreno».