di Claudio Cordova - Giuseppe De Stefano è sempre imprevedibile. Quando alla fine della lunghissima udienza del maxiprocesso "Meta", che sta cercando di ricostruire i nuovi assetti della 'ndrangheta cittadina, chiede di prendere la parola, tutti si aspettano che il "Crimine", così come ritenuto dall'accusa, decida di passare all'attacco, dopo le durissime accuse lanciate contro di lui dal collaboratore di giustizia Consolato Villani. Invece Giuseppe De Stefano chiede scusa. Chiede scusa al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, chiede scusa al Colonnello dei Carabinieri, Valerio Giardina. Nell'udienza del 29 giugno, infatti, il figlio di don Paolino si era rivolto con grande durezza a Lombardo e Giardina che, sulla base di alcune risultanze investigative, avevano paventato l'ipotesi che l'arresto dello zio di Peppe De Stefano, Orazio, catturato al Parco Caserta nei primi mesi del 2004, potesse essere stato operato grazie a una fonte confidenziale, proveniente dallo stesso ambiente destefaniano, che avrebbe "venduto" il proprio capo, reo di essersi appiattito troppo sulle posizioni dei Tegano.
La vicenda è ritornata, in maniera prepotente, nell'udienza di oggi, con le ricostruzioni fornite dal pentito Villani, che ha ripercorso l'accaduto, fornendo, sostanzialmente, la stessa versione dei fatti. Per questo De Stefano interviene, ma non lo fa per attaccare il pentito, lo fa per chiedere scusa a Lombardo e Giardina: "Non avevo a mia disposizione il verbale del collaboratore Villani, quindi ho creduto che quella ricostruzione fosse uno spunto del dottore Lombardo e del Colonnello Giardina, cui mi sono rivolto in termini che non meritano".
Niente repliche a Villani. Peppe De Stefano è imprevedibile.
Eppure il collaboratore ha a dir poco sparato a zero contro quello che, secondo l'ipotesi accusatoria, con l'acquisizione del grado di "Crimine", sarebbe diventato il capo indiscusso della 'ndrangheta cittadina. Grazie a lui i De Stefano, a detta di Villani, avrebbero "risalito la china", dopo anni in cui Orazio De Stefano avrebbe legato troppo il prestigio della famiglia alla federata famiglia dei Tegano. Proprio in quest'ottica si inquadrerebbe la rottura tra Peppe e Orazio De Stefano. Una rottura che avrebbe coinvolto anche i Tegano e che avrebbe evitato guai peggiori solo grazie all'intervento di Pasquale Condello, il "Supremo" della 'ndrangheta: "Si trovò un accordo interno nel locale – dice Villani – altrimenti poteva scattare una guerra nel locale di Archi". La rottura viene evitata, ma i problemi sarebbero stati risolti in altro modo: "Nino Lo Giudice mi disse che i De Stefano hanno venduto Orazio" dice Villani. Il collaboratore racconta molte cose e lo fa soprattutto sulla scorta delle dichiarazioni di Nino Lo Giudice, di Giovanni Chilà, ma anche di un "confidente di 'ndrangheta", un uomo, Stefano Costantino, che avrebbe riferito molti dei segreti degli "arcoti" al clan Lo Giudice: "Ci raccontava le cose ogni volta che passava la novità". E la novità, in quegli anni, sarebbe stata proprio la leadership di Peppe De Stefano, proprio a scapito dello zio Orazio. Fu proprio questa la teoria che, qualche mese fa, fece scattare su tutte le furie Peppe De Stefano che questa volta, invece, mantiene la calma, come un grande capo dovrebbe fare. Sì perché dalla presunta manovra a carico dello zio Orazio, lui sarebbe uscito vincitore, acquistando lo scettro della famiglia e della città: "Orazio De Stefano è portato alla pace, Peppe al comando, con l'ausilio dell'avvocato Giorgio De Stefano".
CHI COMANDA IN CITTA'
Così, dunque, Peppe De Stefano sarebbe diventato il capo della città. Il capo di quel "direttorio" che, nell'ipotesi del pm Lombardo, comanderebbe ogni cosa: i De Stefano, i Condello, i Tegano i Libri. Famiglie che vengono messe ai primissimi posti anche dal collaboratore di giustizia, Villani, che, insieme ai Labate, colloca questi clan al vertice della "ndrangheta cattiva". Quella 'ndrangheta che sarebbe superiore a tutte le altre cosche: "Queste famiglie – dice Villani – raggruppano la 'ndrangheta di tutta la città". Ed è uno spaccato piuttosto inquietante quello che viene disegnato da Villani, collaboratore di giustizia da poco più di due anni: "Nel 2010 ho lasciato una città totalmente nelle mani della 'ndrangheta" dice. Le cosche, infatti, riuscirebbero a condizionare ogni respiro della vita pubblica. Dalla politica fino ad arrivare all'economia: "Chi ha un'azienda edile a Reggio Calabria nel 99% dei casi deve passare, a vario titolo, con la 'ndrangheta" dice Villani. Così muore una città: con le ditte che da vittime delle estorsioni, diventano sostanzialmente delle propaggini delle cosche, che le gestirebbero tramite dei prestanome". Una città colonizzata in cui anche le piazze, controllate da una o dall'altra cosca, sarebbero una vetrina, un emblematico sfoggio di potere simbolico.
GLI ASSETTI
In tale contesto, dunque, si sarebbe mosso Villani, attivo soprattutto nel mercato ortofrutticolo. Il collaboratore racconta i segreti della propria cosca d'appartenenza, i Lo Giudice, che avrebbero avuto un percorso tribolato, partendo dai De Stefano, passando per i Condello, fino a rimanere sostanzialmente indipendenti e senza il proprio territorio di riferimento, Santa Caterina: "Quando i Lo Giudice iniziarono a sparare per conto loro, ci fu l'omicidio di Salvatore Lo Giudice". Un omicidio, come spesso accade, perpetrato per frenare il "nuovo che avanza", le crescite veloci. Un po' come la storia di Mario Audino, elegante boss assassinato sul finire del 2003. Da sempre vicino ai Tegano, nella ricostruzione fin qui conosciuta, Audino sarebbe stato trucidato dallo stesso gruppo di Archi, per la propria vicinanza con Peppe De Stefano. Una versione che, però, Villani capovolge totalmente: "Nell'omicidio di Mario Audino, Peppe De Stefano partecipò personalmente" dice. Intrighi e crescite veloci che vengono affogate in un bagno di sangue. Un meccanismo di cui sarebbe rimasto vittima anche Paolo Schimizzi, reggente dei Tegano che sarebbe stato fatto scomparire proprio per volere di Giovanni Tegano, che non riusciva più a controllarlo: "Lo Giudice diceva che non dava più conto alla famiglia, per questo i Tegano gli fecero il biglietto di sola andata" dice Villani. E' il settembre 2008 quando di Schimizzi non si saprà più nulla: "Nino Lo Giudice aveva più prestigio di lui, ma negli ultimi anni Schimizzi era molto più nominato – dice Villani – anche perché era un killer, fino a poco prima di scomparire".
E' questa la "ndrangheta cattiva" secondo Villani. Non la 'ndrangheta di Polsi che, allo stato attuale, sarebbe solo un simbolo per le cosche, dove, comunque, verrebbero prese le decisioni più importanti. Ma a Polsi andrebbero solo i rappresentanti delle famiglie, non i capi. Troppi rischi: "I grandi capi non vanno per timore – dice Villani – tutti sanno che le forze dell'ordine sono a Polsi". Insomma, ad adorare la Madonna della Montagna, che, a detta di Villani, uscirebbe sempre in spalla ai "bagnaroti" (le persone originarie di Bagnara Calabra, ndi), non si troverà mai Giovanni Tegano, non si troverà mai Pasquale Libri, né Peppe De Stefano, né Pasquale Condello.
IL SUPREMO
A proposito di Condello. Che tra il "Supremo" della 'ndrangheta reggina, e Nino Lo Giudice, boss oggi pentito, non corresse buon sangue dopo che il "Nano" avrebbe rifiutato di diventare l'ambasciatore di Condello nel periodo della latitanza, è fatto notorio, già sviscerato in diversi atti e procedimenti giudiziari. Il collaboratore di giustizia Consolato Villani, cugino proprio di Nino Lo Giudice, va però oltre nel suo racconto. Da dietro il separè bianco all'interno dell'aula bunker, Villani ha addirittura parlato di una possibile azione di fuoco contro Condello.
Una "pazza idea", quella che sarebbe balenata nella mente di Lo Giudice dopo il 2006, cui, però, Villani non presterà grande peso. Fin qui, infatti, si era sempre paventata l'ipotesi che i Lo Giudice, tramite i presunti contatti con le Istituzioni - tanto nelle forze dell'ordine, tanto nella magistratura - avessero tentato di "vendere" Condello, facendolo arrestare: "Pasquale Condello era un idolo per tutti noi – dice Villani – personalmente avrei preferito ucciderlo anziché farlo arrestare". Nella 'ndrangheta tutto scorre e quindi anche il ruolo di Nino Lo Giudice sarebbe cambiato. Per anni, dunque, Lo Giudice avrebbe accolto tutti gli ordini di Condello, anche con riferimento alla raccolta dei voti: "Nel 1999/2000 arrivò l'ordine da parte di Pasquale Condello di raccogliere dei voti per un determinato soggetto e Nino Lo Giudice lo disse a noi". E se, come dice Villani, "nessuno avrebbe potuto trasgredire quell'ordine, il collaboratore viene – come è ormai abitudine – stoppato dal pm Lombardo e non si lascia scappare neanche un nome di qualche soggetto politico che si sarebbe legato alle cosche.
Da soggetto vicinissimo a Condello, suo referente nel rione Santa Caterina, ma non solo, a personaggio da evitare, e non solo.
Nino Lo Giudice per anni avrebbe curato la latitanza del "Supremo", capo indiscusso della 'ndrangheta cittadina, poi avrebbe rifiutato l'offerta di Condello che, forse per metterlo alla prova, gli avrebbe offerto un ruolo di grandissimo livello. In quegli anni, infatti, iniziano a circolare strane voci sul clan Lo Giudice e sui rapporti che Luciano e Nino avrebbero intrattenuto, da confidenti, con le Istituzioni.
Furbescamente, Condello avrebbe potuto bluffare con Lo Giudice: "Rappresentare Condello significava rappresentare Mario Monti, significa rappresentare il presidente del Consiglio della 'ndrangheta" dice Villani con un'efficace metafora.
CONFIDENZE
Dopo il rifiuto, comunque, i rapporti si incrineranno e il "Nano", temendo le ritorsioni dei Condello prima avrebbe detto ai suoi di armarsi, anche con bazooka e kalasnhikov, poi avrebbe dato il via alle "grandi manovre" per far arrestare il "Supremo", effettivamente catturato – senza alcun tipo di contributo – dal Ros dei Carabinieri il 18 febbraio 2008. E quegli anni, Consolato Villani, condannato definitivamente per il duplice omicidio dei Carabinieri Fava e Garofalo, li vivrà in prima persona, confrontandosi continuamente con il cugino Nino Lo Giudice. Parte proprio da quell'omicidio, Villani, parlando del proprio ingresso-premio nella 'ndrangheta: "Mi hanno dato quello che meritavo in quella vita" dice prima di autocensurarsi – per ragioni investigative - u alcune dinamiche che ruoterebbero attorno al duplice delitto dei militari dell'Arma.
Fin da giovane, dunque, Villani avrebbe svolto un ruolo più che operativo all'interno della compagine criminale: "Ero il referente di Nino Lo Giudice con le altre cosche, facevo danneggiamenti, ma raccoglievo anche voti". Poi la decisione di collaborare: "L'ho fatto per dare un futuro diverso alle mie figlie" dice Villani all'inizio dell'udienza. E quindi i racconti, sulle tante, tantissime, storie cittadine, che hanno per protagonista soprattutto il clan Lo Giudice, quello di Nino e Luciano che, a detta di Villani, sarebbero stati dei confidenti delle forze di polizia. Il collaboratore racconta di aver sempre sospettato di Nino, ma di aver avuto la certezza quando, nel periodo in cui si cercava Condello, il collaboratore si era convinto di averlo individuato in un appartamento al piano di sopra della propria abitazione, occupato da una cittadina straniera. Una circostanza che Villani racconterà a Lo Giudice e che sarà seguita, dopo pochi giorni, da una perquisizione delle forze dell'ordine. Quelle forze dell'ordine con cui i Lo Giudice sarebbero stati un po' troppo vicini: "Chi nasce per essere traditore non può essere una persona affidabile" sentenzia Villani.