Dal "locale" di San Luca (Reggio Calabria), che è il più importante di tutti tanto da essere soprannominato "la mamma", alle "province" sparse per l'Italia e in varie parti del mondo, dal nord della Germania all'Australia. A Torino la sentenza del processo San Michele propone una geografia della 'ndrangheta imperniata sulle dichiarazioni di un pentito, Francesco Oliverio, considerato come la figura che ha "consentito di delineare con maggiore precisione rispetto ad altri collaboratori" le "linee costitutive dell'ordinamento 'ndranghetistico". Il processo, terminato lo scorso 11 dicembre con undici condanne, si riferisce all'attività della propaggine torinese della cosca Greco di San Mauro Marchesato (Crotone).
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Nelle motivazioni, il giudice Maria Francesca Abenavoli si richiama alle parole di Oliverio, secondo cui "la 'ndrangheta è una struttura verticistica" dove la 'provincia' di maggior rilievo è quella di Reggio Calabria. Le strutture chiamate 'province' o 'crimini', autorizzate dove ci sono 15 'locali', sono presenti in Lombardia, Liguria, Piemonte.
Un gruppo di personaggi legati alla 'ndrangheta "intendeva acquisire profitti tramite l'inserimento nelle attività connesse ai lavori per il Tav" appoggiandosi a una cava in Valle di Susa. E quanto si legge nella sentenza del processo San Michele sulla presenza dei clan a Torino e in provincia. Il giudice Maria Francesca Abenavoli, che lo scorso 11 dicembre inflisse undici condanne dopo un rito abbreviato, ha dato credito alla ricostruzione degli inquirenti. Al centro della vicenda, che risale al 2011, c'era una cava, con annesso impianto di produzione di bitume, fra i paesi di Chiusa San Michele e Sant'Ambrogio. Il gruppo "mirava a utilizzarla come deposito di rifiuti speciali per le ditte amiche che avrebbero lavorato per la Tav, nonché come luogo di frantumazione dei rifiuti già presenti sul posto, o comunque acquisiti, da reimpiegare (senza controllo o bonifica oltre che in assenza di autorizzazione) nei lavori della Tav". Per questo vennero fatte, con successo, "pressioni schiaccianti ed esplicite" sui titolari dell'impianto per evitare che sfrattassero l'affittuario, Giovanni Toro (imputato in un altro filone del processo), un imprenditore che è risultato in contatto con Gregorio Sisca, accusato di associazione mafiosa e condannato a cinque anni di reclusione. Secondo gli inquirenti i tentativi di infiltrazione della 'ndrangheta negli appalti per il cantiere della Tav a Chiomonte non sono riusciti. (Ansa)