di Valeria Guarniera - "Bisogna andare sul territorio e avere il coraggio di puntare il dito contro queste famiglie e dire chiaramente che i figli non sono proprietà loro, vengono al mondo per essere amati, non per diventare delle macchine da guerra da utilizzare a piacimento. Vi ringrazio, la vostra presenza ci conforta. Siamo esseri umani, anche noi abbiamo paura però dobbiamo andare avanti. La strada l'abbiamo tracciata". Le ripetute minacce rivolte al Tribunale per i Minori di Reggio Calabria ed alla Procura per i Minori sembrano aver avuto un effetto boomerang su chi, in maniera vigliacca e prepotente, le ha effettuate, sperando di intimidire, zittire, bloccare persone e istituzioni. All'azione nell'ombra si è oggi contrapposta una protesta alla luce del sole. La Camera Minorile Distrettuale di Reggio Calabria che riunisce avvocati specializzati nella difesa dei minori e le più importanti associazioni impegnate nella difesa dei diritti e della legalità, convinti dell'importanza dell'attività posta in essere dalla Magistratura e dagli operatori della Giustizia Minorile reggina a tutela dei minori e del loro futuro, hanno indetto, a sostegno dell'Istituzione, un sit-in di solidarietà e di protesta per quanto accaduto. Un momento importante in cui Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i Minori, ha voluto ribadire la necessità di fare rete, perché la solitudine uccide: "Non bisogna avere paura di parlarne, perché stando zitti faremmo il loro gioco". Un percorso, quello intrapreso dal Tribunale per i Minori di Reggio Calabria, non privo di ostacoli e resistenze: "Tantissime difficoltà – sottolinea Di Bella - di ordine burocratico, non ci sono fondi e ogni volta che interveniamo a tutela di questi ragazzi dobbiamo costruirci di volta in volta il percorso. Ora però siamo giunti in una fase in cui non si può più improvvisare. Abbiamo bisogno innanzitutto di un movimento di opinione che crei il consenso, per cominciare a far capire che la responsabilità educativa è una cosa seria". Parole forti quelle che Di Bella usa per descrivere lo stato delle cose: "Abbiamo intere famiglie che mandano al macero i loro figli e noi lo vediamo giorno per giorno, perché c'è una gran sofferenza. Ragazzi e che sono già rassegnati perché sanno quello a cui andranno incontro. Madri rassegnate e genitori che nonostante questo continuano a spingere su questo versante".
Il lavoro che si sta svolgendo, lo ribadisce, è faticoso e delicato, ma sta dando i primi frutto: "Qualcosa sta cambiando". Il Tribunale dei Minori di Reggio Calabria è in prima linea nella lotta alla 'ndrangheta, soprattutto per quanto concerne la sottrazione dei figli agli ambienti malavitosi che opprimono il territorio. "Grazie anche ai nostri provvedimenti ci stiamo accorgendo che i ragazzi sono plasmabili e quella che sembra una società familiare impenetrabile invece è un tessuto che non è inossidabile. Stiamo scuotendo le famiglie dalle fondamenta. Si stanno verificando delle dinamiche nuove: abbiamo madri che vengono a chiederci aiuto. C'è chi ha iniziato dei percorsi di collaborazione con la giustizia ma anche altre donne che pur non collaborando vengono a chiederci aiuto. A volte in segreto, piangono, sono disperate. Vanno via, poi ritornano e ci chiedono di allontanare i loro ragazzi, ci chiedono di essere aiutate ad andare via dalla Calabria con i loro ragazzi. Sono segnali molto importanti, impensabili fino a qualche anno fa". Ma Di Bella fa un appello, perché la responsabilità di un lavoro così delicato non venga lasciata sulle spalle di poche persone: "Ben vengano manifestazioni come questa, isolamento e sovraesposizione sono molto pericolose. Quindi, ripeto, queste manifestazioni vanno bene perché scuotono le coscienze ma è importante che lo facciano anche a livelli più alti: il sistema deve essere normato dal punto di vista legislativo, e poi dobbiamo dare una forma, una continuità sociale a questo progetto. Abbiamo bisogno di operatori che siano realmente capaci di affrontare questo fenomeno".
E poi l'importanza di allontanarsi da un contesto che, malato, rischierebbe di far fallire ogni tentativo messo in atto per salvare questi ragazzi: "Noi i ragazzi li allontaniamo dalla Calabria, non certo per sfiducia negli operatori locali: l'allontanamento serve per dare loro la possibilità di sperimentare contesti diversi ma anche per garantire continuità ai percorsi di recupero. Abbiamo bisogno di un sistema che deve essere messo a regime più presto possibile. E poi gli sbocchi lavorativi per questi ragazzi che poi tornano da noi – riconoscendo il ruolo dello Stato – a chiedere aiuto. Ed è difficile dare delle risposte. Dobbiamo tutti fare qualcosa in più".