di Alessia Candito - "Questo è provvedimento importante per una conseguenza: sottraendo questi beni a questi due imprenditori dimostriamo che la scelta di fare patti con la ndrangheta, non porta alcun risultato perchè lo Stato riesce a incidere e privare la zona grigia del proprio patrimonio. Stiamo dando la dimostrazione che non è conveniente stare dalla parte sbagliata".
È netto il procuratore aggiunto Michele Prestipino Giarritta, che insieme ai sostituti Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino, ha coordinato l'indagine che ha portato al sequestro dell'intero patrimonio di Pietro Siclari e Pasquale Rappoccio: i due avevano scelto la parte sbagliata, avevano legato le proprie fortune pecuniarie e imprenditoriali al destino delle cosche Libri, Tegano e Condello, e per questo quelle medesime fortune le hanno viste sfumare.
I due imprenditori divenuti simbolo della cosiddetta area grigia – quel settore di classe dirigente, che non nasce ndranghetista ma tale diventa per scelta e convinzione in nome del profitto economico o personale – già coinvolti in diversi procedimenti e attualmente in carcere in attesa di giudizio, con il provvedimento di oggi vedono crollare sotto i propri occhi quell'impero costruito in oltre vent'anni di attività economica gestita in regime di semi-monopolio "grazie al rapporto simbiotico con i clan", ha sottolineato Prestipino. Le indagini coordinate dalla Dda e condotte in perfetta sinergia, più volte sottolineata da inquirenti e investigatori, dai Finanzieri del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria, insieme al personale della Direzione Investigativa Antimafia ed ai militari dell'Arma dei Carabinieri di Reggio Calabria, hanno consentito di ricomporre un quadro che affonda le proprie radici nelle inchieste dei primi anni 90.è infatti nell'inchiesta Olimpia che per la prima volta il nome di Pietro Siclari appare affiancato a quello di personaggi della cosca Libri, quali impresentabili soci d'affari. Ma da quella che può essere considerata la grande madre delle inchieste sulla ndrangheta reggina, le indagini sviluppate dagli inquirenti ripercorrono tutti i procedimenti che hanno visto protagonisti Rappoccio e Siclari nel corso dell'ultimo ventennio. E se Olimpia ne aveva accertato i Libri, sarà l'operazione Entourage del novembre 2010 a identificarlo come soggetto economico in grado di interloquire trasversalmente con diverse delle più potenti famiglie di 'ndrangheta operanti sul territorio reggino, provandone i contatti anche con i Condello e i Tegano. Relazioni che tornano evidenti nell'operazione "Reggio Nord" dell'ottobre dell'anno successivo, che porterà alla luce – fra le altre – la manovra che aveva permesso al boss all'epoca latitante Domenico Condello di accaparrarsi la gestione del Limoneto, rinomato locale della movida reggina . Un affare che aveva visto intervenire in tandem tanto Siclari, come Rappoccio. E del resto, questo non è che uno degli affari che ha visto i due spregiudicati imprenditori uniti nell'interesse commerciale e nei contatti con ambienti criminali. Entrambi posseggono infatti, direttamente o indirettamente, rilevanti quote societarie in alcune delle più rinomate strutture alberghiere della provincia reggina, tra cui il Grand Hotel De La Ville e Hotel Plaza, di Villa San Giovanni (RC), ma anche il rinomato villaggio turistico "Villaggio JONIO BLU" di Bianco, ottenuto tramite la Welcome Investments. Insieme dispongono inoltre dell'importante Gruppo Gestioni Sanitarie S.r.l., operante nel settore immobiliare e a ulteriore riprova del rapporto che li lega, è la figlia di Siclari, Caterina, ad amministrare la MEDINEX s.a.s. - principale azienda utilizzata da Rappoccio nel campo delle forniture medicali e sanitarie, sovente sponsor di importanti società sportive reggine. Un connubio affaristico e criminale che insieme si è affermato a Reggio città e i cui frutti insieme sono stati rasi al suolo dalla Dda reggina. Due figure "spregiudicate", le ha definite il procuratore capo facente funzioni, Ottavio Sferlazza, che proprio nell'aggressione ai grandi patrimoni illeciti ha individuato una delle principali direttrici seguite dalla Dda. Grandi patrimoni come quelli di Siclari e Rappoccio, che sommati insieme raggiungono la cifra record di 230 milioni di euro.
Un vero e proprio impero economico – ha sottolineato il comandante provinciale della Guardia di Finanza, il colonnello Claudio Petrozziello – costruito solo ed esclusivamente sulla base della connivenza con la ndrangheta. "Di questa imprenditoria mafiosa c'è una diffusione in tutti i settori, ma non porta sviluppo. Con questo modo di fare impresa si crea un'economia malata, non si crea un'economia sulla quale rilanciare una ripresa economica in Calabria, ma al contrario si soffoca l'economia legale". Ed è per questo, ha ribadito il comandante, che le indagini che hanno permesso di accertare la provenienza illecita del patrimonio dei due imprenditori, così come l'assoluta sproporzione fra i redditi dichiarati e i beni acquisiti nel corso del tempo grazie alle quali è stato possibile chiedere e ottenere il provvedimento di sequestro, assumono un'importanza fondamentale: "abbiamo ricostruito alcuni spazi di libertà economica in cui gli imprenditori onesti possono e devono inserirsi, a dimostrazione che stare dalla parte giusta è possibile". E parole di speranza per un posto che ha conosciuto da capo della Mobile nei sanguinosi anni '80, quando Reggio era stritolata dalle faide e in città si sparava come nel Far West, ha espresso anche l'attuale capo della Dia, Alfonso D'Alfonso. Per il numero uno della Direzione Investigativa Antimafia, che il primo novembre lascerà il suo incarico a un altro calabrese, Arturo de Felice, non ci sono dubbi: "questo è il metodo giusto per recuperare la legalità di una terra che ha bisogno di non avere più paura".