Omicidio Raso, Tropeano non uccise per uno sputo. La Cassazione annulla con rinvio la condanna a 30 anni

Tropeano Vincenzo1di Angela Panzera - È una decisione netta quella che arriva dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione per Vincenzo Tropeano, condannato in secondo grado a 30 anni di carcere in quanto ritenuto responsabile dell'omicidio del cognato, Antonio Raso, commesso l'undici marzo del 2013 in contrada "Venarella" a Rizziconi, nel cuore della Piana di Gioia Tauro. Per la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso avanzato dal legale Francesco Albanese, l'imputato non ha ucciso il cognato per quel famoso "sputo" ricevuto. Annullata infatti, senza rinvio l'aggravante dei futili motivi e per questo gli atti sono stati trasmessi ad un'altra sezione della Corte d'Assise d'Appello che adesso dovrà quantificare la condanna e quindi diminuendola secondo quanto disposto dai giudici capitolini concedendo inoltre le generiche e valutando inoltre, la recidiva. Una decisione quindi quella della Cassazione che ribalta quanto stabilito nel secondo grado di giudizio. L'undici novembre del 2014 infatti, la Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria, Finocchiaro presidente con Cappello a latere, aveva accolto la richiesta avanzata dal sostituto procuratore generale, Domenico Galletta, che per l'imputato aveva invocato un inasprimento di pena. In primo grado Tropeano, difeso era stato condannato a 20 anni di reclusione. La Procura di Palmi aveva fatto appello poiché la pena inferta sarebbe stata inferiore alla valutazione effettuata dall'accusa e anche perché erano state riconosciute le attenuanti generiche. Il pg Galletta poi, in sede di requisitoria, aveva invocato l'ergastolo, ma i giudici hanno disposto 30 anni di carcere, escludendo infine l'aggravante della premeditazione. Il delitto quindi non fu pianificato, ma per Tropeano all'esito del processo d'Appello è stata riconosciuta l'aggravante dei motivi futili e abietti. Per la Cassazione però quest'ultima va esclusa. Anche per Antonio Raso, genero di Tropeano, difeso sempre dal legale Albanese, la Suprema Corte ha annullato con rinvio l'accusa di porto d'armi e anche per lui ha rispedito indietro gli atti affinchè i giudici ricalcolino la pena senza tenere conto di questo reato. Per Raso la Corte d'Assise d'Appello aveva inflitto un condanna a 2 anni e 8 mesi di carcere. In primo grado invece si era visto infliggere 10 anni di reclusione in quanto ritenuto responsabile dal gup del reato di omicidio volontario. I giudici di Piazza Castello in merito alla sua posizione hanno infatti derubricato il reato contestato. Non più omicidio, ma favoreggiamento. Raso quindi non ha partecipato al delitto bensì avrebbe "soltanto" accompagnato Tropeano in contrada "Venarella" e subito dopo l'assassinio lo avrebbe riportato a casa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti Tropeano era da tempo in rotta con il cognato per una questione legata al pascolo delle sue bestie sul terreno della vittima. La vita di Francesco Raso, stando all'impianto accusatorio quindi, valeva un passaggio di pecore sul suo fondo agricolo. Per questo motivo suo cognato lo avrebbe ammazzato, con due colpi di pistola, alla fine dell'ennesima lite scoppiata per il passaggio di quegli animali dal suo pezzo di terra. Dopo l'omicidio, Tropeano si diede alla fuga; per un mese infatti i Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro si occuparono della sua latitanza fino a quando decise di costituirsi in caserma. Adesso però per Tropeano il quadro accusatorio cambia notevolmente. Ad armare la sua mano non è stata la vergogna di aver " ricevuto pubblicamente uno spunto in faccia e nell'aver ricevuto anche un'ennesima minaccia a non far pascolare il proprio gregge in un determinato terreno".