di Claudio Cordova - La 'ndrangheta che pretende di sostituirsi allo Stato, di decidere tutto, di controllare ogni singolo centimetro del territorio. Ecco il "Sistema Reggio", in cui le cosche sguazzano, dirimendo le controversie non (solo) con metodi violenti, ma grazie alla diplomazia criminale dell'aristocrazia mafiosa e, nello specifico, del clan più potente della città, quello dei De Stefano. Diciannove misure cautelari a carico non solo di due degli esponenti principali del clan di Archi (l'avvocato Giorgio De Stefano e Dimitri De Stefano. (i nomi)
L'indagine trae origine da un grave attentato posto in essere la notte dell'11 febbraio 2014, mediante l'esplosione di un ordigno pipe bomb,in danno del Bar Malavenda, noto esercizio commerciale del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria.
In quella notte, alle ore 00.30 circa, ignoti facevano esplodere l'ordigno all'esternodel citato bar, ubicato in Via Santa Caterina 154, di proprietà della società "Villa Arangea Snc", riconducibile al pregiudicato Antonino Nicolò, collocato ai vertici della cosca Serraino. L'esplosione distruggeva la vetrina del bar, il banco pasticceria e diverse vetrate anche dei locali sovrastanti, adibiti ad ufficio, magazzino e laboratorio, nonché una minicar in sosta nelle adiacenze, di cui rivendicava la proprietà Roberto Franco, capo dell'omonima cosca operante a Santa Caterina. La mattina seguente, Alessandro Nicolò, figlio di Antonino, denunciava il danneggiamento.
L'1 marzo 2014, lo stesso Nicolò denuncerà di aver rinvenuto un altro ordigno inesploso, collocato nello stesso punto dove era scoppiato il primo, analogo per fattezze strutturali a quello del precedente atto intimidatorio. Considerato che l'esercizio commerciale danneggiato era ubicato lungo la via Santa Caterina, territorio sul quale incidono, in egual misura, da un lato i fratelli Stillitano, Domenico e Mario Vincenzo, organici alla cosca Rosmini e quindi riconducibili al cartello della cosca Condello, e dall'altro proprio Roberto Franco capo dell'omonima cosca, notoriamente aderente al sodalizio facente capo alle famiglie De Stefano e Tegano, la Squadra Mobile retta da Francesco Rattà attiverà - con l'ausilio di video riprese - molteplici operazioni di intercettazione telefoniche ed ambientali delle conversazioni di soggetti ritenuti coinvolti nella vicenda.
Dai primi accertamenti effettuati dagli investigatori della Squadra Mobile, coordinati dai pm Roberto Di Palma e Rosario Ferracane emergerà che i Malavenda, nell'ottobre 2013, avevano venduto l'esercizio commerciale alla società Villa Arangea di Alessandro Nicolò, figlio di Antonino Nicolò, detto "pasticcino", e di Anna Rosa Martino, moglie di Francesco Serraino, elemento di spicco dell'omonima cosca della 'ndrangheta reggina.
Veniva altresì accertato che nei pressi dell'attività commerciale rilevata dai Nicolò era ubicato il bar "Fashion Cafe ndr", gestito dai fratelli Mario Vincenzo e Domenico Stillitano, ritenuti organici alla cosca Rosmini operante a Reggio Calabria, cui è demandato il controllo criminale dei quartieri di Santa Caterina, San Brunello e Vito.
L'acquisto del Bar Malavenda da parte dei Nicolò aveva fatto sorgere attriti "interni" con gli Stillitano, dal momento che l'acquisto dell'ex "Bar Malavenda" avrebbe inciso sugli interessi economici di questi ultimi, da sempre presenti a Santa Caterina, con il rischio di turbare gli equilibri mafiosi vigenti, ormai, da oltre un ventennio. Le indagini dei pm Di Palma e Ferracane continuano a ritmo serrato e mostrano come i Nicolò avessero ceduto in locazione l'esercizio commerciale a Carmelo Salvatore Nucera, rappresentante di commercio nel settore dolciario.
L'attività investigativa porterà quindi alla luce non solo le dinamiche criminali sottese al duplice attentato al Bar Malavenda ma anche, più in generale, il coinvolgimento, a vario titolo, nella vicenda, di esponenti di vertice di diverse cosche della 'ndangheta reggina, riconducibili sia al cartello condelliano che a quello destefaniano.
I servizi di captazione ambientale si rilevavano fondamentali per la ricostruzione dei fatti. In una delle prime conversazioni captate, saranno gli stessi Nucera a rivelare l'accordo con i Nicolò per la cessione del bar: il punto dolente ora era un altro, ossia ottenere il placet, per la riapertura della nuova attività commerciale, che doveva essere richiesto ai rappresentanti degli schieramenti mafiosi che condividevano il controllo del quartiere.
La figlia di Nucera riferiva che il padre si era,di fatto, confrontato con coloro che vengono appellati "I Signori" della 'ndrangheta per ottenere il consenso ad avviare l'attività commerciale. Raccontava che il padre prima si era messo a rapporto con Roberto Franco del cartello destefaniano, il quale a nome della 'ndrina Franco, cellula di riferimento territoriale dei De Stefano-Tegano, aveva dato il benestare; aggiungeva che poi, su indicazione dello stesso Franco, aveva incontrato, nel pieno rispetto delle dinamiche relative alla suddivisione territoriale del locale di Santa Caterina, tra i due cartelli mafiosi, il responsabile in loco dello schieramento condelliano, individuato in Mario Vincenzo Stillitano.
La conferma che Nucera, per ottenere il benestare all'apertura dell'esercizio commerciale, si era "messo a rapporto" con i referenti mafiosi dell ocale di Santa Caterina, veniva data da una conversazione nel corso della quale Carmelo Salvatore Nucera riferiva a Roberto Franco che Mario Vincenzo Stillitano gli aveva opposto un secco e categorico diniego all'apertura dell'attività commercialmente in concorrenza con il "Fashion Cafè" da lui gestito. Nucera confidava pertanto al fratello Domenico che avrebbe avuto un incontro con un esponente di vertice della cosca Condello ("stamattina mi devo vedere con Condello"). Nucera aveva quindi ottenuto l'intervento delle famiglie condelliane per far retrocedere Stillitano dalla sua posizione di diniego, non senza tuttavia pagare, per ciò,un prezzo con l'assunzione di alcuni dipendenti riferibili a quel cartello di 'ndrangheta.
Nello specifico, dalle attività captative emergeva che sarebbero state assunte due donne gradite ai Condello, a titolo di garanzia e quale controprestazione ineludibile per l'interessamento ai fini dell'apertura del nuovo locale ("una dei Condello" e pure "un'altra ancora di quella parte"). Ma a essere "accontentate" sarebbero state diverse cosche: Nucera preciserà che la cassiera "è una degli Araniti" (che aderiscono al cartello condelliano) rivelando, in tal modo, l'intervento effettuato dagli Araniti presso i Condello ai quali, i primi,avevano fatto intendere di avere un interesse diretto nel bar. In merito alla questione relativa alle assunzioni imposte dalle cosche e con riferimento alla "moglie di uno dei due Araniti", Nucerà preciserà che a fare da intermediario con gli Araniti affinché intervenissero presso i Condello, era stato il suo socio in affari, Giovanni Carlo Remo, cugino di Fortunata Remo classe 1958 coniugata con Michele Labate classe 1956, fratello di Pietro Labate classe 1951, capo dell'omonima cosca dominate nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria.
Ma è con l'intervento della "nobilità" della 'ndrangheta che la situazione si sblocca. Nucera, infatti, investirà della questione la potente cosca De Stefano, nella persona dell'avvocato Giorgio De Stefano, una vera e propria eminenza grigia del clan di Archi, noto alle cronache fin dagli anni '70 per i suoi collegamenti con destra eversiva e massoneria. Nucera riferirà a Malavenda che per assicurare l'attività commerciale si era rivolto alle "Generali" ma poi, con l'intermediazione di un amico, era stato contattato dall'avvocato Giorgio De Stefano, sicché aveva ottenuto"da più parti la garanzia al mille per mille di alcune cose"tanto da rimarcare, da un lato, l'inconsistenza della minaccia degli Stillitano e, dall'altro, l'impegno diretto degli Araniti che, a loro volta, avevano manifestato un interesse personale nella nuova attività commerciale ("che resta fra noi, io avevo fatto l'assicurazione con le Generali...e poi mi ha chiamato Giorgio De Stefano, Giorgio De Stefano l'avvocato, tramite un amico per l'assicurazione...loro praticamente da più parti mi danno la garanzia al mille per mille di alcune cose, che lui (n.d.r. De Stefano Giorgio) dice che loro (n.d.r. gli Stillitano) non contano un cazzo...gli Araniti si sono presi l'impegno loro, i cosi...non ci sono problemi, non succede niente perché...l'hanno messa come se fosse una cosa che interessa a loro a livello personale."). Ma i De Stefano, come altre cosche, avrebbero preteso l'assunzione di personale ("e ora sicuramente, siccome mi ha chiamato coso, qualcuno me lo cerca pure lui e non gli posso dire di no, Giorgio De Stefano"), dal quale aveva ottenuto massima protezione per l'avvio dell'attività commerciale ("che si stiano tutti zitti ha detto"),nonché, a fronte delle titubanze espresse dall'incaricato delle Generali, la stipula dell'assicurazione con la filiale della Carigeg estita dalla figlia Diana Rita classe 1972("poi mi ha detto: "...vieni da me che te la faccio io l'assicurazione"...Giorgio De Stefano").
Ecco l'intervento dell'aristocrazia della 'ndrangheta, che risolve le questioni non a colpi di bombe, ma grazie alla diplomazia criminale che solo i vertici possono adottare. Nucera preciserà quindi che al "massimo" esponente delle gerarchie mafiose dei De Stefano era giunto grazie all'intermediazione di un amico che aveva preso contatti direttamente con l'avvocato ("Giorgio DE STEFANO, ha parlato un amico, non è che lo conoscevo direttamente..."). Dal suo referente Nucera aveva avuto assicurazione di poter avviare quindi l'attività senza alcuna remora ("deve aprire, di non preoccuparsi"), dal momento che Giorgio De Stefano, definito il "massimo" ("...Penso che quello è il massimo, no?...") rappresentante della cosca De Stefano avrebbe parlato dall'alto della sua autorevolezza mafiosa sicché, in conseguenza del suo diretto intervento[ "se parla lui (n.d.r. Giorgio De Stefano" ], gli Stillitano avrebbero dovuto necessariamente piegarsi, pena gravissime conseguenze, ("perché incominciando da quello gli mettono il muso nel culo...gli mettono il muso nel culo e non parlano più!").
Una vicenda in cui sarebbero entrati anche gli storici esponenti mafiosi di Sambatello, gli Araniti, per il tramite di Giovanni Sebastiano Modafferi, nipote dello storico patriarca Santo Araniti. Sarà Maria Rita Nucera a riferire ad una sua amica che per ottenere l'autorizzazione ad aprire l'esercizio commerciale avevano interpellato i rappresentanti dei diversi schieramenti mafiosi ("...gli ho detto: "...già hanno parlato con chi era giusto che parlavano"..."). Quindi indicherà il percorso seguito dal padre, dal nulla osta di Roberto Franco al rifiuto degli Stillitano fino all'intervento degli Araniti di Sambatello che, ponendo la questione dell'apertura del locale come di loro personale interesse, avevano investito della querelle i Condello, i quali avevano dato il benestare che sarebbe stato poi comunicato a Stilitano ("noi abbiamo parlato con chi dovevamo parlare...Roberto gli ha detto "per me non ci sono problemi, ci sono problemi con gli STILLITTANO"...nel momento in cui mio padre è andato a parlare con STILLITTANO e STILLITTANO gli ha detto "ti consiglio di non aprire il bar"...allora mio padre gli ha detto: "Roberto io te lo sto dicendo qua, io il bar lo apro, poi ognuno fa quello che vuole"...e Roberto gli ha ripetuto "per me non ci sono problemi"...mio padre a Roberto è stato chiaro, gli ha detto: "Io il bar lo apro" poi Roberto ha detto "Va bene" e Roberto non può fare niente, permettimi che mio padre...nel momento in cui Roberto dice vai e parla con lui (n.d.r. STILLITTANO) e dopo mio padre va e parla con lui e nessuno è in grado di mediare la situazione, mio padre è normale che si rivolge con quelli di Archi che gli hanno detto che non ci sono problemi...oggi c'era l'ultima riunione per parlare di questa cosa, e praticamente si è messo in mezzo con quelli di Sambatello...quelli di Sambatello sono andati ad Archi e gli hanno detto che è una cosa personale, che gli serve a loro, no che gli serve, che gli interessa che è un favore che gli devono fare il bar...è un favore, perché sicuramente avranno bisogno di un...cioè gli devono un favore e gli hanno detto...quelli gli hanno detto non c'erano problemi, da Archi, quindi ora devono chiamare a quello (n.d.r. STILLITTANO) e comunicarglielo ma quello qualcosa la fa sicuro lo stesso").
Nel corso di un'altra conversazione, Franco spiegava che, dopo la prima bomba, c'era stato un incontro con Stillitano, sia per capire quanto successo ad Antonino Nicolò, appellato compare Nino,sia per il danneggiamento di una minicar della sua concessionaria ("quando è stato il fatto di Malavenda io sono andato a trovarlo (n.d.r. a Stillittano)...per compare Nino...gli ho detto "ma scusate, a parte che mi avete distrutto una macchina almeno...dice "ah, lui qua bar non ne fa"... "ma scusate lo chiamiamo e glielo diciamo, no che gli mettete la bomba...ci tiriamo la legge qua, allora che...io sono uscito, ho mio fratello che gli stanno facendo il processo, a mio nipote che gli stanno facendo il processo, a Donatello il processo...vedete che questa è un'infamità..."). Aggiungeva che l'incontro con Stillitano tuttavia non aveva sortito alcun effetto dal momento che"...dopo una settimana gli hanno posato l'altra...". Nucera, che sin dall'inizio si era rivolto a Franco riconoscendone il ruolo di vertice nel quartiere - riteneva che gli Stillitano fossero di rango inferiore, sicché, a suo avviso, non potevano arrogarsi un potere decisionale che non spettava loro ("allora, domanda...ma comandano tanto, possono prendere queste decisioni...e possono con...cioè, ma non..., perché io...no, io voglio capi(re).."). Franco spiegava allora a Nucera che il locale di Santa Caterina è diviso in parti uguali, una metà è dei Condello e l'altra metà dei DE Stefano-Tegano ("Santa Caterina per i Condello è a metà, cinquanta e cinquanta"), quindi,per conto dei primi il controllo è affidato agli Stillitano ("per i Condello ci sono loro (n.d.r. gli Stillitano), per i...inc..."). Ma siccome Nucera sollecitava un suo intervento ("...io pensavo che VOI..."), Franco ribadiva che si trattava di esponenti dell'altro schieramento (condelliano) ("...e che ci devo fare io?!"),motivo per il quale, già in precedenza,gli aveva detto di trovare un interlocutore valido di quel cartello mafioso in grado di intercedere, agendo comunque con cautela in quanto gli Stillittano erano pericolosi ("io ti avevo detto l'altra volta: "vedi di trovare qualche strada...inc...vai piano piano, che di Vito sono"...").
Questione di gerarchie.
Sarà lo stesso Franco ad assicurare a Nucera di aver discusso della vicenda con le gerarchie della cosca De Stefano e Tegano e di avere ottenuto il placet di Dimitri De Stefano ("io ho parlato, io ho parlato sia con i DE STEFANO e sia con i TEGANO...lo sai cosa mi hanno detto, Dimitri: "tranquillo...per noi sì...però il problema là"..."). A Dimitri De Stefano, Franco aveva detto"...gli ho detto io: "a parte che è un bravo cristiano...il problema ce l'ho io...va e se lo chiarisce!"...". Ecco l'intervento del fratello del boss Giuseppe De Stefano, il capo crimine di Reggio centro. Dai locali della movida della "Reggio bene", dunque, Dimitri De Stefano sarebbe stato interessato anche di dinamiche prettamente criminali.
Le emergenze investigative raccolte dai pm Di Palma e Ferracane hanno evidenziato altresì fughe di notizie sulle indagini in corso. A violare il segreto d'ufficio sull'esistenza delle indagini è stata Maria Angela Marra Cutrupi, cognata di Carmelo Nucera, all'epoca dei fatti impiegata, a tempo determinatoe con mansioni esclusivamente esecutive, presso l'ufficio G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria. In alcune conversazioni, Carmelo Nucera esternava la sua preoccupazione, atteso che l'incartamento delle indagini, in cui era coinvolto,era nelle mani dell'Autorità Giudiziaria.
Nel corso della stessa operazione, in esecuzione dei decreti di sequestro preventivo emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia,gli investigatori della Squadra Mobile hanno sottoposto al vincolo ablativo i seguenti esercizi commerciali, unitamente a numerosi conti correnti e strumenti finanziari riconducibili alle società ed agli indagati:
· Impresa individuale "Fashion Cafe'di Minniti Angela", sedente a Reggio Calabria in via Argine Destro Annunziata n.89;
· Impresa "Delizie del Mare" sitain Reggio Calabria alla frazione Catona in Via Regina Elena n.38,con almeno 6punti vendita in città;
· Impresa individuale "Smeriglio Giuseppe";
· Bar Pasticceria Caffetteria Mediterranea,sedente a Reggio Calabria in via Manfroce n.77;
· Concessionaria "G.S. Motors", sedente a Reggio Calabria in via Manfroce n.1/3/5;
· Stazione di Servizio "Esso", ubicata a Reggio Calabria in via Enotria n.21
· "Bar Villa Arangea", sito in Via Piazza Chiesa Arangea n.97
"Ritrovo Liberta'", sito in Via Santa Caterina n. 154/156/158/160.