di Claudio Cordova - Una famiglia attiva da anni nel settore della macellazione e con le spalle ben coperte da una delle famiglie più potenti del panorama reggino, anche alla luce dei rapporti di parentela. E' questo, in sostanza, il senso delle dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia intervenuti nel procedimento che vede alla sbarra i membri della famiglia Remo, tra cui l'ex vicepresidente, Gianni Remo (nella foto). I Remo, infatti, sono i cognati del boss Michele Labate, che insieme ai fratelli controllerebbe ogni respiro nel rione Gebbione di Reggio Calabria.
A deporre in aula i collaboratori Giovanni Battista Fracapane, Roberto Moio, Marco Marino ed Enrico De Rosa. Audizioni richieste dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino, che rappresenta l'accusa.
L'esordio è affidato all'ex killer dei De Stefano-Tegano, Giovanni Battista Fracapane, che, tra tanti non ricordo, ha confermato le dichiarazioni rese nel lontano settembre 2004, quando riferirà dell'interesse della cosca Tegano nella commercializzazione delle uova e dei rapporti tra i Tegano e i Labate, con i riferimenti ai Remo, che, grazie alla parentela con i Labate avrebbero avuto un rapporto privilegiato sul mercato. Rapporti commerciali (ma non solo) ribaditi, seppur non con grande chiarezza espositiva, anche da Roberto Moio, nipote acquisito dei Tegano e divenuto collaboratore di giustizia nel 2010. Il collaboratore ha riferito dell'interesse dei Labate nella vendita delle carni e del ruolo avuto dai Remo con le proprie macellerie sparse su tutto il territorio cittadino: "C'erano ottimi rapporti tra i Labate e i Remo, loro si sono sempre avvalsi di questa parentela". Ottimi rapporti, che Moio estende anche agli ambienti vicini al clan Tegano, ricordando come Gianni Remo si recasse spessissimo ad Archi, parlando con Giovanni Pellicano, cognato del collaboratore e uomo inserito nella storica cosca di 'ndrangheta.
A rispondere alle domande delle parti (avvocati Francesco Calabrese, Francesco Albanese, Carlo Morace, Giuseppe Panuccio e Giovanna Araniti) anche il collaboratore Marco Marino, giovane rapinatore vicino alla cosca Serraino e condannato all'ergastolo per l'assalto al portavalori della Sicurtransport in cui perse la vita la guardia giurata Luigi Rende. Marino ricorda della breve comune detenzione con Pietro Labate del fatto di essere pienamente a conoscenza del rapporto di parentela tra i Remo e Michele Labate. Un rapporto che avrebbe tutelato i Remo, ci avrebbero pensato i Labate a tenere il territorio tranquillo: "Per fare le rapine bisogna chiedere il benestare delle famiglie egemoni sui territori". Il giovane collaboratore racconta inoltre che, insieme a un suo amico-complice, avrebbe dovuto rubare un'autovettura da utilizzare per una rapina, ma il fatto che la donna proprietaria del mezzo avesse abbandonato la macchina per fare ingresso in una delle macellerie della famiglia Remo (ubicata proprio nei pressi dello stadio) avrebbe persuaso i due giovani a orientarsi verso altri mezzi: "E' entrata dai Remo, poi succede un casino con i Labate" avrebbe detto l'amico a Marino. Il collaboratore farà poi alcuni riferimenti riguardanti il tesseramento di calciatori: "Reggina Calcio, adesso mi ricordo di questo fatto, con Pietro parlai pure del fatto... perché io ho mio fratello che giocava a pallone in una squadra e gli ho detto "Pietro, ma possiamo fare qualche cosa? Sai che mio fratello..." però allora già aveva l'età... io avevo 20 anni, mio fratello ne aveva 22... dice : "E' grande... però se me l'avessi detto prima...".
Infine, a parlare è il collaboratore Enrico De Rosa: "Mi sono interessato di trovare delle case per conto di Michele Labate per una persona che a lui interessava, che poi ha, invece, sistemato lui in prima persona [...] Michele Labate era proprietario di due appartamenti, di alcuni appartamenti in particolare me ne ricordo due, questi due appartamenti erano di Michele Labate ed erano intestati a Remo. Michele mi disse che, in ogni caso quando si doveva vendere di non preoccuparsi che andava se non sbaglio era suo cognato 'sto Remo, a firmare senza nessun problema".