di Claudio Cordova - Tutti concordano su una circostanza: Gianni Remo e, più in generale, la famiglia Remo erano, in virtù del legame familiare, vicinissimi alla potente cosca Labate e da essa protetti e sostenuti. In virtù di questo rapporto, però, sono assai pesanti alcune frasi che riguardano le presunte ingerenze che il clan del Gebbione avrebbe avuto sulla Reggina Calcio del presidente Lillo Foti, per il tramite di Gianni Remo, per anni (e fino all'arresto) vicepresidente della società amaranto. Le accuse (che, va detto, sono tutte da riscontrare e provare) arrivano da tre collaboratori di giustizia: Enrico De Rosa, Roberto Moio e Marco Marino. Le dichiarazioni sono state depositate diverse settimane fa nel procedimento a carico di alcuni membri della famiglia Remo, alla sbarra per estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Una produzione documentale, quella effettuata dal pm della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino, che è tra i motivi per i quali, a pochi giorni dal Natale, verrà spiccato un provvedimento urgente di fermo a carico di Pietro Labate.
Sì, perché De Rosa, Moio e Marino tirano pesantemente in ballo la cosca Labate e la famiglia Remo. De Rosa è il giovane che sta aprendo nuovi mondi di conoscenza alla Dda di Reggio Calabria, con riferimento agli affari, ma anche alle complicità della 'ndrangheta cittadina. I suoi studi, il suo volto pulito da borghese, il suo lavoro di immobiliarista, lo avrebbero messo in contatto con numerosissime persone, sia delle famiglie di 'ndrangheta, sia della "Reggio bene". E proprio con riferimento all'attività di immobiliarista del boss Nino Caridi, De Rosa tirerà in ballo i Labate: "Io conobbi (Omissis), con (Omissis) e Labate. (Omissis) era la ditta sponsorizzata dai Labate per fare i lavori :i n quella zona. Nel senso che era una ditta che si riconduceva e si ricollegava, proprio, ai Labate. La mia fonte di questa notizia è (Omissis)e Michele Labate stesso".
Le dichiarazioni di De Rosa, quindi, si spingono oltre, andando a sottolineare il rapporto che sarebbe intercorso tra i Labate e la famiglia Remo: "Mi sono interessato di trovare delle case per conto di Michele Labate per una persona che a lui interessava, che poi ha, invece, sistemato lui in prima persona [...] Michele Labate era proprietario di due appartamenti, di alcuni appartamenti in particolare me ne ricordo due, questi due appartamenti erano di Michele Labate ed erano intestati a Remo. Michele mi disse che, in ogni caso quando si doveva vendere di non preoccuparsi che andava se non sbaglio era suo cognato 'sto Remo, a firmare senza nessun problema".
Dichiarazioni, quelle di De Rosa, che fanno il paio con quelle di un altro collaboratore di giustizia, Roberto Moio, nipote dei boss Tegano, divenuto collaboratore dopo essere stato arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Agathos", che svelerà le ingerenze del potente clan di Archi sugli appalti per la pulizia dei treni nella stazione di Reggio Calabria: "Durante la guerra i Labate portavano la carne ad Archi, portavano la carne dappertutto" dice Moio al pm Stefano Musolino. Il collaboratore parla anche delle dinamiche criminali che sarebbero intercorse tra i Labate e la propria cosca, quella dei Tegano, che in quel periodo era retta da Paolo Schimizzi, il boss scomparso nel settembre 2008 per un caso di "lupara bianca", senza che, ad oggi, si sappia nulla sulla sua fine: "C'era un accordo, praticamente, di Schimizzi Paolo con Pietro Labate che praticamente noi ci prendevamo i soldi delle ferrovie. Quando parlo di Pietro Labate parlo anche dei fratelli Remo, perché ormai tutta una cosa, sono stati sempre tutta una cosa". Ecco il nuovo riferimento alla famiglia Remo, che, nell'impostazione accusatoria, sarebbe una dinastia di imprenditori attivi nel settore della macellazione con pesantissimi legami con la 'ndrangheta del Gebbione. Morto Schimizzi, Labate rimetterà in discussione l'accordo.
Ma le affermazioni del "nipote dei Tegano" (come ama definirsi) diventano ancor più pesanti quando l'uomo racconta dei presunti legami tra i "Ti mangiu" e la Reggina e delle presunte ingerenze della cosca del Gebbione nell'universo amaranto: "Nell'ambito calcistico sempre, allo stadio lì al Granillo parecchie volte in determinati scontri tra tifosi, tifoserie della Reggina [...] Pietro Labate parecchie volte ha fatto incontrare persone dei Boys del Gebbione a non fare casino che lì è una cosa, insomma, anche se io sapevo già che è una cosa, il campo sportivo lì allo stadio tramite Lillo Foti e Remo è una cosa che gli interessava, che gli è sempre interessata a Pietro Labate". Ecco la 'ndrangheta che si sostituisce allo Stato e che opera una sorta di controllo sociale, per dimostrare la propria autorità, ma anche per evitare problematiche attenzioni da parte degli inquirenti: "Voleva che lì non si faceva casino là al campo a Gebbione là è la zona sua lì non si doveva fare casino, non si doveva fare niente, insomma...". Una città, Reggio Calabria, soffocata dalla pax, in cui la 'ndrangheta opera affinché non si faccia "casino" in giro, perché così è molto più semplice fare affari. E i Tegano sarebbero stati, in un certo senso, "invidiosi" degli affari dei Labate che, restando sostanzialmente neutrali nel corso della seconda guerra di 'ndrangheta si sarebbero assicurati un bocconcino assai redditizio, come quello del rione Gebbione: "Praticamente, dalla ristrutturazione del campo sportivo che all'epoca quando hanno iniziato i lavori si parlava dei Tegano, i Tegano lì ad Archi parlavano no... che a Pietro Labate (incomprensibile) che era la migliore zona, insomma, la più ricca diciamo...". E i Labate sarebbero stati molto abili a capitalizzare ogni fonte di guadagno, evidentemente anche grazie ai rapporti interlacciati in giro, come quelli (a detta di Moio) con Foti e Remo. Sempre secondo il collaboratore, vi sarebbe stato un intervento dei Labate anche sui lavori dello stadio "Oreste Granillo", di qualche anno fa: "Tramite sempre Remo e anche la zona, insomma, che è di Pietro Labate gli è sempre interessata a lui insomma... prendeva un profitto di tutto questo insomma va...". Conoscenze che Moio avrebbe appreso dagli ambienti interni ai Boys, per il tramite di un suo collega impegnato negli appalti delle Ferrovie. Conoscenze che portano l'uomo dei Tegano a essere categorico sulle ingerenze dei Labate all'interno della Reggina parlando di un "legame sia con Lillo Foti e sia con i cognati Remo, col cognato Giovanni Remo".
Un'ipotesi – è bene precisare che al momento la magistratura non contesta alcunché a Foti – che troverebbe un ulteriore riscontro nelle dichiarazioni di una altro collaboratore, Marco Marino. Questi è un uomo inserito negli ambienti della cosca Serraino, ma condannato in via definitiva per l'assalto dell'1 agosto 2007 al furgone portavalori della Sicurtransport, in cui perderà la vita la guardia giurata Luigi Rende. Il collaboratore, infatti, ribadirà (al pari di De Rosa e Moio) il rapporto strettissimo tra i Remo e la 'ndrangheta: "Hanno avuto l'influenza della cosca dei Labate". Racconterà inoltre che, insieme a un suo amico-complice, avrebbe dovuto rubare un'autovettura da utilizzare per una rapina, ma il fatto che la donna proprietaria del mezzo avesse abbandonato la macchina per fare ingresso in una delle macellerie della famiglia Remo (ubicata proprio nei pressi dello stadio) avrebbe persuaso i due giovani a orientarsi verso altri mezzi: "E' entrata dai Remo, poi succede un casino con i Labate" avrebbe detto l'amico a Marino. E, anche dal giovane rapinatore dei Serraino arrivano gli stessi riferimenti alle presunte ingerenze che i Labate avrebbero messo in atto all'interno della Reggina di Foti e Remo, riguardanti, in questo caso, il tesseramento di calciatori: "Reggina Calcio, adesso mi ricordo di questo fatto, con Pietro parlai pure del fatto... perché io ho mio fratello che giocava a pallone in una squadra e gli ho detto "Pietro, ma possiamo fare qualche cosa? Sai che mio fratello..." però allora già aveva l'età... io avevo 20 anni, mio fratello ne aveva 22... dice : "E' grande... però se me l'avessi detto prima...".