di Paolo Ficara - Eredità pesante. La Reggina riparte da zero, nel vero senso della parola. Niente calciatori, ma niente debiti. Una favola, quella dei nove campionati di Serie A, da dimenticare alla svelta. Un incubo, quello del campionato dilettanti, da cui svegliarsi il prima possibile. I paragoni tra le due Reggine andranno centellinati, anzi, nelle prime fasi forse sarebbe meglio evitarli del tutto.
Alla cordata guidata da Mimmo Praticò va dato atto di averci messo faccia e soldi (non tantissimi, ma in Serie D è praticamente impossibile recuperare l'investimento iniziale), consentendo a Reggio Calabria di non rimanere senza la propria squadra di calcio. Il gesto da mecenati gli andrà riconosciuto sempre, è già nella storia. Motivo per cui, sempre per non far finta di niente, una parolina di ringraziamento verso Lillo Foti sarebbe risultata galante, lo scorso 31 luglio a palazzo San Giorgio.
Nel 1986, si è ripartiti a testa bassa sulla spinta di una piazza affamata, con la squadra che ha funto da aliante per il cuore amaranto per oltre tre lustri. Oggi serve ancora più umiltà per ripartire dai bassifondi del calcio: la nuova società non deve fantasticare troppo, sapendo che sarebbe un'impresa raggiungere anche solo la metà dei risultati ottenuti dalla Reggina Calcio; il pubblico non deve essere eccessivamente pretenzioso, ed i primi errori andranno perdonati purché non macroscopici o in malafede.
Per la buona riuscita di una squadra di calcio, gli elementi necessari sono essenzialmente due o tre. Le capacità economiche e l'organizzazione interna. Senza le prime, si può compensare con la seconda. Ma non viceversa, dato che gli incapaci riescono a sperperare sia i 100 euro che il milione. Poi ci sarebbe anche la componente del pubblico, ma esistono le eccezioni come Lotito che con la Lazio ottiene risultati nonostante la piazza a sfavore.
L'aspetto economico, per la AS Reggina, è composto da un investimento di 500.000 euro. Lo scorso 17 luglio, quando ancora si tentava di salvare la Lega Pro, Mimmo Praticò paventava l'inferno del dilettantismo citando l'esempio del Taranto, che ogni anno spende 1 milione e mezzo e non riesce a centrare la promozione. Rendiamo l'idea? Ok, prima che a qualcuno salga la pressione specifichiamo che il girone degli amaranto è più "povero" rispetto a quello del Taranto, e nella passata stagione l'Akragas ce l'ha fatta spendendo circa 700.000 euro.
È lampante che si dovrà compensare con l'aspetto organizzativo. E qui non bisogna assolutamente ripetere gli errori della Reggina Calcio.
All'ormai vecchia società è sfuggito completamente di mano l'aspetto caratteriale dei calciatori cresciuti o transitati dal Sant'Agata negli ultimi anni, ancor prima di confondere mezzali con mediani o attaccanti con lottatori di greco-romana. Troppo spesso il presidente Foti ha fatto prevalere il tipico "m'ha viu jeu", andandosi a sostituire o a sovrapporre al dirigente o all'allenatore di turno, nel tentativo di dialogare con i sordi all'interno di uno spogliatoio.
Il primo educatore di una società di calcio, è il direttore sportivo.
Tale carica, se non affidata ad una persona di polso, competente e fedele o al proprio datore di lavoro o alla tifoseria, può produrre solo danni. Né si può pensare di risolvere il problema elidendo la figura. Serve un uomo con la necessaria competenza per scegliere l'allenatore e supportarlo fin quando vuole essere supportato, stilare una campagna acquisti che non preveda sette giocatori per lo stesso ruolo, e poi soprattutto mantecare lo spogliatoio anziché soffiare sul fuoco alla prime difficoltà.
Sta alla società scegliere questa figura, ma sta all'opinione pubblica sottolineare l'imprescindibilità di un tale soggetto. Se la scelta cade su Massimo Mariotto, ben venga una possibilità per una bandiera amaranto che ha maturato significative esperienze professionali in Lega Pro. Ma non importa se verrà dato l'incarico o a Moggi, o al più dilettante dei direttori sportivi: l'importante sarà offrire gli strumenti per lavorare in autonomia, ad una persona capace di provare soddisfazione nello svolgere il proprio ampio ruolo senza invadere la sfera altrui.
Per "strumenti" non si intendono per forza i soldi.
Il primo potere che va concesso ad un direttore sportivo, è quello di dotare la società di una struttura organizzativa e di un modus operandi. Giusto o sbagliato che sia. O meglio, certi input possono rivelarsi esatti adesso, nel 2015, e poi risultare superati tra 10 anni. Un po' come successo alla Reggina Calcio.
Discorso a parte meritano le strutture. Proprio ai primi tempi del Mariotto calciatore, ci si allenava dietro la curva dello stadio ottenendo poi strabilianti risultati. Se un domani si potessero avere a disposizione o i campi del Sant'Agata oppure quelli del viale Messina, la società avrà l'ulteriore responsabilità di organizzare meticolosamente anche l'attività del settore giovanile. Ed è proprio sull'aspetto comportamentale e tecnico dei ragazzini, che si dovranno porre le basi per il futuro senza guardare soltanto all'uovo di oggi.
Per il momento, si deve partire dall'abc. Innanzitutto un direttore. Poi un allenatore ed i calciatori, scelti dal primo. In Serie D c'è l'obbligo di schierare dei giovani in formazione titolare, e c'è tempo fino al 31 agosto per tesserare i calciatori dai 20 anni in giù. La Reggina è troppo importante per lasciare tutto al caso. Non ci sono più i debiti, ma non c'è più nemmeno il professionismo: per tornarci, bisognerà usare la testa. Sin dal primo giorno.