Quella di Maria Stefanelli è una storia cinematografica e tocca alcuni temi di attualità bruciante: è il racconto diretto del vissuto di una donna di 'ndrangheta, testimonianza rara e simbolica in quanto prima testimone di giustizia al Nord contro l'organizzazione criminale calabrese, di cui svela disegni criminali e aspetti intimi, ricchezze e miserie; un contributo di conoscenza inedito nella letteratura sul crimine organizzato; è una donna che ha subito abusi e violenze di ogni sorta, ha conosciuto vittime di femminicidi e faide, ha compreso la natura della sottomissione quotidiana delle donne dell'organizzazione; la testimonianza per la giustizia – tuttora fondamentale nei processi che si stanno celebrando a Torino – si rivela in tutte le sue difficoltà. Maria sceglie di denunciare perché non ha scelta e perché non vuole che la figlia sia condannata al suo stesso destino. La fiducia nelle istituzioni è totale perché da queste si sente sostenuta. Si rende conto però che il male subito non viene risarcito dalla carcerazione dei colpevoli. Trova il senso del sacrificio nel racconto pubblico della sua storia, che vuole essere un contributo di conoscenza delle logiche della ?ndrangheta e al contempo un invito alla ribellione per le donne che ne fanno parte.
La storia di Maria Stefanelli è narrata nel libro scritto con la giornalista Manuela Mareso "Loro mi cercano ancora – Il coraggio di dire no alla 'ndrangheta e il prezzo che ho dovuto pagare", pubblicato per la collana Strade Blu di Mondadori.
Chi è Maria Stefanelli?
Maria Stefanelli è la prima donna testimone di giustizia contro la 'ndrangheta al Nord appartenente a famiglie mafiose. Vedova di Francesco Marando, uno degli 'ndranghetisti di rango in Piemonte fino al 1996 – anno in cui fu ucciso e il cadavere ritrovato carbonizzato –, vedrà l'anno successivo il fratello Antonio e lo zio/patrigno Antonino Stefanelli cadere in un agguato vendicatore dei Marando. Oggi Maria è testimone nel maxiprocesso Minotauro che si sta celebrando a Torino contro le cosche calabresi infiltratesi in Piemonte, dove tra i 150 imputati sono coinvolti due suoi cognati (Domenico e Rosario), mentre un terzo (Rocco) è uno dei pentiti chiave dell'operazione.
Rosario Marando è inoltre accusato in un processo parallelo – in cui Maria è parte civile – di essere uno degli autori dell'omicidio degli Stefanelli avvenuto nel 1997, per cui nel 2000 erano già stati condannati Domenico e un complice. Nell'aprile 2013 Rosario ha ammesso di aver sepolto i cadaveri e ha indicato il luogo nei boschi della Vauda, a Volpiano (To). Le settimane di ricerche, con notevole dispiego di uomini e mezzi, non hanno portato a nulla. All'udienza del 1ー ottobre 2013 del processo in cui è accusato di omicidio, Rosario ha partecipato a piede libero, dopo che i giudici del processo Minotauro hanno acconsentito a revocargli la custodia cautelare adducendo motivazioni discutibili, che il 2 luglio 2013 hanno spinto Maria, per la prima volta, a parlare alla stampa con un'unica intervista esclusiva http://www.narcomafie.it/2013/07/02/io-tradita-dai-giudici/
Rosario Marando è stato assolto in primo grado nel processo Minotauro, ma condannato all'ergastolo (sempre in primo grado) il 19 marzo 2014 nel processo per il triplice omicidio. Gli appelli di entrambi i processi si celebreranno a breve.
Originaria di Oppido Mamertina (RC), il paesino del recente scandalo dell'inchino della statua della Madonna al boss locale, Maria Stefanelli all'età di 9 anni emigra in condizioni di povertà drammatiche dalla Calabria alla Liguria, dove la sua famiglia controllerà il narcotraffico nel savonese e sarà protagonista di illeciti di varia natura assurgendo più volte alle cronache della stampa. Suo fratello Vincenzo sarà tra i sequestratori di Tullia Kauten, imprenditrice nel settore tessile.
Morto il padre, la madre si risposa con il fratello di questi, Antonino Stefanelli, zio dal quale sarà abusata sessualmente da bambina fino all'età adulta, anche dopo il matrimonio, perché con il marito, detenuto, non convive: conosce Francesco Marando in carcere a Torino per un matrimonio d'affari combinato dai fratelli (celebrato con la scorta dalla polizia e le manette ai polsi dello sposo), a cui cede solo nella speranza di riuscire a fare uccidere lo zio dalla più potente cosca del Piemonte (i Marando sono narcotrafficanti e il pentito Rocco Marando ha ammesso che sono stati i sequestratori, tra gli altri, di Cesare Casella).
Non sa Maria che al fianco di quest'uomo condurrà invece una vita infernale: fuori e dentro gli istituti penitenziari di mezza Italia a raccogliere le sue "ambasciate" per portare avanti gli affari, le corse tra Roma, Milano, Torino e Genova, dove, grazie all'intervento di uno strapagato avvocato con un ruolo politico di primissimo piano, Marando riesce a farsi ricoverare con un falso referto in un ospedale psichiatrico, dal quale evade in un'operazione rocambolesca proprio grazie all'aiuto di Maria, che all'epoca aveva già partorito una bambina, in condizioni di assoluta solitudine, vessata dalle cognate e dalla suocera.
Durante la latitanza in Calabria, Maria vede con frequenza il marito, prelevata da affiliati dell'organizzazione e portata in bunker sotterranei nei boschi dell'Aspromonte, dove spesso viene malmenata (per le percosse abortirà un bambino di 4 mesi), con scene di violenza inaudita anche di fronte alla figlia, che da queste risulterà per sempre segnata.
Dopo la morte del marito, Maria fugge dalla Calabria e torna in Liguria, braccata dai Marando, che ritengono – a ragione – gli Stefanelli autori dell'omicidio del loro familiare.
Quando verrà ucciso l'uomo che le rivela i retroscena della scomparsa dei suoi parenti, capisce di essere la prossima vittima e nel febbraio del 1998 decide di denunciare. Durante la sua vita sotto protezione perde la casa perché truffata dall'unica persona che crede amica (una donna con cui aveva una relazione saffica) e viene aggredita da un cancro alla gola in stadio avanzato, che sconfiggerà dopo sei anni di lotte disperate, lontana dalla sua bambina per lunghi periodi a causa delle intense radioterapie.
Ancora oggi vive nella paura e nella solitudine a cui la vita sotto protezione la costringe.